Capitolo 4. -Enemies.

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Code 01.

Capitolo 4.   –Enemies

Jason's pov.

Giorno numero cinque:

Noia, la noia era tutto ciò che riuscivo a provare in quel posto, a differenza di altri, io non provavo paura o spavento per ciò che mi sarebbe accaduto se non mi pentivo di ciò che avevo fatto, o non mostravo segni di miglioramento, io mi annoiavo, volevo altro nella mia vita, e tutto ciò mi stava solo ostacolando, mi stava facendo perdere tempo e non ne potevo più.

Secondo il loro ragionamento, pentendomi avrei potuto ottenere il patteggiamento, e di conseguenza, uno sconto di pena, mi dicevano, ma che senso aveva? Nessuno di loro si pentiva realmente, era soltanto uno scopo per arrivare alla libertà, nessuno pensava davvero di aver sbagliato, la maggior parte delle persone che l'avevano fatto, un mese dopo venivano nuovamente rinchiuse perché ritornavano ad uccidere, spacciare o quant'altro, anche se poco dopo venivano uccisi per aver fatto qualche nome di troppo.

Nomi di troppo, ecco cosa i detenuti dovevano evitare, fottuti nomi di troppo, non riuscivo a capire perchè, pentendosi dei loro crimini, dovevano nominare qualcun altro, che invece, di pentirsi non ne voleva proprio sapere.

Il mio processo ci sarebbe stato a giorni e la psichiatra non aveva nessun contenuto su di me, se non un attacco nei suoi confronti e l'essermene andato prima di finire la seduta.

Il processo non sarebbe stato molto semplice, avevo dei complici che mi avrebbero aiutato ad uscire di lì, dovevano testimoniare falso, dovevano dire cazzate del tipo che ero un bravo ragazzo e che di prove concrete non ce n'erano, ma chi più di me sa come vanno queste cose? La cosa più importante era arrivare al giudice, dovevo comprarmi anche lui, o meglio, minacciarlo per farmi assolvere dai miei peccati, e chi più di me riusciva a farlo.

Durante la sentenza doveva esserci anche mio fratello, sì, avete capito bene, il mio gemello, Anwar.

Anwar era l'unico sopravvissuto al massacro che feci della mia famiglia, la polizia arrivò prima che riuscissi ad ucciderlo come avevo fatto con mia madre, mio padre e la mia piccola sorellina.

Era identico a me, avevamo un bel rapporto, ed ammazzarlo non era tra i miei piani, ma le cose si stavano complicando e lui poteva parlare fin troppo.

Sicuramente al processo avrebbe fatto di tutto per rinchiudermi a vita e farmi arrivare alla pena di morte, ma sfortunatamente per lui, ero stato classificato come "malato mentale", più precisamente, avevano scritto la cazzata dell'anno, secondo loro soffrivo di un disturbo bipolare della personalità e schizofrenia.

Ero bravo a recitare, avevo fatto sì che loro credessero fossi pazzo, e così è stato, dunque uscito da questo tugurio, mi sarei occupato anche di lui.

Giravo e rigiravo in quella piccola stanza in attesa di essere portato fuori per i lavori forzati, le guardie, in questi cinque giorni, non mi avevano tolto gli occhi di dosso ed attendevano una mia mossa pericolosa per aggiungere altro al mio "curriculum", volevano tutti la mia rovina.

Mi portai la mano tra i capelli e lentamente li districai in segno di nervosismo, mentre sbuffavo pesantemente, non volevo altro che ritornare alla mia vita.

D'improvviso mi sentii chiamare dalle sbarre che contornavano la porta della mia cella, durante il giorno non la blindavano, perché eravamo più controllati, mentre la notte accadeva il contrario.

Alzai velocemente il capo per ritrovarmi una guardia dinanzi alle sbarre, non l'avevo mai visto, era un volto completamente nuovo.

"Jason, avvicinati" mi disse, guardandomi dritto negli occhi, quasi come se volesse dirmi qualcosa, e così feci, mi avvicinai rapidamente all'uomo e non appena fui dinanzi alle sbarre, misi le mie mani su queste ultime, impugnandole ed aggrappandomici, fissando il mio sguardo sugli occhi azzurri dell'uomo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 26, 2018 ⏰

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