Capitolo sei.

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Christopher:

Erano passate settimane, e di Aria nessuna traccia. Non c'era alle lezioni, non veniva più in mensa, non girava per il campus. Non prendeva più il caffè dal chiosco. Era sparita. Kim e Alex si erano ufficialmente messi insieme, e nonostante io avessi chiesto a Kim di darmi la possibilità di parlarle, lei aveva categoricamente rifiutato. Le avevo provate tutte, l'avevo chiamata, le avevo mandato dei messaggi, l'avevo cercata sui Social Network, l'avevo aspettata sotto casa, tanto da sentirmi quasi uno stalker. Non mi sarei stupito se mi fosse arrivata un ingiunzione che mi diceva di stare a tipo cento metri da lei.

I giorni passavano, e il mio cuore sentiva la sua mancanza. Come avevo potuto dire certe cose su di lei? Come mi era anche solo venuto in mente? Lei era una delle cose migliori che mi fossero mai capitate, ed io l'avevo lasciata scappare.

Era ormai giunta l'ennesima sera senza Aria, così decisi di andare al bar del campus e bere qualcosa.

Appena entrato notai un bel po' di gente che mi guardava, come se fosse un miracolo.

«Christopher Ross?» urlò il proprietario «Ma dov'eri finito?» mi chiese ridendo.

Probabilmente era ubriaco, come sempre. Così mi avvicinai al bancone e fischiai alla barista per farmi portare da bere.

Quando si girò riconobbi il volto di Aria che sorrideva ad un cliente.

Aveva dei pantaloncini, e un top fin troppo stretto per i miei gusti.

Quando mi guardò vidi l'odio attraversarle gli occhi, poi si avvicinò e fece un falso sorriso. «Cosa ti servo?» mi chiese. «Un po' di Aria con ghiaccio» le risposi, pur sapendo che la battuta era squallida. Lei arricciò il naso in segno di disgusto, poi mi guardò «Vuoi dirmi cosa diavolo vuoi da bere? Se no passo ad un altro cliente» mi disse acida.

Sorrisi di sbieco poi schiarì la voce «Una birra, grazie» le dissi con astio.

Passai tutta la sera a guardarla servire birre e cocktail, e a ordinare birre.

Arrivate le undici ero completamente ubriaco, uscì dal bar e mi buttai per terra.

Vidi Aria chiudere la porta di servizio sul retro e avviarsi verso il campus.

Quando mi vide per terra quasi urlò. «Ma cosa stai facendo?» mi chiese.

«Non riesco a camminare, sono ubriaco, credo.» Dissi ridendo.
Lei mi guardò, poi si sedette accanto a me. Notai che si era cambiata e che aveva li stessi vestiti con i quali l'avevo conosciuta.

I miei occhi si riempirono di lacrime e lei lo notò.

«Perché stai piangendo?» mi chiese esterrefatta.

«Sono stato un coglione Aria, e tu lo sai meglio di me. Non so perché ho detto quelle cose a quell'idiota di Brad, forse volevo solo sentirmi più figo e far finta che tu non mi avessi del tutto rifiutato, ma che ero io a volerti solo usare per il tuo corpo. Ma non è vero Aria, non è mai stato vero.»

Lei mi guardò e incominciò a piangere. «In che senso non è mai stato vero?» mi chiese singhiozzando.

«Cristo Aria, come fai a non capire che non ti ho mai voluta trattare come le solite ragazze che mi sbatto? Come fai a non vedere che i miei occhi, ogni volta che ti guardo, luccicano? Come fai a non capire quanto io possa tenere a te? E' da quando ti ho visto seduta a quella dannata statua che non c'ho capito più niente. Mi hai mandato in completa confusione.» Le dissi tutto d'un fiato.

Lei sorrise, e mi si scaldò il cuore.

Era così bella, anche col trucco sbavato. Lei si avvicinò ancora di più a me.

«Sai, avevo fatto una promessa a me stessa.» Mi disse sull'orlo di un altro singhiozzo.

Io la guardai guardingo, poi le presi la mano. «Che genere di promessa, Aria?» le chiesi.

«Quando mi dissero che eri finito in ospedale, corsi da te. Sono stata al fianco del tuo letto per tutto il tempo, e continuavi a non svegliarti, così mi sono promessa che se ti saresti svegliato, io sarei uscita dalla tua vita perché era colpa mia, perché tu quella sera eri con me, e io... Non lo so, continuo a pensare che se ci fossimo trattenuti ancora un po', tutto quello non ti sarebbe successo.» Mi disse. Stava del tutto piangendo in preda a dei singhiozzi tremendi, la presi fra le braccia e la strinsi forte, lei mi si accoccolò addosso.

 «Mi dispiace tanto piccolina, davvero. Ma non è mai stata colpa tua. Mai. Non farti mai più passare un'idea del genere in testa, è chiaro?» le dissi.

Lei mi guardò, e annuì. La strinsi ancora di più a me.

«Mi dispiace di aver detto quelle cose, davvero. Sai che non le penso.»

«Quindi cosa provi per me?» mi chiese asciugandosi le lacrime col dorso della mano.

Le alzai il volto e la guardai negli occhi, poi mi avvicinai e la baciai.

Rimanemmo attaccati a lungo, sentivo il suo cuore battere all'impazzata, e la sentivo stringersi ancora di più a me. Quando mi staccai le sorrisi.

«Questo.» Le dissi.

Lei mi guardò, e poi sorrise. «Questo.» Ripeté lei.

Il ragazzo dagli occhi blu.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora