Era un pomeriggio di un lunedì. Un giorno come gli altri, un comune pezzo che componeva quel puzzle monotono che era la sua vita. La vita di William Prescott, intendo.
Ovviamente intendo la sua vita, di chi altro potrei parlare?
Incominciamo. Cos'è la prima cosa che fanno le persone quando devono presentarne un'altra? Partono dal nome, poi dicono l'età, e poi la introducono con una sua caratteristica predominante nel discorso che si stava trattando, in modo tale che possa risultare interessante agli occhi degli altri.
Un esempio:
« Ehi, a proposito di libri gialli, lui è James, ha 16 anni e si intende molto di scrittura e di detective!»
Tutte le persone si presentano seguendo il suddetto schema, ma non William.
William preferiva presentarsi in due modi, e poteva scegliere se usare uno o usare l'altro.
Nel primo soleva confessare soltanto il suo amore per la pioggia, nient'altro. La gente ovviamente tentava di sapere le cose che ormai erano abituate a sentire da chiunque altro, come il nome e l'età, ma lui non rispondeva.
Nel secondo richiamava tutte le sue caratteristiche peggiori, preparando la gente a cosa stava andando incontro, e l'intenzione era: "Ehi, hai chiesto chi sono? Beh, ora te lo dico io chi sono! Tieniti forte!". E mentre elencava ogni suo difetto, gli altri strisciavano via silenziosi e alquanto straniti.
Ecco perché William era sempre solo. Tutti avevano una visione negativa di lui, appunto perché il modo di presentarsi che adoperava più spesso era il secondo.
Vi stareste chiedendo che forse era sua, la scelta di rimanere solo.
Beh, avete ragione. O, almeno, avete ragione riguardo il vecchio William.
"Il tempo guarisce ogni ferita" che ci siamo stupidamente e autonomamente causati, aggiungerei.
E quella di William era davvero una gran bella ferita. La solitudine.
Peccato che il tempo non poteva guarire la solitudine.
Ma torniamo al lunedì.
William era seduto su una panchina che si trovava sotto a degli alti alberi. Pioveva, ma non violentemente. Quella era la classica pioggia britannica, con la quale non serviva portarsi un ombrello perché non ci si bagnava, ma era comunque fastidioso sentire le leggere e pungenti goccioline sul viso.
William era riparato dalla boscaglia che dava a quel posto una forma a ellissi, mentre ascoltava il rumore della pioggia.
Perché un'orchestra va ascoltata, non sentita.
In effetti le gocce di pioggia riunite insieme, con un po' di fantasia, creavano un'orchestra: quelle che si infrangevano sulla terra o in acqua, quelle che atterravano sulle foglie con furore per poi percorrere il loro dorso con grazia e quiete, quelle che precipitavano sulla panchina di ferro...
Tutte erano la parte essenziale per la creazione di un suono perenne.
William osservava, perché, come aveva detto in precedenza, la pioggia poteva essere osservata, ascoltata e odorata. Immediatamente chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, in modo da assaporare anche il retrogusto del retrogusto di quella pioggerella. Lo voleva ricordare per secoli e secoli. Poi li riaprì, e osservò di nuovo la pioggia. La osservò, la ascoltò, la odorò.
E finalmente si sentiva meglio.
La pioggia era la sua unica via d'uscita.
« Rilassante, eh?»
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Rain
Short Story« Mi chiamo William, amo la pioggia e sono un tipo scorbutico, ansioso, incoerente, pessimista e irascibile » « Io mi chiamo Catherine, amo il silenzio e sono una tipa perfezionista, strana, noiosa, fissata e realista » « Beh, piacere » « Piacere...