Una bozza accennanata con un "non respiro",
ci ritorno su a distanza di un mese col solito puzzo che mi porto dietro.
Fuori è guerra feroce combattuta a morsi,
e dentro è l'ennesimo incendio che mangia i resti.
Celo un pezzetto alle fiamme di volta in volta,
li nascondo come fossi io il cibo per i cannibali alla loro orgia.
Aspettano con la bava alla bocca per saziarsi come si deve,
mentre di me si è quasi esaurita ogni sorta di scorta per non morire.
Li ho visti ubriachi di rosso analcolico bere da cannucce a forma di arterie,
ebbri di plasma invecchiato male
con rutti e bestemmie a brindare alla mia salute.Il bisogno mi scricchiola attraverso le nocche a tutte le ore,
non c'è nemmeno il tempo per vomitarmi attraverso le unghie come so fare.
L'urgenza è un'ombra che sfotte mentre cerca di seminarmi,
si lascia ammirare senza battere ciglio da brava puttana con le gambe aperte.
In ginocchio per l'ennesima volta controvoglia,
in attesa che a turno vengano a fiotti giù per la gola.
Strattonano e inchiodano ogni accenno di gesto,
e lo sfogo ingoiato insieme a ciò che penso in un miscuglio che ha la parvenza di rigurgito giallo.E il cosmo che fuori lacrima al mio posto,
perché se mi mostro umana perdo il diritto di belva immonda.
E intanto faccio da eco ai fulmini
con urla strozzate tra i sibili,
coi timpani stuprati da chitarre e percussioni,
perché non riuscirò forse mai a rialzare la testa come conviene:
una debole con mille handicap a cui attenersi,
uno sbaglio da giudicare per sentirsi meglio,
tempesta annunciata a distanza di miglia,
fuoco femmina tra fiamme e disastri.