15. Astrid (parte 2- epilogo)

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Per curare una ferita bisogna smettere di toccarla, ma io che avevo da sempre avuto una naturale predisposizione per il rigirare il dito nella piaga aveva capito fin da principio che non avrei mai potuto curare nessuno.
Non provavo nessun tipo di compassione per gli altri tale da spingermi a diventare più sensibile nei rapporti umani.
Se prima mi doleva non essere tanto emotiva quanto le altre persone, da quando avevo iniziato a lavorare ringraziavo Dio per aver avuto un cuore così freddo che fu spezzato solo una volta nella mia vita.
Eppure, nonostante fossi ormai infrangibile, qualcosa in me si spezzò mentre ero a lavoro e riconobbi il corpo sul lettino una volta entrata nel mio studio.
Il ragazzo biondo in camice che aveva un foglio e una penna in mano, Matěj (il tirocinante), si coprì le labbra con le mani trattenendo un conato di vomito.
«Se solo questo ti da il voltastomaco getta la spugna» dissi con non so quale forza. La mia voce era meno ferma del solito, l'aria tremava tra le mie corde vocali, usciva incerta, come se quella finta dimostrazione di cinismo fosse ormai inutile, dato che sentivo già gli occhi pizzicare o la gola andare in fiamme.
«Mi scusi Dottoressa...»
«Astrid. Chiamami Astrid. Dammi del tu»

Indossammo assieme i guanti e lui rimase più scostato rispetto a me, che mi avvicinavo al cadavere tremando.
Un sospiro uscì dalle mie labbra tremanti quando le mie dita si avvicinarono al suo corpo morto. Sentivo la pelle bruciare al contatto con la sua, nonostante ci fosse uno strato di lattice a separare le nostre mucose.
«Accendo la fotocamera?» chiese Matěj e io annuii. Prima che scattasse la foto aggiustai la salma, ponendola dritta sul piano in acciaio.
«Procediamo»
«Lo conoscevi?»
«Si» dissi. Ma forse la risposta giusta sarebbe stata no. Perché nonostante avessi passato due anni con Ivar, no, non lo conoscevo. Non conoscevo il vero Ivar.
«Se vuoi potremmo chiamare l'altro profess» ma non lo lasciai finire che gli chiesi di prepararsi per la prima ispezione superficiale.

Dopo circa un'ora da quello che dettavano il mio istinto e la mia esperienza sapevo per certo che Ivar era annegato, l'unica cosa che mi chiedevo era se fosse stato spinto dal ponte o se si fosse gettato giù di sua spontanea volontà.
Avevamo trovato residui di terriccio sotto le sue unghie, così come tra i capelli e nei condotti uditivi. Era evidentemente rimasto in acqua per un bel po'.
La morte per asfissia in genere richiede poco più di cinque minuti, e il corpo Ivar dopo essere morto purtroppo non si era fermato sulla sponda del fiume, bensì aveva continuato ad essere trascinato dalla corrente per diversi chilometri.
Presentava macchie violacee, dunque ipostasi, disposte sul volto. Sulla superficie anteriore degli arti e del tronco aveva la pelle d'oca, per la rigidità cadaverica dei muscoli erettori dei peli. Matěj gli alzò le palpebre e esaminò brillantemente le cornee lucide per la mancanza di fenomeni di essiccamento. Presentava inoltre lesioni sul corpo come ferite, o più precisamente escoriazioni o segni dell'offesa da parte di animali acquatici. Del materiale schiumoso roseo-biancastro a bolle finissime (il cosiddetto fungo schiumoso) gli fuoriusciva dalla bocca e dal naso.

Una volta riportate tutte queste informazioni per iscritto e averle motivate con ulteriori fotografie ordinai di procedere con il taglio ad Y.
Matěj mi passò il bisturi.

Le mie dita stringevano l'oggetto affilato con forza che iniziò a mancarmi solo quando la lama sottile si posò sul marmoreo petto di Ivar. Come avrei potuto incidere su una pelle così perfetta?
Feci pressione leggermente e vidi la punta del bisturi scomparire nella sua cute, seguendo il tratteggio che Matěj aveva preparato con il pennarello.
La mia mano tremava e quello che operai sulla parte sinistra fu un taglio impreciso e irregolare, cosa che si poteva notare dai bordi stracciati della cute, che sarebbero dovuti essere lisci per il taglio netto.
«Incidi tu» ordinai categoricamente porgendogli il bisturi.
Matěj mi guardò spaesato ma quando i suoi occhi verdi incontrarono i miei sofferenti che lo imploravano di salvarmi da quel supplizio annuì e procedette con l'incisione.

Rigiravo le dita nervosamente, arrivando quasi a rompermi i guanti. Non riuscivo a guardare quel corpo, così bello, steso sul piano come se fosse carne al macello.
Alzò il lembo di pelle superiore fino a coprirgli il volto.

Gli passai il costotomo che gli sarebbe servito per rimuovere le costole, e lo osservai pazientemente mentre procedeva.
Sarebbe stato un gran medico legale, pensai sorridendogli.
Mi girai altrove, posando gli occhi sul fascicolo di Ivar e lo afferrai, leggendolo avidamente.
Mi colpì che ci fosse riportato che Ivar aveva deciso di entrare in cura psichiatrica sotto la dottoressa Emma JØrgensen, per disturbo della personalità narcisistico.
Rimasi per un po' a fissare il vuoto, quando la mia attenzione venne richiamata da Matěj che stava già procedendo con l'osservazione dei polmoni e dell'apparato respiratorio.
Dopo aver scoperto del materiale schiumoso nella laringe, trachea e nei bronchi, assieme a piccoli frammenti di sabbia e alghe procedemmo con i polmoni, che erano espansi e congesti, di colore rosso cupo, di consistenza cotonosa e imbibiti di liquido.

Stava per recidere le arterie e rimuovere il cuore quando lo fermai scuotendo il capo.
«F-Forse sto sbagliando?»
«No, anzi. Stai andando molto bene»
«Avevo pensato di osservare se il cuore fosse dilatato con all'interno sangue fluido e acquoso»
«So cosa avevi intenzione di fare, ma non farlo» gli dissi, e mi guardò con aria interrogativa.
«Compilerò io la cartella, tu fa finta che abbiamo finito il nostro lavoro però. Ormai è evidente che sia stato un annegamento, la morte è avvenuta per asfissia» prima che potesse aggiungere altro conclusi con «è stato un suicidio»
«Cosa te lo fa pensare?»
«La cartella che ci hanno dato. È stato ricoverato per disturbo della personalità narcisistica. Lo conoscevo Matěj. Eravamo fidanzati sai? Per due anni. Per ben due anni ho condiviso la mia vita con l'uomo qui steso, che non ha fatto altro che usare me o altre donne per sentirsi meglio. Non è vero che Ivar non mi aveva mai amato» dissi sorridendo amaramente «non è vero che Ivar non aveva mai amato. No. Ivar le aveva amate tutte quelle donne, ma a modo suo. Ivar le aveva amate tutte, è solo che aveva amato un po' di più sé stesso»

Ci furono degli attimi di silenzio assordante, che fu spezzato dalla mia voce.

«Non portargli via il suo cuore, è l'unica cosa che ha sempre desiderato possedere, e che ha sempre avuto»

Mi avvicinai al suo corpo, e iniziai a ricucire il taglio ad Y, per poi ripulirgli il viso.
Congedai Matěj con un veloce cenno del capo e rimasi sola per un po' con Ivar.

Poggiai la mia testa sul suo petto freddo, e rimasi li, immobile, per svariati minuti.
Non doveva morire. Non sarebbe dovuta andare così.
Spostai il suo corpo nella cella e prima di richiuderlo, non potei fare a meno che continuare ad ammirarlo. Restava ancora bello come la prima volta che l'avevo visto al bar, accanto a quella ragazza dai capelli rossi.
«Se toccarti non posso, mi sia permesso guardarti e nutrire cosi' la mia disgraziata passione» bisbigliai citando le Metamorfosi di Ovidio.

Alzai il telo bianco coprendogli il viso e chiusi il portello.

Avevo immaginato molteplici volte di rincontrarlo, con la speranza che magari sarebbe cambiato, e che mi avrebbe amata per davvero questa volta.
Ma avrei dovuto capire che il suo cuore apparteneva a lui soltanto, e non sarebbe mai potuto appartenere a nessun altro.

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