Cap. I: Il ritorno di una vecchia amica

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Capitolo I: Il ritorno di una vecchia amica

 Scott Summers, alias Ciclope, era seduto immobile nel laboratorio medico sotterraneo.

Il regno di Jean Grey.

Il giorno prima, uscendo dallo studio di Xavier, Logan gli aveva detto che Jean aveva fatto anche un'altra scelta, oltre a quella di sacrificare la propria vita per salvare quella di tutti loro: aveva scelto lui, Scott. Bastardo arrogante!, aveva pensato in un impeto di rabbia, voltandogli le spalle senza rispondere. Come se Jean avesse mai potuto prendere realmente in considerazione Wolverine... L'ira era poi rapidamente svaporata, lasciando il vuoto dietro di sé. No, forse il bastardo arrogante era lui, Scott: chi era lui per pensare che Jean non avrebbe mai volto lo sguardo su qualcun altro? Certo, tra Logan e lei c'era un abisso di differenza, l'orso e la libellula, il lupo e la colomba... eppure, anche Ciclope doveva ammettere che il rivale aveva un suo fascino. E soprattutto era un brav'uomo: nonostante tutte le sue riserve, i suoi modi rozzi, il suo cinismo e l'apparente egoismo, Wolverine si era rivelato una persona su cui si poteva contare. Sì, ci aveva provato con la sua donna, ma la decisione ultima era spettata a Jean. E lei aveva scelto Scott.

Peccato che non fosse vissuta per concretizzare quella scelta negli anni a venire...

Perché non riusciva a piangere? Il petto gli doleva in modo intollerabile, faticava a respirare, si sentiva vuoto, vuoto... e non una lacrima solcava il suo volto impietrito.

Non riusciva a credere che lei fosse morta, maciullata dalla forza immane delle acque furibonde provenienti dalla diga crollata di Alkali Lake. Era riuscita a controllare quelle acque col suo potere telecinetico, allo stesso tempo sollevando il jet i cui motori non volevano saperne di accendersi, e quando finalmente Tempesta era riuscita a farli partire, si era lasciata andare.

Perché?

Perché non aveva permesso a Nightcrawler di teleportarla dentro il jet in partenza?

Perché non aveva usato il suo enorme potere per salvare anche se stessa?

Scott il fine stratega, comandante degli X-Men, vagliava senza posa le opzioni per trovare una spiegazione, ma Scott l'amante addolorato non gli permetteva di pensare con la chiarezza necessaria e la sua mente turbinava inutilmente attorno alla stessa domanda, ora dopo ora.

Il tempo trascorse; fuori nel mondo, il pomeriggio s'incupì nella sera, la sera divenne notte. Le stelle sorsero e tramontarono. E Ciclope continuava a rimanere immoto come una statua di marmo nel laboratorio che era stato il regno di Jean Grey, il suo amore, la sua vita.

Nella fredda ora che precede l'alba, nel vialetto d'accesso della scuola si fermò un taxi, dal quale discese una giovane donna non molto alta, ma assai ben fatta, con lunghi capelli bruni che le scendevano sulla schiena ed occhi d'un vellutato color marrone.

Il taxista, un uomo robusto di mezza età, si affrettò a scendere a sua volta dal veicolo per aprire il baule.

"L'aiuto a portare dentro il bagaglio", si offrì mentre scaricava, parlando con il tipico accento strascicato di New York.

"Grazie", accettò la donna con distratta gratitudine. Mentre l'autista la seguiva su per la gradinata che conduceva all'ingresso, portando la valigia grande ed il trolley, frugò nella borsetta e pescò le chiavi con cui aprì il portone. Entrò, precedendo il taxista e, mentre questi posava le valigie sul pavimento di marmo lucido, estrasse il portafogli.

"È stato di parola", commentò, allungandogli l'importo della corsa ed una generosa mancia, "Non ci ho mai messo così poco ad arrivare dall'aeroporto a qui."

"Quando m'impegno, m'impegno", affermò l'uomo, toccandosi il frontino del berretto da baseball che indossava, "Grazie, signorina."

"Grazie a lei. Arrivederci", lo congedò la giovane donna, riponendo il portafogli. Il taxista uscì, salì sul suo veicolo e ripartì; la donna usò il telecomando per assicurarsi che il grande cancello di ferro battuto si aprisse per permettergli di uscire, poi lo richiuse. Tirando un profondo respiro misurato, si voltò, chiuse la porta e, prese le valigie, fortunatamente entrambe dotate di rotelle, si avviò verso l'ascensore, il cui accesso era nascosto da pannelli di legno del tutto simili a quelli che rivestivano le pareti dell'atrio: era stato installato per agevolare il padrone di casa, Charles Xavier, che viveva su una sedia a rotelle da quasi vent'anni, ma tornava utile in circostanze come quella anche a chi aveva la fortuna di camminare con le proprie gambe, come lei.

The Princess and the Wolverine (La principessa e il ghiottone)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora