Capitolo 3. - Meeting.

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Code 01.

Capitolo 3.  – Meeting.


Jason's pov.

Era ormai una settimana che ero rinchiuso lì dentro, e non era cambiato assolutamente nulla, stessa routine ogni mattina, ne avevo già abbastanza.

Non ho mai avuto paura delle autorità, non erano mai riusciti ad incutermi timore o spavento, eppure, mi perseguitavano da un'intera vita.

Sono finito dentro più e più volte, per piccoli reati, all'inizio, poi col tempo, sono diventato un uomo migliore, i reati aumentavano, fino a diventare omicidi.

Molte persone mi consideravano pazzo per ciò che avevo fatto a quelle "povere persone innocenti", ma io, non riuscivo a vedere ciò che vedevano loro, riuscivo soltanto ad immaginare lo scalino più alto della mia carriera, il rispetto guadagnato ed il potere.

Venivo considerato pazzo perché un uomo normale non avrebbe mai fatto quelle cose alla sua famiglia, non si sarebbe neanche azzardato a toccare sua madre, o suo padre, mentre io, io l'avevo fatto e la cosa più strana era che tutto ciò, mi piaceva, provavo un assurdo piacere ed un'assurda soddisfazione nel vedere le persone soffrire a causa mia, e non potevo farne a meno, il sangue, il dolore, la sofferenza e gli omicidi, mi rendevano libero.

Il potere era tutto ciò che desideravo.

Le guardie non mi toglievano gli occhi di dosso, erano diventati un ossessione ormai, non potevo neanche pisciare in santa pace.

"Posso almeno pisciare senza i vostri occhi addosso?" Dissi con la mia solita insolenza, mentre mi alzavo da quella panca ormai vecchia che chiamavano letto, per poter andare verso la bacinella dove fare i miei bisogni.

Ottenni come risposta una scrollata di spalle da parte della guardia, prima di girarsi al lato opposto, finalmente.

Feci ciò che dovevo fare e poi tirai su nuovamente la mia divisa arancione, prima di sentire un rumore proveniente dalla porta blindata della mia cella, dunque, mi girai e ritrovai dinanzi a me un'ulteriore guardia, armata di manette e catene.

"Queste non ti serviranno se ti comporterai bene -disse egli, puntando il suo sguardo sulle manette che aveva tra le mani- seguimi 01"

"Oh per carità, sono un angioletto, non trova?" Dissi io, con un tono sarcastico ovviamente, mentre allungavo gli angoli delle mie labbra in un sorrisetto sghembo e mi avvicinavo alla guardia alzando le mani in aria in segno d'arresa.

La guardia iniziò a camminare lungo il corridoio facendo segno di seguirlo, e così feci, non sapevo esattamente dove stessimo andando ma non era l'ora dei lavori e neanche dell'ora libera.

"Dove stiamo andando?" Dissi, sperando che almeno uno di loro rispondesse senza troppi giri di parole.

"Oggi hai la tua seduta con la Dottoressa, non fare troppe domande, 01" rispose, con un tono quasi scocciato, di certo, se non fossimo stati lì dentro, gli avrei puntato una pistola alla tempia, per il tono che stava usando.

Dopo poco, arrivammo in una cella che si trovava in un'altra area, era isolata da tutte le altre.

Le guardie mi intimarono ad entrare e così feci, misi piede in quella cella e mi guardai intorno, prima di incrociare lo sguardo della donna seduta dinanzi a me, a separarci era un tavolo di piccole dimensioni, dove ella posava le sue piccole e curate mani.

Nel frattempo l'uomo che mi aveva accompagnato, era intento ad agganciarmi le manette ai polsi.

"Siediti e sta fermo, parla solo quando lei ti dirà di farlo, ricorda che sei controllato anche qui, non fare cazzate" disse la guardia prima di guardare la donna, che nel contempo gli fece un cenno col capo, e lui lasciò la stanza, dunque, ora eravamo soltanto io e lei, mentre io mi ci sedevo dinanzi.

Non era male, anzi, poteva essere considerata una bomba sexy, aveva i capelli biondi legati in uno chignon, degli occhiali neri ed un camice bianco che la caratterizzava, le sue labbra erano davvero carnose e rosee e la sua pelle era bianca, pallida, sembrava porcellana.

"Ciao Jason" la sua voce fievole riempì la stanza improvvisamente.

"A lei, bellezza" dissi in modo spavaldo.

"Aleida, mi chiamo Aleida Martinez, e ti guiderò in questo percorso, analizzerò tutto ciò che serve per capire se stai effettivamente migliorando o meno, e credimi, ti servirà se vorrai uscire da qui, dovrai fare un gran lavoro" disse, era così sicura di sé ma a tratti sembrava quasi spaventata da qualcosa, o forse, da me.

"Oh, mi creda, uscirò molto presto da qui" parlai mentre giocherellavo con le catene delle mie manette, tenendo lo sguardo fisso sul suo.

"Dimmi come ti senti, in questo momento"

"Benissimo"

Mi guardò quasi come se le stessi mancando di rispetto.

"Jason, non stiamo perdendo tempo, se hai voglia di prendermi in giro, passerò al secondo paziente"

"Oh come siamo irascibili, non si preoccupi, bellezza, non voglio farle perdere tempo, il lavoro è lavoro" dissi con un tono abbastanza intimidatorio.

"Allora dimmi come ti senti, essere qui, i tuoi trascorsi, come ti fanno sentire, Jason"

"Come mi fanno sentire? Fiero di me, orgoglioso di ciò che ho fatto, mi fanno sentire libero, e non le nascondo che provo una certa nostalgia, sa, sentire le urla delle mie vittime mentre le loro anime abbandonavano piano i loro corpi, era qualcosa di esilarante"

Il suo viso, però, era impassibile, come se quelle cose non la toccassero minimamente.

"Ha mai provato, Dottoressa Martinez? Ha mai provato l'ardore del sangue delle vittime sul suo viso? Ha mai provato l'estasi di uccidere qualcuno?" Avvicinai il busto in avanti mentre pronunciavo quelle parole, avendo, di conseguenza, una maggiore vicinanza a lei, anche se il tavolo ci divideva.

"Non hai mai provato pena per qualcuno, tanto da lasciarlo andare, Jason?"

"No, mai, lasciare andare una delle mie vittime è come rendere prigioniero me, ed io sono più importante"

"La vita di quelle persone vale quanto la tua, Jason, tu lo sai, vero?"

"Oh sì, ma è valsa per portarmi al potere"

"Il potere? Qui non esiste potere, uccidere non ti ha portato alla libertà, ti ha portato qui, rinchiuso in una cella con delle guardie a controllarti ventiquattro ore su ventiquattro, questo è potere per te, Jason?"

"Non parlo di questo, Dottoressina, lei non capisce un cazzo"

Ormai sentivo che la rabbia stava ribollendo dentro di me, quella donna mi stava irritando e non poco, se il suo lavoro era far incazzare le persone, ci stava riuscendo benissimo, ed io non ero bravo a controllare la rabbia.

"Non riesci ad accettare la realtà, e se non lo farai, non sarai mai davvero libero"

"Lei pensa di educarmi, non è così? Pensa di venire qui e farmi cambiare idea, o vita, è soltanto una povera illusa, sono già condannato e lei non può cambiare le cose"

"Ma posso cambiare te, puoi ancora avere una vita normale, Jason, se solo ti pentissi di.."

"No, non lo farò, sono felice di aver fatto ciò che ho fatto- la bloccai sul tempo prima che potesse dire altro -guardie, ho finito qui" urlai.

Non ebbe tempo di dire altro che le guardie entrarono all'interno della stanza per portarmi via di tutta violenza, come al solito.

La dottoressa rimase quasi scioccata da ciò che avevo appena affermato, si aspettava forse che avrei parlato, o perlomeno, che avrei detto di essermi pentito di quell'atto che lei, e tutti quanti, giudicano tanto crudele.

Era il motivo per cui mi avevano sbattuto lì dentro, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, qualche infame aveva fatto la spia e aveva rivelato dove mi nascondevo, era la persona di cui mi fidavo di più, e ciò che era successo, mi aveva insegnato a fidarmi soltanto di me stesso.


Angolo autrice:

Che ne pensate? Siccome non so se questa storia stia piacendo o meno, vi va di lasciarmi un voto o un commento? Mi farebbe davvero tanti piacere, bellezze.. Alla prossima!

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