Ti fidi di me?

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"Fidati di me
Fino a quando ci riesco
A farti ridere
Per tutto il tempo in cui ti tengo
Stretto a me."

Il modo in cui mi sorrideva mi lasciò senza fiato. Amavo guardare le persone ma ancor di più lui. Era di una dolcezza disarmante eppure in quell'uomo c'era qualcosa di nascosto ed oscuro. Non era più come prima. E prima com'era? E adesso cosa sarà?
Erano state dure le sue parole, un uomo forte senz'altro, ma mi era sembrato fragile di fronte ai miei no.
Una corazza dura lo ricopriva interamente e la lasciava brillare alla luce del sole, forse per allontanare chi si sarebbe avvicinato. Eppure, quei suoi occhi verdi lasciavano intravedere un po' di quel fragile guerriero spogliato delle sue sicurezze.
La notte pensai a questo, alle mie parole così ben ponderate. Al suo sguardo sorpreso che corrispondeva ad una certa verità. Lui voleva sapere di me ed io volevo sapere di lui. Come un bisogno reciproco.

La routine ricominciò e da quando avevo conosciuto quell'uomo, di cui ancora non so il nome, le mie occhiaie si erano fatte sempre più grandi.
Alice arrivò con un leggero ritardo in caffetteria e come se fosse una necessità, gli raccontai il mio incontro notturno.

"Ah! Lo sapevo che sarebbe ritornato. Che ti metterai stasera? Mh, magari uno di quei vestiti sexy che hai? Mica vuoi andare in tuta? E poi com'è intrigante quest'uomo..."

"Alice! Risvegliati dai sogni, non so neanche se ci andrò. Non gliela voglio dar vinta. E poi nessun vestito sexy, non è nessuno di così importante e voglio essere me stessa comunque sia.
A me dà sui nervi."

"No. Mossa sbagliata. Lui è come te. Nel senso, se tu non andassi, lui ce l'avrebbe a morte con te! E ti terrebbe il muso per non so quanto. Cioè, hai visto come ha reagito solo per il fatto che non gli hai risposto subito? Immagina se non andrai."

In effetti aveva ragione.

"Margherita!" Mi richiamò dai miei pensieri.

"Io so tutto e so che lo vuoi conoscere."

Il mio silenzio zittì tutte le altre possibili risposte.
Il tempo passò in fretta ed ero decisa ad andare. Alice aveva ragione dentro di me era nato qualcosa, volevo scoprire chi fosse.
Poi mi ricordai delle sue parole. Non avrei dovuto tardare. In fondo anche lui viveva di queste fantomatiche aspettative e a quanto pare non riusciva neanche ad aspettarle.
Appena misi i piedi fuori dalla caffetteria, un temporale si abbattè su Londra. La pioggia cadeva veloce e copiosa e mi sarei bagnata tutta prima di arrivare in pizzeria.
Riflettevo sul da farsi e nel frattempo l'ansia di quel "non tardare" incombeva su di me. O mi bagnavo tutta o non andavo.
In bilico. Guardai il mio orologio.
8.59 PM
Inutile dirvi che iniziò una corsa sotto la pioggia.

Le gocce cadevano sul viso ed io mi sentivo libera. Sentivo di star facendo la cosa giusta, che quelle scarpe che battevano sulla pioggia, erano il giusto suono.
Vedevo la pizzeria e chiusi gli occhi. Erano gli ultimi metri e poi andai a sbattere.

Mi ritrovai addosso ad un corpo alto e possente, ma per fortuna ero ancora in piedi. La prima cosa che vidi fu un cappotto nero. Poi alzai lo sguardo e lo vidi scoppiare a ridere. Una grossa risata, nuova a miei occhi.

"Pensavo non venissi."

La pioggia batteva forte su di noi, ma noi eravamo in un altro mondo. Le mie ciocche erano zuppe e le sue appena bagnate.

"Ed ora, sei tutta zuppa. Sei terrificante."

Alzai le sopracciglia e gli puntai un dito contro dicendo:

"Come osi? Sono venuta qui per te, sotto una pioggia battente e quello che sai dirmi è solo un'offesa. Quando inventeranno dei capelli impermeabili, ti permetterò di prendermi in giro."

Si mise a ridere ancora e poi mi abbracciò improvvisamente. Mise il suo viso sull'incavo del mio collo.
Io ero sorpresa e solo dopo ricambiai il suo abbraccio.
Poi ridendo gli dissi:

"Forse è il caso di andare in un posto al riparo? Non siamo in un film, prenderò la febbre."

Si staccò improvvisamente e passandosi una mano tra i capelli disse:

"Scusami. Dove vorresti andare? Credo che andare in pizzeria conciati così non sia il caso."

"Vieni da me. Faccio qualcosa di buono e credo di avere per te qualche maglietta rubata ai miei fratelli."

Poi mi girai per andare verso casa e aggiunsi:

"Ah, e non pensare male. È solo perché siamo zuppi e impresentabili."

Lo sentii ridacchiare.

"Si ma vorresti tornare a casa sotto la pioggia? Ho la macchina, vieni con me."

"Ah, così finiamo in bellezza. Ma no, non è tempo. Ti devo ricordare che siamo solo due sconosciuti? Non si sale in macchina degli sconosciuti." Imitai la voce e le movenze di una bambina.

"Ma stai zitta, vieni e basta. Giuro di non fare nulla."

Mi prese per un polso e mi portò verso la sua macchina.
Mi aprii la porta, da vero gentiluomo, ed entrai nell'abitacolo e l'occhio mi cadde su alcune pasticche.
Non avevo errato.
Poi entrò anche lui e dovetti subito spostare il mio sguardo, avevo paura che pensasse male.
Accese la macchina ed io iniziai a spiegargli dove abitassi ma mi fermò subito:

"Mi ricordo dove abiti. Mi ricordo sempre sempre tutto."

"Ma era notte! Non ci credo."

"Ti fidi di me?"

Abbassai lo sguardo.

"Come mi hai fatto a trovare quella sera? Intendo di fronte al negozio di antiquariato."

"Semplice, ti ho seguita."

"Vorrei farti una domanda. Ma per caso sei uno stalker? Avvertimi così scendo dalla macchina."

"Sei interessante."

"Non giustifica il tuo essere stalker questa affermazione."

Non riuscii a finire il discorso poiché ero già arrivata a casa. Sapeva dove abitavo. E la cosa faceva paura ma era anche estremamente bella.

"Ecco vedi, sana e salva a casa. Nessuno stupro, nessun incidente. Margherita sei troppo paurosa, lasciati andare."

Chiusi la porta e ripensai alle sue parole. Mi aveva chiamata per nome e questo come lo sapeva?

"E adesso come diavolo sai il mio nome?"

"Ed anche troppo attenta."

Mi fermai sul marciapiede ed alzai un po' il tono della voce:

"Ora me lo dici."

"Ti ho sentita chiamare così in caffetteria e non me lo sono più dimenticato. È un nome italiano."

Ripresi il passo ed aprii il portone. Salimmo le scale ed entrammo in casa.

"Piccolina!" Esclamò appena entrato.

"Si deve pur campare."

"Hai difficoltà economiche?"

"Vivo da sola e questo è tutto quello che posso permettermi. È il mio mondo. Piccolo ma è mio."

"Mi piace il bianco."

Le pareti della mia casa erano molto chiari. Io mi sarei dipinta di nero per il caos che regnava dentro di me, ma il rientrare a casa e nelle mie stanze, mi doveva far ritrovare la pace.

Entrai in camera mia e gli presi alcune maglie e dei pantaloncini.

"Sono dei miei fratelli, penso ti possano stare bene. Cambiati in camera e poggia i vestiti per terra. Li metterò in asciugatrice dopo."

"Agli ordini, mamma."

Mi misi a ridere e mi chiusi in bagno. Mi cambiai anche io ed uscì. Lo vidi con maglietta e pantaloncini e mi sembrò così familiare. Lo superai ed andai in cucina.

"Cucino qualcosa."

Mangiammo un po' di pasta e mi fece i complimenti. Poi sì passò per l'ennesima volta le dita fra i capelli e disse:

"Cosa significa?"


Nel cassetto dei miei erroriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora