Il Tappeto volante
Keena era nata a Bassora, sul grande Shatt al Arab, in cui confluiscono il Tigri e l'Eufrate prima di sfociare nel Golfo Arabico.
Bassora era stata un faro di civiltà ai tempi di Babilonia e quando Keena, ancora bambina, fu portata a vivere a Bagdad, andava fiera della sua Bassora perché, anche se è vero che Bagdad è una città bellissima, essa ha però appena tredici secoli di storia.
Di famiglia colta ed agiata, proseguì gli studi universitari a Roma, dove ottenne una laurea in lingue. Parlava correntemente l'inglese, il francese, l'italiano, l'arabo e naturalmente il farsi, cioè il persiano.
Quando, nel 1990, sposò Hamid al Fasal, entrò a far parte di una famiglia un po' meno ricca, ma forse più colta di quella d'origine.
In Iraq, a quei tempi, il tasso di scolarizzazione giungeva davvero al cento per cento. Non c'era analfabetismo e in tanti prendevano più di una laurea frequentando, soprattutto all'estero, le migliori università, anche se le facoltà locali nulla avevano da invidiare a quelle straniere.
Andarono a vivere a Saddam City, un centro nuovissimo con oltre un milione di abitanti, dotato di ogni e più moderna comodità. Anni di conflitti locali avevano duramente provato gli iracheni, e poi venne la Guerra del Golfo a imprimere un indelebile marchio di terrore nella loro memoria. Furono però le sanzioni economiche a trasformare radicalmente la loro vita.
Keena era stata una delle più belle ragazze di Bagdad e, ancora adesso, era una delle donne di maggior fascino, con la sua figura alta e flessuosa, i suoi lunghi e lucenti capelli di un nero ebano, i suoi strani occhi di smeraldo ed il suo gestire aggraziato ed armonioso, frutto di una rigida e antica educazione.
L'aver avuto due figli, nei primi tre anni di matrimonio, aveva appena arrotondato le sue forme e conferito come una maggiore compiutezza ai suoi movimenti.
La prima cosa che era venuta a mancare era stata l'energia elettrica e non per mancanza di combustibile, ma perché i pezzi di ricambio necessari alle centrali di produzione non erano più reperibili sul mercato.
I bimbi di Keena erano ancora piccolissimi e tutto in casa, allora, funzionava con l'elettricità. Dagli ascensori agli scaldabagni, dai sistemi di cottura agli elettrodomestici, e fu davvero molto duro andare avanti con l'illuminazione a petrolio, ma fu ancora peggio vedere pian piano cessare tutte le attività produttive, perché ogni macchina o impianto necessitava degli introvabili pezzi di ricambio.
Gli ospedali furono i più colpiti; con un ago si facevano iniezioni per ventiquattro ore: non c'erano più disinfettanti e non era nemmeno possibile far bollire rapidamente l'acqua degli sterilizzatori.
Quando Amina, la bambina più grande di Keena, fu attaccata da una banale influenza, la mancanza delle opportune medicine ne causò un rapido e grave peggioramento.
Si rese necessario il ricovero in ospedale, ma, anche lì, i medici erano impotenti, e solo Allah il misericordioso fece sopravvivere Amina alla lunga polmonite che aveva attaccato il suo corpicino indifeso.
Amed, il bambino più piccolo, si ferì invece a scuola, giocando con i suoi coetanei, sotto gli occhi vigili delle maestre. Un chiodo nascosto nella terra del giardino gli procurò una piccola lesione alla gamba destra, che si infettò rapidamente. La mancanza di medicinali fece pendere anche lui, per lunghe settimane, tra la vita e la morte.
La disperazione di quei mesi aveva quasi distrutto Hamid, che insegnava statistica in una delle università di Bagdad, e messo a dura prova la forte fibra di Keena. E le cose non accennavano affatto a migliorare. Presto cominciò a scarseggiare anche il cibo. Gli impianti di potabilizzazione delle acque del Tigri non erano ormai più funzionanti da tanto tempo e la dissenteria e altre malattie dilagarono a macchia d'olio.
Naturalmente i più colpiti erano proprio i bambini.
Negli anni felici la mortalità infantile mieteva dalle trenta alle cinquanta vittime al mese, negli anni novanta giunse a falciare oltre centocinquanta giovani vite al giorno. La tragedia di un popolo si consumava, ora per ora, nell'indifferenza generale. Le sanzioni economiche, giuste e legittime, colpivano proprio i meno colpevoli.
Come sempre, dall'alba del mondo, sono gli innocenti a pagare per colpe mai commesse.
Nel salotto buono di Keena c'erano tanti oggetti bellissimi, alcuni frutto di moderne tecnologie, altri retaggio di una civiltà antica quanto la storia dell'uomo.
Gran parte della parete orientata alla Mecca era occupata da uno splendido tappeto dove, sul retro, si potevano distinguere le centinaia di migliaia di nodi che, mani pazienti e devote, avevano intrecciato oltre otto secoli prima, quando Bagdad era la città dei Califfi illuminati, delle leggende e dei miracoli. Quel tappeto, davvero unico nel suo genere, oltre alle misteriose scritte dorate che ne impreziosivano una larga fascia del perimetro, alternava nel corpo disegni geometrici a strani simboli rotondeggianti realizzati con le lane più belle e più colorate.
Amina aveva sempre creduto che quello fosse proprio il tappeto volante di tante fiabe.
Quando Amina era stata male, Keena aveva tolto il tappeto dalla parete, poi l'aveva steso sul pavimento intarsiato di marmi pregiati, aveva messo sul tappeto i più bei cuscini della casa e ci aveva deposto sopra la sua Amina, mentre il piccolo Amed guardava, con i suoi grandi occhi, attento e silenzioso, lo svolgersi del cerimoniale.
Amina era stata davvero felice e aveva sognato di volare sui tetti di Bagdad.
Le malattie avevano reso tutti i bambini iracheni gracili e deboli, tutta una generazione che avrebbe vissuto meno e peggio dei propri padri e dei futuri figli. Amina non si era mai completamente ristabilita dalla brutta polmonite.
Ogni tanto, quando il suo respirare diventava più faticoso e doloroso, chiedeva alla mamma di farla salire sul suo tappeto volante, allora Keena lo toglieva dalla grande parete, lo stendeva accuratamente sui marmi del pavimento, posizionava sul tappeto i cuscini più belli ed aiutava Amina a distendersi, con gli occhi al soffitto e i pensieri perduti tra le nuvole del cielo blu intenso di Bagdad.
La vita normale era ormai solo un lontano ricordo.
Gli analfabeti erano ora il trenta per cento tra una popolazione che era stata forse la più scolarizzata del mondo.
In soli sei anni erano morte seicentomila persone di più, e quasi tutte erano bambini.
Era passato da poco il Ramadan, ma per quel popolo il digiuno era ormai diventato una pratica quotidiana, le fonti d'acqua erano sempre più inquinate e i medicinali non si trovavano più nemmeno sul mercato clandestino. Lungo i confini la malavita locale e internazionale operava in barba a tutte le leggi, ma troppi prodotti, come anche molti antibiotici, erano davvero introvabili.
Keena affrontava sacrifici immensi per dare almeno il minimo indispensabile ai suoi due bambini, ma non sempre questo era possibile. Tutte le famiglie piangevano ormai i loro piccoli morti che certamente vivono, ora, nel cuore di Allah, meglio che nella loro povera terra.
Quando Amina ebbe una ricaduta, complicata dalla denutrizione, il cuore di Keena divenne piccolo piccolo.
La sua bellezza appassì in pochi giorni, il suo grande coraggio si disfece come neve al calore della febbre del piccolo corpo di Amina.
Il dottore fu chiamato, ed era il migliore di Bagdad, ma si dichiarò impotente di fronte all'avanzare del male.
Keena staccò ancora una volta il meraviglioso tappeto dalla parete rivolta alla Mecca, lo distese sul pavimento intarsiato di marmi pregiati, scelse, ancora una volta, i più bei cuscini della casa e poi, sopra, con estrema delicatezza, vi distese Amina.
"Il mio tappeto volante - mormorò la piccola - ora potrò ancora volare tra le nuvole". Gli occhi, pieni di stelle, si chiusero lentamente e, lentamente, la sua anima, che bramava la vita, cominciò a volare nel cielo di Bagdad.
Una Bagdad dove seicentomila bambini, sani e felici, giocavano sulle rive di un Tigri dalle acque pure e incontaminate, acque che bevevano raccogliendole con le mani a coppa, come per una offerta ad Allah.
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I Racconti Verità
Short StoryOgni sabato verrà proposto un racconto che ha il sapore della verità, spesso amara, ma, talvolta, capace di esprimere amore e speranza.