IV.

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5 gennaio 2001

Era un freddo pomeriggio di gennaio quando, rientrando a casa, vidi Jack. Stava piovendo a dirotto e lui stava salendo in macchina, in procinto di partire per Milano.
Avevo immaginato che sarebbe tornato per le feste e avevo sperato con tutta me stessa che avremmo fatto pace in quel frangente... Dopotutto, il Natale aveva sempre avuto un grande significato per noi... Mi ero anche ripromessa che gli avrei bussato, evitando così che potesse respingermi; poi però la paura aveva preso il sopravvento. E forse, pensai mentre lo guardavo salire in macchina, completamente zuppo e con indosso un ridicolo pullover blu che gli aveva regalato la zia qualche anno prima, avevo fatto bene a non andare a cercarlo. Per la seconda volta in vita mia, infatti, ebbi l'impressione di non avere davanti la persona che conoscevo o che pensavo di conoscere. Chi era? Sicuro che fosse proprio lui? Il suo volto si era fatto un po' spigoloso, smunto; anche il suo corpo era divenuto più fine, mentre le sue spalle si erano allargate.
Ad un tratto, come se avesse sentito il peso del mio sguardo, si voltò e guardò nella mia direzione per un attimo - un lunghissimo attimo a mio parere - prima di entrare in auto. Non sapevo se mi avesse visto o meno; il suo era stato piuttosto un'occhiata... Eppure, per quanto fuggevole potesse essere stata, il mio cuore si era fermato per un istante. Anzi, un lunghissimo istante.
Non aspettai nemmeno che mettessero in moto: corsi dentro il portone e, non appena a casa, mi feci una lunga anzi lunghissima doccia calda. Rimasi sotto il getto d'acqua per davvero molto tempo, in silenzio, senza pensare a niente. Così, come un vegetale: rimasi in piedi, sotto il getto, con impressa in mente l'immagine di lui che si voltava. Non espressi alcun commento. Niente.

Buon anno, Jack.
Grazie per aver risposto alla mia lettera...





25 dicembre 1990

Era una mattina di Natale, quando Jack entrò in camera mia e mi svegliò aprendo le veneziane. In un attimo la stanza fu invasa da un luminosissimo fascio di luce bianca e fredda.
«Sofi, svegliati...»
«Lasciami dormire, Jaaack!» farfugliai io, non ancora destata dal mio sonno. Lui allora mi tolse le coperte, con estrema crudeltà. «Dai! Che ore sono almeno?»
«Le sei e mezza. Forza, è ora che ti alzi» mi ammonì, scrutando attentamente le lancette di un nuovo orologio da polso.
«È prestissimo!»
«Dobbiamo rispettare il piano!»
Al suono della parola "piano" mi alzai. Quando si trattava di progetti, infatti, era inutile discutere con lui. Ormai lo avevo imparato.
Uscendo dalla mia stanza, socchiusi la porta di quella di papà che ancora dormiva e pensai fra me e me che forse dare una copia delle chiavi di casa a Jack non era stata una grande idea.

Facemmo colazione con biscotti allo zenzero e latte, le stesse cose che la sera prima avevamo lasciato fuori a casa di entrambi per Babbo Natale. «Secondo me» disse ad un certo punto mentre fissava la tazza vuota «non esiste... Insomma, non è umanamente possibile compiere una impresa simile, tanto più che lui è vecchio, immortale e lo fa dalla notte dei tempi! Giulio la pensa come me e tu?»
«Io ci credo. Papà mi ha raccontato di averlo incontrato una volta, quando era piccino...»

Finita la colazione, scartai i regali sotto l'albero. A un certo punto Jack me ne porse uno con su scritto "Per Sofia", che era stato recapitato a casa sua per sbaglio. Era un bellissimo ciondolo con lo stesso simbolo di un bracciale di Maria Grazia... Poi ne trovai anche io uno per Jack sotto il mio albero: un telescopio da viaggio. Ne fu entusiasta.
Quindi guardammo un cartone animato sdraiati sul divano, entrambi in pigiama, e ci addormentammo. Più tardi ci svegliò mio padre.
Ascoltato il fantomatico disco di Natale di Frank Sinatra, ci preparammo per fare il solito giro in centro con i genitori di Jack. Ormai era una prassi: io e lui trascorrevamo tutti i Natali insieme, come due fratellini. E quello era solo l'inizio di una lunga anzi lunghissima tradizione.





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