Capitolo 29

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Harry
Dopo gli ultimi avvenimenti, non ho fatto altro che passare il tempo fuori casa, con Alex non ci parlo da un po', lo stesso con la mia famiglia, non riesco proprio a perdonarli per tutto il male ricevuto. Che situazione del cazzo, sono totalmente solo ad affrontare tutto questo e non faccio altro che pensare a Emy, a quanto ho fatto schifo, avrei dovuto telefonarle per chiederle scusa, ma non ne ho avuto il coraggio. È più di un'ora che sono al parco, rifugiato in uno di quegli enormi tubi, con una sigaretta tra le labbra, ormai è tardi e non ho intenzione di tornare a casa. I miei pensieri non fanno altro che tormentarmi e farmi credere di non essere abbastanza. Faccio un lungo tiro alla mia sigaretta e scaccio via il fumo in eccesso.

«Sapevo di trovarti qui.» dice una voce troppo familiare per non riconoscerla.

Alzo lo sguardo e lo vedo, con il suo solito abito elegante anche all'una di notte, ma come fa?

«Papà... come facevi a sapere dov'ero?» esco dal tubo e butto la sigaretta, schiacciandola col piede.

«Venivi a nasconderti sempre qui da bambino» Sì, me lo ricordo. «dicevi che era la tua casa e che vivere con noi non ti piaceva... così scappavi.» il suo sguardo diventa triste. «Non ho mai capito quanto ti facesse soffrire non avere una madre... con tua sorella che ti tormentava.» Resto in silenzio, ascoltando le sue stronzate. «Ma ora capisco e voglio rimediare.» Non so se riuscirò a provarci, ma sembra pieno di speranze, pieno di forze. «Torniamo a casa, figliolo.»

Nel sentirgli pronunciare quella parola, non posso fare a meno di sorridere. Forse non è tutto perduto e magari si sente davvero in colpa. Allarga le braccia e mi fa cenno di abbracciarlo, ma resto immobile e impacciato, allora mi afferra per le spalle e mi stringe, posandomi un bacio sulla testa.

«Non esagerare, adesso!» dico, cercando di mantenere la solita aria da duro, allora ridacchia e insieme ci incamminiamo verso casa.

Avete presente quella sensazione che si prova quando chiarite un dibattito con qualcuno e siete sereni, in pace con voi stessi? È così che mi sono sentito ieri sera. Quando siamo tornati a casa, mio padre sembrava perfetto e mia sorella mi ha persino chiesto se avessi fame, nonostante l'ora. Non capisco cosa sia cambiato, d'altronde erano consapevoli del fatto che non c'entravo nulla con la morte di mia madre. Qualcuno bussa alla porta della mia camera, interrompendo i miei pensieri.

«Chi è?» chiedo scocciato.

«Harry, vieni in salotto, papà ci vuole parlare.» mi informa Clara.

«Arrivo.»

È diventata docile, incredibile. Strano che nostro padre sia già tornato a casa, sono solo le tre del pomeriggio. Mi alzo dal letto, stiracchiandomi e poi esco dalla stanza, raggiungendo le scale che conducono al piano di sotto. Le percorro lentamente, come se non avessi voglia di ascoltare le parole di mio padre, ma poi arrivo al soggiorno, dove incontro entrambi seduti sul divano. Lui ha un sorrisetto strano stampato sul viso ed è la prima volta che lo vedo così.

«Siediti, figliolo.» mi invita accanto a lui, ma mi siedo sulla poltrona di fianco. «Ho una bellissima notizia da darvi.» comincia, sorridendo ancora di più.

«Non tenerci sulle spine.» dice Clara.

«Ho cambiato lavoro!» esclama, guadagnandosi i nostri sguardi accigliati. «Cioè, sarò sempre professore di psicologia, ma in un'altra università.»

«E perché dovrebbe essere una bella notizia, ti pagano di più?» chiede Clara, mentre io continuo a restare in silenzio, cercando di capire cosa ci sia di così diverso e sensazionale.

«No, ma sarò molto più vicino casa, in questo modo potremmo cenare insieme.»

«Congratulazioni.» Clara si alza e lo abbraccia. «Sono felice.»

Ti amo e ti odio! 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora