Capitolo dieci.

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Aria:

Era passato molto tempo dall'ultima volta che avevo parlato con Christopher, a casa sua.

Era arrivata la metà di marzo, e i genitori di Kim ci avevano regalato una vacanza per lo Spring Break.

Kim non voleva dirmi in che località saremmo andate finché non saremmo arrivate in aeroporto.

Ci eravamo ritrovate a fare le valige mentre parlavamo di come avremmo passato le vacanze:

«Io credo che ci daremo alla pazza gioia» aveva detto Kim, in preda all'euforia.

Io avevo soltanto annuito. Non ero la classica ragazza da Spring Break. Non bevevo, non facevo uso e consumo di stupefacenti, l'unico vizio del quale non riuscivo a liberarmi era il vizio del fumo.

Sapevo che era una questione di subconscio il fatto che fumare mi rendesse tranquilla, ma proprio non riuscivo a smettere.

L'ultima volta che ci avevo provato, mi ero ritrovata a divorare ogni pietanza presente nel frigo.

Anche Kim fumacchiava ogni tanto di nascosto, credendo che non me ne sarei mai accorta. Alla fine ci aveva rinunciato e aveva incominciato a fumare quanto me.

Finimmo le valigie la sera prima di prendere l'aereo, e ci mettemmo a letto.

Quando il mattino dopo ci svegliammo alle cinque e mezzo, Kim era totalmente fuori di testa. Scorrazzava da una parte all'altra, urlando.

Dopo aver finito di preparare tutto l'occorrente, chiamammo un taxi e ci facemmo accompagnare all'aeroporto.

Nel tragitto Kim era ancora più euforica. Tremava, sbraitava. Sembrava del tutto fuori di se. Quando arrivammo all'aeroporto, Kim mi porse un biglietto.

Lo aprì e mi scappò un gridolino di gioia. I suoi genitori ci avevano pagato una vacanza a Cancún.

Mi facevano male le guance per quanto sorridevo, abbracciai Kim e la strinsi forte.

«Non avresti dovuto Kim, davvero.» Le dissi sull'orlo di un pianto.

«Ascoltami» disse «Non mi interessa quante persone dovrò prendere a calci in culo, a quante persone dovrò far male, tu meriti ogni singola cosa, ogni singolo sorriso, ogni abbraccio. Meriti qualcuno che ti renda felice, e io ti starò accanto finché non l'avrai trovata.» Aveva gli occhi lucidi.

La strinsi ancora più forte a me. «Sei la migliore.» Le dissi sull'orlo di un singhiozzo.

Arrivate all'imbarco, porgemmo il biglietto all'addetta e lei ci sorrise, ci indicò i posti.

L'aereo era pieno zeppo di ragazzi di tutte le università. Erano tutti stra-entusiasti dello Spring Break.

E credevo di esserlo anche io, e pure c'era qualcosa che mi mancava, ma non volevo crederci. Non volevo darla vinta alle emozioni. Quando Kim mi guardò, capì.

«Non ci pensare neanche eh! Non rovinarti la vacanza per quell'idiota. Non sbagliare di nuovo.» Mi urlò contro.

Alzai gli occhi al cielo, ma un ciuffo biondo attirò la mia attenzione. Era seduto nelle prime file, quasi vicino al bagno. Speravo con tutta me stessa che non fosse lui, pregavo che non fosse lui.

Quando l'aereo si stabilizzò in aria, ci dettero l'okay per slacciare le cinture.

Mi alzai dicendo a Kim che dovevo andare in bagno.

Percorsi il corridoio tenendo d'occhio ogni sedile, le dita incrociate in tasca, il cuore che martellava nel petto. Oltrepassai la prima fila senza girarmi ed entrai in bagno.

Stavo grondando sudore per la paura. Mi sciacquai il volto e mi guardai allo specchio.

«Okay Aria, è solo un dannato ragazzo. Un ragazzo che ti ha fatto del male, un ragazzo che non si è curato della tua felicità. Non devi far altro che ignorarlo.» Dissi fra me e me.

Mi tranquillizzai e uscì dal bagno, quando guardai la prima fila, il mio cuore perse un battito.

Era lì, in tutto il suo splendore, addormentato.

I capelli biondi scompigliati in una disordinata cresta tirata verso dietro, la faccia d'angelo rilassata. Gli addominali ben visibili anche da sotto la maglietta. Era lì, ed io lo stavo fissando. Quando Alex si accorse di me, mi corse in contro.

«Dio Aria, stai bene? Tutto okay? E' da un sacco di tempo che non ti vedo. Come sta Kim?» mi chiese tutto tremante.

Lo abbracciai. Sapevo che a lui Kim interessava, gli indicai il mio posto. «Parlaci. Aprile il tuo cuore. Vedrai che ti perdonerà.» Gli sussurrai nell'orecchio.

Vidi Alex allontanarsi e sedersi vicino a Kim. Sentì Kim sbraitare, poi la sentì zittirsi.

Una hostess dietro di me, mi picchietto la spalla.

«Signorina, stiamo incontrando delle turbolenze, deve sedersi immediatamente.» Mi disse pensierosa.

Guardai il mio posto, oramai occupato da Alex e mi si strinse il cuore. Mi posai leggermente sulla poltrona accanto a quella di Chris e mi allacciai la cintura. Mi misi le cuffie e voltai la testa da tutt'altra parte. Sapevo che se mai mi fossi scontrata con quegli occhi color blu mare, sarei stata fottuta. Quando nell'altoparlante dell'aereo rimbombò la vocina stridula della hostess, Christopher si svegliò accigliandosi.

Era davvero buffo.

Mi voltai da tutt'altra parte, facendo finta di dormire. Sentì Christopher picchiettarmi la spalla, poi posarmi una mano su di essa e stringerla forte. Il mio cuore mancò un battito.

Quando mi voltai, Christopher aveva gli occhi lucidi, e tremava.

«Aria...» disse sconcertato.

Non potevo cascarci ancora, non potevo dargliela vinta.

«No Chris, non farti film. Volevo che Alex e Kim risolvessero, se lo meritano. Così ho fatto a cambio con Alex.» Dissi dura, stupendomi di esser riuscita a dire quella frase senza singhiozzare.

Lui assunse un'espressione ferita. Tolse la mano dalla mia spalla e alzò i grandi occhi blu verso di me.

Il cuore pompava nella cassa toracica.

«E noi?» disse lui con voce strozzata.

«Noi cosa? Noi chi?» dissi in tono acido.

«Noi... Non ce lo meritiamo?» mi chiese con voce da bambino che non ha ricevuto il regalo di natale.

Mi si spezzò il cuore, per l'ennesima volta.

«No Chris. Non ce lo siamo mai meritati.» Dissi con voce interdetta. Un singhiozzo minacciava di fuoriuscire dalla mia bocca. Ma mi feci forza e lo rispedì giù.

Chris mi prese delicatamente la mano.

«Va bene, ma ti prego, almeno per le prossime ore, puoi essere l'Aria che conosco? L'Aria che... Adoro?» disse lui.

Il suo labbro inferiore tremava, la sua mano anche. Gliela strinsi, e nei suoi occhi lessi un minimo di speranza.

Appoggiai la testa alla sua spalla.

«Solo per queste quattro ore mancanti, poi scesi da questo aereo, tu per la tua strada e io per la mia.» Dissi.

Lui mi guardò, poi mi alzò il volto e mi baciò con delicatezza. Avvertì un brivido diramarsi sulla schiena.

«Solo per queste quattro ore, prometto.» Disse.

Era la promessa più brutta mai detta, la promessa più brutta mai accettata.

Sarebbe dovuta andare così, fra di noi. Era quello il destino. 

Il ragazzo dagli occhi blu.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora