Tentenno e tento,
tanto in fondo anche questo può dirsi talento.
A volte riesco,
in altre stento appena,
in molte fallisco miseramente.
E sarà che alla fine c'è sempre lo stesso ritornello dietro;
mi intingo come la spugna di un timbro datato troppo in là col tempo.
Stampo i cocci di queste mani ovunque posi il tatto,
come graffi di disadattato su un logoro divano messo in un angolo.
Strappo pezzi lisi dal corpo e li rattoppo in malo modo su un album fotografato di nascosto.
Sono stati cuciti tutti a mano,
gli organi che ho donato negli anni.
Ogni punto di sutura m'ha strappato il sorriso dal volto,
ogni carezza malata m'ha rigettato come uno sputo,
ogni lacrima versata m'ha resa più sensibile e roccia a mia insaputa.
Ci gioco spesso a questo gioco;
scrivi o sei morto?
Finora baciata da sadica sorte;
da perdente nata,
a vita vinta con la firma a bordo riga.
Parlo muta e celata agli occhi,
parlo su un muro del pianto di pochi,
parlo con dita che sudano sbocchi,
scrivo di me con chiunque apra bocca.
Chiedo scusa a chi assiste impotente,
allo scempio scrivano senz'arte.
Chiedo venia se esisto in più forme,
oltre che in carne marchiata,
anche su carta straccia immaginaria.