Racconto n° 4

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Il custode del Pantheon

Erano anni che le cose andavano avanti così.

Durante l'orario di apertura non c'erano problemi, lui non chiedeva l'elemosina, non pretendeva mance, non importunava nessuno, guardava soltanto. Avevano provato in tanti ad allontanarlo da lì, con le buone e con le cattive, ma avevano dovuto rinunciarci: lui aveva il diritto di stare dove voleva, come chiunque altro, purché non infrangesse le leggi, e lui non faceva proprio nulla per infrangerle, proprio nulla.

Era capace di stare immobile per ore. I visitatori, turisti e curiosi, si abituavano presto a lui, anche se i suoi occhi sospettosi li seguivano costantemente e sembravano controllare ogni loro movimento.

Qualche volta però si muoveva, e sapeva anche muoversi veloce. Se qualcuno provava soltanto a sfiorare l'intonaco, o una tessera dei mosaici, o una cornice, o voleva lasciare un segno col pennarello, come un giorno stava per fare una giovane coppia, lui interveniva, rapido come un gatto, preciso come un falco e, senza dire una parola, allontanava le mani dell'incauto dall'oggetto del desiderio e lo faceva desistere dall'atto vandalico.

E il colpevole obbediva, in silenzio, senza proteste, un po' vergognoso per il senso di colpa che la sua stessa azione e l'intervento del custode avevano generato in lui.

Si, il custode, perché questo lui era e si sentiva.

Non aveva ricevuto alcuna investitura, ma lui era il Custode del Pantheon.

Quando, anni prima, secoli prima, aveva visto per la prima volta la costruzione, ne era stato come soggiogato e ne era diventato lo schiavo.

I ministri del culto che, periodicamente, svolgevano le loro funzioni nel grande mausoleo, si erano ormai abituati a lui e qualcuno, quando lo incontrava all'apertura e chiusura del portale, (lui era tra i primi ad entrare e l'ultimo ad uscire), lo salutava con un rapido cenno della mano, senza però mai ricevere risposta.

Guardava per ore l'immensa cupola, larga per quanto era alta e quasi gli sembrava di essere proprio lui a sostenerla, con il suo sguardo, la sua volontà, il suo amore.

Stava lì, quella cupola, con il suo grande foro centrale, come sospesa nell'aria, senza alcuna struttura portante, in perenne e misteriosa levitazione.

Quando dal cielo la pioggia scendeva leggera, o quando scrosciava fitta e battente, lui si ritirava di più nel suo angolo, non per paura di bagnarsi, ma per meglio ammirare quel cilindro d'acqua in movimento che si alzava, da terra in cielo, come una colonna gigantesca: il pilastro del suo mondo.

Era capace, quel pilastro, di riempirsi di mille arcobaleni, quando prendeva vita nel fulgore del giorno, o se pioveva, di notte, si appropriava dei bagliori misteriosi della luna e delle stelle. Perché lui aveva trovato il modo d'esercitare la sua custodia anche di notte.

Qualcuno, in un lontano giorno del passato, aveva dimenticato la chiave nella toppa e lui non ci aveva pensato due volte a duplicarla e poi a rimettere l'originale dove l'aveva trovato. Così a sera, dopo la chiusura del portale, quando le tenebre rendevano tutto più facile, egli entrava, rapido e nell'ombra, come un ladro, per proseguire la sua opera di custode anche nel buio della notte.

Lui sapeva che, una volta, le Vestali avevano il compito di mantenere sempre viva la fiamma del tempio; nel Pantheon non c'era l'Ara per il fuoco perenne, ma lui offriva sé stesso come fiamma votiva. Sapeva che non doveva mai cessare la sorveglianza, altrimenti qualcosa di terribile sarebbe accaduto: forse il grande mausoleo avrebbe tremato, forse le sedici grandi colonne del porticato si sarebbero sbriciolate, o forse tutta Roma sarebbe scivolata nel Tevere.

Lui davvero non sapeva cosa sarebbe potuto accadere, ma sentiva, da dentro, che il suo compito era proprio quello di custodire il Pantheon.

Il tempo passava e lui invecchiava, sempre più rapidamente, e una mattina, aperto il grande portale, lo trovarono lì, al centro del mausoleo, addormentato, per gli anni e la stanchezza. Fu un vero scandalo.

Mentre in tanti lo attaccavano e l'accusavano delle peggiori colpe intenzionali, sembrò che lui non volesse o forse non sapesse dare alcuna spiegazione, e non ci fu alcuno che prendesse le sue difese o che almeno tentasse di farlo.

Furono subito cambiati i serramenti e gli fu ingiunto di non avvicinarsi mai più al Pantheon, pena il carcere.

Antiche leggende narrano che le grandi opere, in ogni parte del mondo, hanno tutte un custode.

Quando i Maestri le concepivano e le realizzavano, trasferivano poi ad altri, meritevoli, la loro scienza e la loro fede, e così da sempre e per sempre, perché il dominio sulla materia può averlo solo una mente illuminata dalla conoscenza, ma le antiche leggende raccontano ancora un'altra cosa. Il costruttore sceglieva, pubblicamente, il suo sapiente continuatore, ma poi, segretamente, anche un uomo del popolo, semplice e povero, e a lui consegnava il cuore dell'opera; perché anche le cose hanno un cuore e le opere grandi hanno un cuore più grande.

I passaggi successivi sarebbero poi avvenuti naturalmente, secondo le leggi di Dio e della natura, che è una Sua creatura. E quando chi custodiva il cuore dell'opera cessava di vivere, era il cuore stesso a cercarsi un nuovo portatore, il nuovo custode, e se non lo trovava allora anche l'opera moriva, insieme al proprio cuore.

Il Custode del Pantheon provò un grande dolore quando gli fu detto che non poteva neanche avvicinarsi al grande mausoleo, ma una sera volle trasgredire l'ordine.

Era di primavera, l'aria tepida e leggera, il ponentino portava un sentore di fiori e di menta mentre poche gocce scendevano da alcune delle nubi più basse. Egli entrò nel Pantheon e andò nel suo angolo: da lì poteva vedere la grande colonna iridescente mentre rubava al tramonto i suoi colori più belli, e gli sembrò di entrare in quella colonna di acqua e di luce e di essere lui la colonna.

Lo trovarono più tardi, alla chiusura, che sorrideva, ma il suo cuore non batteva più.

Speriamo che la grande opera del saggio Adriano, il Pantheon, che venti secoli non sono riusciti a corrompere, trovi presto un altro Custode, ma è proprio di ieri la notizia che sono comparse, nell'ampia volta perfetta, delle fenditure assai preoccupanti.


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