Vexania

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MALHORN  capitolo 1

Nessuno avrebbe mai pensato che il maligno po­tesse nascondere davanti a Dio ed agli uomini il mistero che ora sto per raccontarvi.  Nell'estate del 1990 la famiglia Neil decise di passare le vacanze estive in un piccolo paese tra le colline del Maine.
  Anche se ciò che ascolterete vi farà pensare che questo nucleo familiare abbia un qualcosa di particolare rispetto a qualsiasi altro tipo di famiglia, vi sbagliate di grosso. Questa è una famiglia come tante altre, che vive in posto come tanti altri e potrebbe esserci chiunque di voi al loro posto.
  Papà Robin è un uomo di cinquant'anni, un po' grassottello, alto circa un metro e settanta, ma lui si ostina a dire che è un metro e settanta­tre; da giovane era molto più attraente ma ancora adesso ha quel che si dice il "fascino del capel­lo bianco".
  Non aveva mai avuto la passione per lo studio e fu per questo la pecora nera della sua famiglia: quattro fratelli di cui lui  solo non aveva rag­giunto nemmeno un titolo superiore o professiona­le. Preferì sempre andare al lavoro; da quando aveva tredici anni il pomeriggio anziché studiare andava ad aiutare il meccanico sotto casa, con le furie di suo padre naturalmente; a quindici dopo la scuola si era ormai fatto assumere quale aiuto barista nel Bar centrale di Korgen.
  A ventitre anni, dopo un pessimo militare tra­scorso nell'Oklaoma, trovò quello che sarebbe stato il suo impiego attuale al "Dek-Sport", un negozio di articoli sportivi che si addiceva pro­prio al suo carattere brillante e pratico  ed in più si fondeva magnificamente con il suo incubo maggiore, vale a dire la paura di ingrassare come suo padre. Non che facesse molto,  ma l'essere a contatto con così tanti attrezzi per mantenere la linea lo faceva rimanere più sicuro, era come dormire con una pistola per un pregiudicato. Così passarono gli anni e Robin, pur mettendo su la classica pancetta, non perdeva sicuramente il suo fascino, dotato inoltre di un attributo da madre natura, i mitici occhi verdi su capelli castani. Era la combinazione a più alta richiesta nelle classifiche di vent'anni fa e le ragazze ne anda­vano matte.
  Una di queste ragazze entrò nel negozio di Ro­bin per comprare delle palline da tennis, ma in quel momento la sua lingua si impastò, i suoi grossi occhi azzurri rimasero aperti come due lampioni in piena notte, ed il suo corpo longili­neo si pietrificò d'incanto su quella piastrella del pavimento vicino al bancone.
  Dall'altro lato del bancone Robin non fece di meglio ed altrettanto pietrificato con uno sguar­do carnivoro sbranò quella stupenda bionda visio­ne. Era veramente bella, magra, slanciata, due gambe da far invidia a qualsiasi modella, ed an­che a curve non stava per niente male anzi,  un intenditore di motorismo avrebbe detto che ci si trovava di fronte ad un percorso con molte curve, parecchie chicanes e pochi rettilinei: insomma veramente un gran bel pezzo di ragazza.
  Ma la parte più bella è che da quando ruppero gli indugi e cominciarono a capirsi, prima con un linguaggio primitivo fatto di gesti, poi di brevi parole ed infine con parole di senso compito, Ro­bin e la sua deliziosa cliente non si lasciarono praticamente mai più. Quella ragazza  era proprio la sua Nancy, che ancor oggi mantiene quell'invi­diabile linea di vent'anni fa e non mostra asso­lutamente alcun segno di rughe improvvise o i passi di un tempo che trascorre ma mostra invece ancora quegli stupendi capelli biondi ora raccol­ti con un fiocco rosa.
  Nancy in quell'anno avrebbe spento quarantatre candeline, e sebbene avesse quindi qualche anno meno di Robin e i più maligni avrebbero potuto pensare che a lungo andare questa differenza di età si sarebbe trasformata in una strana protube­ranza sulla testa di Robin, Nancy era sempre sta­ta per natura una ragazza semplice, fedele e an­cor più direi ancorata a quei vecchi valori lega­ti alla famiglia che forse al giorno d'oggi si stanno un po' appannando.
  Figlia unica, ma non per questo viziata, Nancy andò a vedere il suo primo film a sedici anni, però con mamma e papà, mentre il suo vero primo film da "libera", lo vide proprio con Robin, il quale subì un interrogatorio per circa tre giorni da parte del padre di Nancy.
  Alla fine riuscì a strappare un sì tiratissimo, firmando praticamente un impegno solenne, sotto­scritto col proprio sangue che sarebbero ritorna­ti non più tardi delle undici e trenta.
  Questa fu la sua prima uscita e fu anche l'ini­zio di una storia che durò per sempre. Prima di Robin infatti non vi fu nessun altra persona con cui uscire o qualche amico o amica con cui gioca­re o parlare. Per questo veniva presa anche in giro dalle sue compagne di scuola, ma a lei sem­brava non importare nulla di tutto ciò quasi fos­sero loro fuori dal mondo e non proprio lei. Cer­to deve essere difficile per chi non ha mai vis­suto in un certo modo credere di stare sbaglian­do; ma altrettanto vero è che se le sue compagne vivevano in un modo diverso dal suo, non potevano essere certe che fosse Nancy a sbagliare; forse erano proprio loro nell'errore.
  Questo fu il pensiero che fece resistere Nancy ad una probabile pazzia, l'autoconvincersi che ci fosse un dubbio: forse sbaglio io, ma forse sba­gliano anche loro ! Certo fu un bel dilemma, ma sicuramente fu molto utile per superare un'osses­sione nei suoi confronti forse un po' troppo vio­lenta, che non cessò neppure quando si diplomò alla scuola per segreterie di Korgen e fu segna­lata come migliore allieva dell'ultimo corso per l'assunzione alla General Motors. Sua madre si oppose, il padre prima titubò poi si schierò con la moglie e così Nancy a diciassette anni si tro­vava nella stessa situazione di dieci anni prima, vale a dire con un collare legato al collo che nessuno  aveva voglia di sciogliere.
  Ci vollero proprio delle palline da tennis per effettuare il salto di qualità. E pensare che le palline erano per i vicini di casa e che se non gli avessero chiesto quel piacere non avrebbe mai incontrato Robin.
  Fu difficile, soprattutto per Robin, ma la sua solida posizione economica, le sue buone inten­zioni e soprattutto il coraggio di venire a chie­dere la loro unica figlia dovevano averli fatti rinsavire di botto; fatto sta che da quel giorno i genitori di Nancy cambiarono rotta ed anziché far viaggiare la loro unica figlia controcorrente la lasciarono correre col vento in poppa.
  E così, dopo cinque mesi da quel tentativo di acquisto di palline da tennis, Nancy e Robin an­darono all'altare per la gioia delle rispettive famiglie. Cinque mesi più tardi la madre di Nancy sarebbe morta in condizioni alquanto sgradevoli. 
L'anno seguente nacque Albert e dopo dodici me­si arrivò Cheryl.
  Non furono per niente facili i primi momenti, ma sia Robin che Nancy riuscirono a superare le varie difficoltà che la vita  metteva sul cammi­no.
  I loro due figlioli sono l'esempio della voglia di vivere che ognuno di noi ha dentro.
  Albert è un ragazzo di vent'anni, alto un metro e ottanta, fisico da atleta, assomiglia molto a suo padre, quando era giovane naturalmente; due occhi da strage di donne ed un look piuttosto  casual, anche se non disprezza per niente il classico giacca e cravatta. Studia al liceo, fre­quenta il quarto anno e vorrebbe diventare inge­gnere, ma non ne è troppo convinto. E' veramente quel si dice un bel ragazzo, un capo carismatico, il classico tipo che diventa capo classe sin dal­le elementari, capitano della squadra di foot­ball, quello che decide con gli amici dove si va il sabato sera.
  Un po' diversa è sua sorella Cheryl, di un anno più giovane, che somiglia certamente più alla ma­dre ed ha un carattere più calmo e meno rigido del fratello. Frequenta infatti come fece la ma­dre, una scuola di segretariato aziendale ed or­mai è al terzo ed ultimo anno. Dopo vorrebbe an­dare a  lavorare e certamente penso che sua madre non glielo impedirà.
  Cheryl è una ragazza molto carina anche se non eccezionale: non aveva i classici capelli biondi ma rossi, forse li aveva ereditati da un vecchia prozia che raccontava Robin di aver avuto nel se­colo scorso, ed aveva inoltre il corpo cosparso di lentiggini che la rendevano stranamente at­traente. Era un po' più robusta della media però non scherzava assolutamente in fatto di attributi che, soprattutto quelli anteriori, erano il sog­getto principale dei sogni di parecchi suoi com­pagni di classe. Da qualche tempo poi aveva cam­biato sia il modo di vestire, che il tipo di pet­tinatura. Ora era passata a jeans e magliette con le scritte più svariate, mentre prima, forse sot­to consiglio della madre si ostinava a portare delle gonne a dire il vero un po' fuori moda che mettevano in evidenza i polpacci carnosi.
  Anche la pettinatura  era cambiata: prima aveva due trecce in testa, mentre ora aveva lasciato crescere i capelli e vi aveva fatto una leggera permanente che rendeva la sua chioma molto volu­minosa, ma anche attraente. Gli occhi marroni a­vrebbe voluto cambiarli con delle lenti a contat­to colorate ma a questo punto suo padre, a pieno diritto, gli aveva minacciato delle conseguenze spiacevoli.
  Sebbene il succedersi dei fatti potrebbe far pensare che la scelta di trascorrere le ferie a Malhorn potrebbe essere stata casuale, in realtà buona parte del peso che fece tendere la bilancia verso quello strano paesino, sconosciuto ai più ma non per molto, era legato alla nascita di Al­bert.
  Albert per delle strane circostanze che nel corso  della storia vi spiegherò, vede scritto sulla propria carta di identità " nato a Korgen City - Maine ", ma in realtà lui nacque a Mal­horn. Tale fatto non poté non riemergere nella mente di Robin, suo padre, non appena lesse quell'inserzione sul "Post", insieme ad una dose di curiosità mista ad una voglia recondita di ri­vedere quel luogo come un assassino sul luogo del delitto.
  Sarebbero sicuramente state delle vacanze di­verse, soprattutto per gli avvenimenti che vi sa­rebbero accaduti, ma anche perché, per la prima volta, la famiglia Neil non ritornava per le va­canze estive nella solita casa sul mare vicino alla baia di East River.
  In realtà non avrebbero dovuto passare delle vacanze tutti insieme, o meglio Albert e Cheryl non avrebbero potuto trascorrere molto tempo con i loro genitori dato che la scuola  non aveva portato grandi risultati . Albert infatti aveva sostenuto sino alla fine dell'anno scolastico la sua antipatia per la matematica e lo stesso fece sua sorella per la letteratura. Naturalmente fre­quentando il penultimo anno Albert ed il terzo Cheryl, non c'era da stare molto allegri.
  Fu per questo che i loro genitori quest'anno non intendevano assolutamente cedere alle pres­sioni per una vacanza in grande stile.
  Poi all'improvviso apparve quell'annuncio sul giornale; sembrava fatto apposta per loro: la classica casetta in campagna, silenzio, tranquil­lità e soprattutto la possibilità per i figli di studiare lontano dalla città.
  La notizia non fu presa con molto entusiasmo, soprattutto da Albert, Cheryl invece intravide per lo meno la possibilità di cambiare un po' di aria alle proprie circonvoluzioni.
  Robin chiese le ferie per tutto il mese di ago­sto, del resto il negozio di articoli sportivi presso cui lavorava non aveva particolari esigen­ze in quel periodo ed il suo principale non fece alcuna obiezione alla richiesta .
  Nancy dall'alto della sua posizione di casalin­ga fu felice una volta tanto di poter trascorrere le vacanze in un modo diverso e senza dover poi raccontare al ritorno, alle proprie amiche, le solite storie di vicissitudini amorose che rego­larmente si svolgevano nella baia di East River, la meta fissa di tutti gli abitanti di Korgen Ci­ty.
  Non c'era individuo di tutta la città che non vi avesse passato almeno una settimana filata tra luglio e settembre, il tutto per il solo gusto di fare il pieno di pettegolezzi per i restanti un­dici mesi e gustare e meditare le varie mosse di questo o quel tizio.
  Nancy era ormai arrivata sull'orlo di una crisi di rigetto per East River tanto che l'anno prima, piuttosto che andarvi a passare anche solo un week- end, rimase in città per tutta l'estate.
  Venne dunque a proposito quella graziosa casa nella tenera pianura dello Shiring dove il verde e la vegetazione non lasciano alcuna ombra di dubbio sulla propria intenzione a non voler la­sciare spazio a cemento e autostrade.
  Così infatti riportava la descrizione del gior­nale e si riferiva ad una villetta nei pressi di Malhorn, nello Shiring .
  Forse fu proprio quello il più grande sbaglio commesso nella storia della famiglia Neil: loro non andarono a vedere il posto,  presero in af­fitto quella casa ad occhi chiusi, come guidati da un istinto sconosciuto. Solo quando la videro si resero conto del loro affare e allora capirono  perché i nonni,  raccomandavano sempre a figli e nipoti di controllare la merce prima di ogni ac­quisto.
  Vi arrivarono dopo un viaggio di circa tre ore sotto un sole cocente. Pensavano di poter evitare le grandi code del mese di agosto, ma dopo vari calcoli sulle probabilità di intasamento e varie scommesse con amici e figli, Robin si vide co­stretto ad ammettere il fallimento più completo nella scelta dell'orario di partenza.
  Non fu necessario effettuare delle soste in au­tostrada poiché l'autostrada era una sosta conti­nua. Non vi fu viaggio più tranquillo di quello verso Malhorn, forse un preludio a tutto ciò che da lì a poco sarebbe capitato.
  Arrivarono intorno alle due del pomeriggio, non passarono neanche per il paese poiché dopo l'u­scita dall'autostrada all'indicazione Strawbery,e dopo la deviazione per Malhorn ed il relativo cartello d'ingresso nel paese vero e proprio la villetta si trovava subito lì sulla destra come posta su di un  piedistallo ad osservare tutti coloro che sarebbero passati da quel posto.
  Era molto fuori dal centro abitato e dal centro commerciale di cui il giornale parlava anzi a dir la verità a quel punto si sarebbe potuto persino dubitare della loro esistenza.
  Aveva un'aria molto strana ma questo era forse dovuto dal fatto che la famiglia Neil la stava osservando con occhio clinico dai finestrini del­la loro Plymouth, come avessero una certa vergo­gna nel mostrarsi alla casa come i futuri inqui­lini.
  Vi furono una serie di cose che attirarono im­mediatamente l'attenzione di tutti i componenti della famiglia anche se erano ancora lontani: il suo tetto, con una inclinazione a quarantacinque gradi, le due finestre poste al primo piano ed equidistanti da un rosone situato al centro della facciata principale e raffigurante un indecifra­bile figura su vetro colorato, l'entrata princi­pale, con porta di legno bianco dagli stipiti do­rati.
  Tutti questi particolari uniti tra loro e so­stenuti da un po' di immaginazione davano una vi­sione non poco alterata di quelli che erano inve­ce dei normalissimi componenti edili.
  Il tetto così inclinato ricordava molto un cap­pello a punta calcato pesantemente sul capo; le due finestre sembravano  enormi occhi che scruta­vano come la luce di un faro, ogni movimento nei dintorni della casa; il rosone  mostrava molta somiglianza con un naso appiattito simile a quel­lo di un maiale:  ciò  non fece altro che aumen­tare la difficoltà di quel primo approccio con la loro casa delle vacanze. Da ultimo la porta  sem­brava una bocca spalancata in procinto di urlare, implorare e forse chiedere aiuto.
  Sembrerà strano ma rimasero per più di un quar­to d'ora ad osservare quella casa dall'automobile e Dio solo sa quali pensieri cominciarono a pas­sare nelle loro teste e quale di quei particolari della casa andò a risvegliare la parte oscura dei loro pensieri, quella cioè annidata dentro ogni essere umano e  che fa riesumare un passato di paure, di spaventi e di inquietudini. Il cappello calcato sul capo che ricordava il mitico uomo ne­ro nei sogni delle bambine cattive e che ora era lì di fronte pronto a seguirti ad ogni tua mossa ed al quale, chissà quante volte, la madre di Cheryl aveva ricorso per farla addormentare.
  Quegli enormi occhi che facevano risorgere i mostri della cantina. Quante volte Albert da pic­colo per sentirsi adulto sfidava gli amici più grandi e si addentrava nella cantina del signor Weller, l'antiquario. Non è possibile raccontare la paura che si prese quella volta che si trovò di fronte a due occhi grossi come biglie che sem­bravano di fuoco dall'intensità di rosso che ema­navano, due occhi che sembravano pronti a sbra­narti ma che si eccitavano di più nel farti sof­frire facendoti capire che loro ti vedevano e tu invece non potevi nasconderti anche se ti trovi nel buio più assoluto. A nulla valse lo scoprire che quei due occhi appartenevano ad un gatto poiché nelle notti di temporale e fino a non mol­to tempo prima, Albert sognava ancora quella sce­na ed il gatto lasciava il posto al più incredi­bile dei mostri.
  Il rosone di vetri colorati tra le due finestre era un'immagine arcana che risvegliò in Robin qualcosa che lo aveva turbato nella sua infanzia. Era difficile vedere oltre quello che il vetro mostrava, un'immagine sbiadita, ma Robin rivedeva in esso un sogno che mai riuscì a spiegarsi  ma che lo vedeva alle prese con un enorme rosone si­mile a quello ora di fronte a lui, solo che quel­lo del sogno si trovava in un enorme piazza di chissà quale paese e non era sulla parete di qualche chiesa o di qualche casa, bensì sulla pa­vimentazione della piazza di marmo bianco. Non appena Robin metteva un piede sopra, il rosone cominciava a girare ed era impossibile per lui cercare di scendere da quello che sembrava sempre più diventare un vortice. La piazza si allontana­va sempre di più, il rosone girava ad una velo­cità sempre maggiore, mentre  cominciava a cedere nella parte centrale come nel tentativo di in­ghiottirlo. Strane voci sembravano venire dal di sotto del rosone, voci di lamento e senza dubbio non  rassicuranti circa la possibilità di trovare da lì sotto una qualsiasi via d'uscita. Il vorti­ce era sempre più veloce e il vetro sotto i suoi piedi si faceva sempre più caldo ed una voce  sembrava sussurrare VIENI A TROVARCI !. A questo punto il rosone cedeva e Robin cadeva nel profon­do di quel pozzo che sembrava non aver fine ma di cui non riuscì mai a vedere oltre l'entrata poiché in quel momento il sogno si interrompeva, con un respiro affannoso, con un fortissimo mal di testa e con il pigiama letteralmente inzuppato di sudore.
  La "bocca urlante" per Nancy fu un esperienza molto triste:quella porta d'ingresso stava risve­gliando cose ormai dimenticate, erano passate da poco le quattro del pomeriggio di circa quindici anni fa, lei e sua madre stavano tornando dal mercato che si svolge nella Dry street di Korgen City. Per arrivare a casa dovettero attraversare un paio di vicoli poco raccomandabili ma essendo giorno ed essendo in due ritennero opportuno ac­corciare la strada visto l'enorme carico delle borse della spesa . Giunte nel punto più isolato del percorso dei due vicoli le due donne vennero accerchiate da un gruppo di ragazzi di colore le cui intenzioni potevano avere solo due tendenze: o derubarle dei soldi e della spese o cercare la violenza sessuale.
  In realtà vi era una terza ipotesi: quella che i ragazzi volessero prima violentarle e poi por­tarsi via soldi e spesa, e purtroppo era proprio questa l'ipotesi in questione. Subito al primo tentativo di assalire Nancy sua madre si frappose implorando che fosse lei la prima, e così fu. Non fu una scena edificante, ma Nancy dovette osser­varla dal principio alla fine, da quando in quat­tro la spogliarono a quando lei stessa disse che non avrebbe fatto resistenza a patto che anche loro non l'avessero picchiata. Così fu con il primo, il secondo, il terzo; sembrava persino sorridere mentre strizzava l'occhio a Nancy vol­tando la testa verso di lei mentre si trovava sdraiata su un tappeto di cartoni e sopra di lei uno di quei maiali. Fu all'improvviso che tra il quarto ed il quinto la donna prese in mano un ferro che aveva già addocchiato durante i rappor­ti con gli altri quattro negri e si mise a ro­tearlo in aria come a cercare di frantumare il cranio a quei disgraziati.   Ma il tutto ebbe po­ca fortuna, il primo ed unico colpo si infranse contro la parete del vicolo e  il ferro fu subito preda di uno dei teppisti che comincio a vibrare una serie di colpi impressionanti sul corpo della donna ormai stesa al suolo. Nancy  vide il corpo di sua madre frantumarsi in ogni sua parte, brac­cia e gambe le furono spezzate,  dal ventre usci­va un getto fortissimo di sangue e lo spettacolo  non era ancora finito. Il capo del gruppo si av­vicinò con fare da vero perverso e dopo aver con­ficcato il ferro strappato dalle mani del compa­gno nel torace della madre di Nancy lo estrasse e vibrò il colpo finale alla testa come per colpire una pallina da golf. La scena di quel colpo fu spaventosa, il negro che portava la mazza di fer­ro sopra la testa mentre si trovava a gambe diva­ricate sopra il corpo della donna, Nancy che ur­lava e piangeva senza riuscire a capire che era il momento di tentare la fuga e la madre che men­tre vide calare la mazza  emise una urlo spalan­cando la bocca all'inverosimile, emettendo un suono così violento che ancora adesso Nancy ri­cordava quel momento come appena accaduto.   Quella bocca urlante riemergeva in quella porta d'ingresso   alla quale mancava solo la parola per completare il ricordo di quell'incubo dal quale Nancy si salvò solo perché dopo essersi re­si conto di aver commesso un omicidio il gruppo di negri scappò via lasciandola così sola  a piangere vicino al corpo straziato della madre.
  Tutto questo fu risvegliato da quell'insieme di particolari che a ben vedere formavano il volto di un personaggio frutto della fantasia, ma che agli occhi dei quattro componenti della famiglia Neil era a dir poco  il peggiore incubo della lo­ro vita, almeno fino a quel momento.
  Capita a volte infatti nella vita degli uomini che il malvagio non si celi dietro delle spoglie, per così dire, invitanti, le  cosiddette tenta­zioni, ma anche e soprattutto nel suo terreno na­turale: le tenebre, il buio.
  In certi casi il maligno diventa spavaldo, sa che a volte l'uomo è così debole che non è nemme­no necessario fingersi del bene per convincerlo a diventare suo adepto ma è più che sufficiente mo­strarsi per quello che  è per ottenere lo stesso risultato. Il male in certe occasioni diventa al­lora così spavaldo da mostrarsi nel buio della notte, nella massima espressione della sua oscu­rità, senza lasciare cioè il minimo dubbio su chi stia orchestrando tale azione.
  Eppure ciò che qui di seguito avverrà vi mo­strerà proprio questo volto del genere umano, il volto di una popolazione che, pur osservando l'a­gire del male nel buio della notte, non riesce a riconoscerlo anzi ne asseconda la sua opera con  gesti inequivocabilmente malvagi.
  Fu Robin a scendere per primo dalla macchina e subito gli altri lo seguirono alla spicciolata. Aprì il cancelletto ed entrò nel piccolo giardino attraversato dal vialetto che conduce alla villa.
  Faceva certamente molta meno impressione da vi­cino e subito lo si notò dai volti un po' più di­stesi dopo quel traumatico quarto d'ora in quella fornace della Plymouth.
  Non era una casa eccezionale ma il prezzo che Robin aveva pagato al proprietario non era per niente male e lui stesso aveva già  sottolineato in famiglia l'intenzione di un eventuale acquisto in previsione della loro vecchiaia.                
  Le chiavi le trovarono al posto indicato, pro­prio sotto una tavola davanti alla porta d'entra­ta.   Non appena Robin girò la chiave nella ser­ratura la porta cominciò a scricchiolare e tutto non fece che aumentare il clima un po' glaciale che si andava delineando. Rimasero tutti sull'in­gresso, due o tre passi all'interno, la luce era spenta, le persiane erano chiuse ed i mobili del­la casa lasciavano trasparire nella penombra le sagome dei teli che li ricoprivano, come se fos­sero tanti piccoli fantasmi grassottelli pronti ad assalire gli ignari visitatori.
  C'era una strana aria dentro  tutta la casa, forse era per la curiosità,  forse per l'aspetto non troppo ospitale della stessa, ma sicuramente una cosa non quadrava: gli oggetti impolverati, le mura fatiscenti, i vetri opachi, facevano tra­sparire come uno strano presagio di distruzione e morte. Come se vi fosse stato qualcuno tanto tem­po prima che avesse dovuto lasciare la casa di tutta fretta per chissà  quale motivo. Albert e Cheryl cercarono di vincere la paura curiosando al piano superiore, ma l'atmosfera non era certa­mente migliore della precedente. Salirono una scalinata che non dava molto affidamento, ed in almeno due occasioni Cheryl si attaccò ad Albert per non cadere all'indietro e spaccarsi l'osso del collo.
  Cheryl si guardò tra i piedi e vide che vi era un groviglio di corde, stracci e qualcosa simile a colla e capì che fu quello a farla inciampare, ma poco più in là sullo stesso gradino, mentre era intenta a rovistare su quella scalinata co­perta da ogni tipo di sozzeria, vide il corpo grigiastro e puzzolente di un topo di almeno ven­ticinque centimetri.
  Lanciò un urlo micidiale mentre di scatto ri­salì tutta la scalinata andando a raggiungere Al­bert che nel mentre era già in cima alle scale e scoppiò a ridere nel vedere la sorella correre in quel modo così goffo.
  Albert intanto aveva notato che sul pianerotto­lo dove ora si trovava vi erano quattro porte se­parate tra loro da pareti di circa due metri cia­scuna. Su ognuna di esse vi era un quadro.
  - Che strani questi quadri !- disse Cheryl dopo essersi ripresa dallo spavento del topo.
  - In effetti non potevano essercene di migliori in una catapecchia come questa. Tu resta pure qui io torno di sotto, mi sono già stufato: ormai ho capito che questa non è  una  casa,  è  una  sof­fitta ! -.
  - Albert non fare scherzi, non vorrai lasciarmi qui sopra da sola, vero ? - implorò con voce can­dida.
  - Dai non dire stupidate Cheryl, al massimo troverai qualche t...-.
  - Cosa ? -
  - Mentre vado di sotto apro tutte le persiane così entra più luce - disse abilmente Albert.
  - Non faremmo prima ad accendere l'interrutto­re...  Albert, dove sei ? - riprese Cheryl chia­mando il fratello dal bordo della ringhiera del pianerottolo; ma Albert era già al piano di sotto e non rispose.
  C'era nel frattempo un altro componente della famiglia impegnato nella ricerca della più grande invenzione del nostro tempo: l'elettricità. Il problema più grosso che Robin incontrò fu trovare il contatore; sarà in cucina, in cantina, al pia­no di sopra o dietro la porta d'entrata ?
  Lo scoprì nel modo più banale possibile, apren­do una finta persiana del tutto simile ad una ve­ra ma che invece nascondeva un ripostiglio per i materiali domestici. Finalmente vi fu la luce e mai come in quel momento il signor Edison fu rin­graziato da tutti i cuori della famiglia Neil per averci regalato le sue preziose lampadine.
  Erano solo venti minuti che erano arrivati ma la curiosità ormai li aveva attanagliati ed ognu­no di loro stava  rovistando un piccolo angolo della casa. Cheryl al piano di sopra cominciò ad entrare in una delle quattro stanze , Albert sta­va curiosando nel soggiorno dove vi era una gran­de libreria appoggiata alla parete e con numerosi volumi apparentemente interessanti, Robin era già stato nominato responsabile dell'ufficio tecnico ed ora dopo l'elettricità si apprestava a dare gas ed acqua. 
  Nancy stava sbirciando nella cucina, che aveva già identificato come il suo possibile regno per quel mese di vacanza e si accorse dell'incredibi­le assortimento di ferraglia  di cui era dotata.
  Pentole, pentolini, posate, mestoli a non fini­re e sul tavolo, al centro della cucina, una se­rie di coltelli da macellaio di ben dieci misure diverse, dalla piccola dodici per sette, adatta per i piccoli interventi di disossatura, alla paurosa trenta per dodici più simile ad una sci­mitarra ed utile per decapitare gli animali al macello.
   Robin intanto dalla difficoltà con cui riusci­va a trovare gli attrezzi ed a svitare viti e bulloni cominciava a capire il perché  del prezzo cosi' basso di quella casa, anche se in cuor suo sapeva molto bene che le sorprese non si sarebbe­ro limitate al solo aspetto, c'era qualcosa di oscuro in quella casa, qualcosa di misterioso che riusciva a penetrare l'aria di chi la osservava.
   - Papa' io qui non ci passo l'estate!- disse Albert piuttosto alterato -  mi avete gia'convin­to a venire qui contro la mia volontà  ed ora ci troviamo addirittura in una topaia con  chissà quanti altri problemi-.
  - Albert non parlare cosi'! - rispose Robin - Ora cercheremo di sistemarci nel migliore dei mo­di e vedrai che saranno delle vacanze sicuramente indimenticabili-.
   Forse Robin non sapeva neppure cosa da lì  a poco sarebbe accaduto in quel luogo che si illu­devano di trasformare. Certamente era stimolante il dover ricercare in una simile casa tutto il necessario per una vacanza modello. Di sicuro as­somigliava più  che altro ad un tentativo di cor­so per la sopravvivenza.
  Cheryl intanto era entrata in una delle stanze che doveva sicuramente essere la camera da letto dei genitori; vi era infatti un letto matrimonia­le sul lato destro, un grosso armadio a quattro ante  sulla sinistra e nient'altro. Era un po' vuota ma ciò che maggiormente colpiva era l'atmo­sfera lugubre di quel luogo, comune anche in quella stanza. Sebbene le persiane furono aperte la luce filtrata non migliorò la situazione; l'arredamento era molto scuro ed il pavimento ed il soffitto mostravano delle strane tonalità giallo ocra più indicate per un funerale anziché per una camera da letto. Fu molto felice al pen­siero che quella sicuramente non sarebbe stata la sua camera 
  Non rimase però molto colpita da quella parte della casa e dopo aver richiuso la porta aprì quella accanto. Era il bagno del piano superiore. Era abbastanza largo, ben fornito di ogni attrez­zatura per le varie funzioni fisiologiche anche se ovviamente la pulizia che avrebbe dovuto subi­re sarebbe stata capillare. Uno scarafaggio stava attraversando la vasca da bagno e si trovava pro­prio nel mezzo di una attraversata per il lato più lungo. Chissà da quanto tempo era partito per fare quel viaggio e Cheryl quando vedeva degli animaletti, come appunto gli scarafaggi, fare dei percorsi così proibitivi per poi ritrovarsi come in questo caso sull'altro lato della vasca si chiedeva: e adesso cosa fai ? Torni indietro ? Chissà cosa passerà per la mente di uno scarafag­gio quando si avventura nell'attraversare un pa­vimento, una parete, una vasca da bagno ?
  Di sicuro sappiamo cosa passò per la mente di Cheryl, prese un pezzo di legno lungo circa mezzo metro che era appoggiato vicino alla porta d'in­gresso, si avvicinò alla vasca da bagno e con fa­re molto sadico cominciò a torturare la creatura, prima spezzandogli una gambina poi l'altra infine affondando parzialmente la punta scheggiata del legno nel corpo indifeso dello scarafaggio. Poi  presa da grande pietà mise un piede nella vasca e gli calò il suo piede sopra, procurando quello strano rumore come di cracker spezzato. Rimase poco più di una macchia sulla vasca poiché tutto ciò che avanzava del povero esserino era sotto la suola della scarpa e si stava sparpagliando sul pavimento del bagno ad ogni passo che Cheryl fa­ceva.
  Anche questo locale non fu molto interessante per Cheryl. Aprì la terza delle quattro porte e vi trovò un locale perfettamente uguale alla pri­ma stanza, la camera da letto, se non fosse che qui non vi era alcun mobile, niente di niente. L'atmosfera era sempre la stessa solo che vi era qualcosa sulla parete che attrasse la sua atten­zione: era uno scarafaggio. Cheryl girò sui tac­chi e uscì rapidamente, decise che gli scarafaggi cominciavano a fargli venire il vomito e si avviò verso l'ultima porta.
  Robin aveva ormai ultimato tutto quanto: la lu­ce si accendeva, il gas defluiva regolarmente dai rubinetti della cucina, Nancy infatti provò imme­diatamente il tutto preparando un buon caffè.
  Anche l'acqua era a posto e tra poco ci si sa­rebbe potuti fare anche una bella doccia.
  Nancy nel mentre aveva scaricato tutto quello che vi era sulla macchina con l'aiuto di Albert. Quanta roba che avevano portato ! E' proprio vero che le donne amano trasferirsi in grande stile ed era perfettamente inutile cadere nelle solite di­squisizioni su quante paia di calzoni erano stati portati con loro, ci sarebbe già stato da discu­tere al loro ritorno a casa. Albert decise quin­di, in perfetto silenzio stampa, di trasportare tutte e quattro le valige di vestiario nell'anti­camera davanti alle scale,il tutto passando at­traverso la porta-cucina che dava sul retro della casa, dove aveva posizionato la macchina per poi ricoverarla a fine scarico nel box. Sua madre in­vece scaricò la parte alimentare e così cominciò a riempire la dispensa, quella vicino al contato­re, ed il frigorifero appena attivato da Robin.
  Appena terminate queste operazioni Albert era ritornato nel soggiorno dove aveva trovato nell'ispezione precedente un libro che lo inte­ressava. Lo aveva lasciato leggermente più in fuori degli altri così non dovette neppure spre­car tempo a cercarlo di nuovo, vi erano infatti ad occhio e croce almeno duemila libri.
  Prese il libro, tolse un po' della polvere ed osservò il titolo scritto a caratteri gotici do­rati sulla copertina verde di cartone: " Studi sulla decomposizione fisica dell'uomo". Era un libro illustrato con alcune fotografie, quindi era senz'altro un libro recente eppure sembrava avesse almeno un secolo. Non erano delle foto molto allegre ma sicuramente rendevano l'idea a­gli amanti di questa materia. Il tutto stava af­fascinando Albert quando ad un tratto Cheryl gri­do' forte - Presto venite di sopra! -. Nancy la­sciò cadere il barattolo di conserva che stava per aprire e corse di sopra, Robin appoggiò la chiave inglese sul pavimento del bagno del piano di sotto dove stava fissando alcune condutture per l'acqua, Albert  chiuse il suo libro e si precipitarono tutti al piano superiore. Scorsero la stanza dove era  già entrata Cheryl. Rimasero  sbigottiti al vedere in quella stanza un concen­trato di ordine e precisione a dir poco spropor­zionato a quello che regnava nel resto della ca­sa. Pareti con tappezzeria in seta, pavimento in ceramica, una scrivania, una libreria, una lampa­da accesa, le tende di lino ricamate a mano, un vero e proprio studio principesco. Una cosa col­pi' particolarmente i presenti: la stanza era di stile seicentesco ma non solo, sembrava persino attuale  come se attraversando quella porta si fossero catapultati indietro di tre secoli. Spic­cava al centro della stanza la scrivania, ma an­cor di più  un libro nero che sembrava invocarne la lettura. Subito si fecero attorno tutti e quattro e Cheryl, che aveva  già osservato la stanza, non esito' un istante ad aprire quel mi­sterioso libro.
   Le pagine non sembravano lacerate e la polvere sembrava non aver lasciato tracce su di esso, quasi a conferma della sensazione di aver fatto come un salto nel tempo.
   Non vi era alcun titolo sul libro e ciò incu­riosiva ancor di più i lettori che si fecero più  vicini attorno a Cheryl che ormai aveva preso po­sto sedendosi alla sedia della scrivania.
   Le prime pagine erano completamente bianche poi, dalla trasparenza del foglio precedente si comincio' ad intravedersi una pagina scritta. Ad ogni secondo che passava il cuore di tutti e quattro batteva sempre più  forte e l'emozione, mista ad un' inconsapevole paura, si faceva sem­pre più  manifesta all'approssimarsi delle prime tracce di inchiostro di quel libro oscuro.
   1 novembre 1594 .- Accidenti ma questo e' un reperto archeologico ! - disse Albert ironicamen­te. In effetti se non fosse stato per l'aspetto tutt'altro che logoro del libro, tutti quanti a­vrebbero certamente pensato di ricavarne un bella cifra dalla sua vendita.
  - Non sono molte le pagine, che dite le leggia­mo?- disse con tono entusiasta Cheryl.
  -Veramente avremmo altre cose da fare ora - ri­spose sua madre.
  - Ma quante volte ti potrà capitare di leggere un libro scritto autenticamente quasi quattro se­coli fa ? -.
  - Beh - disse Nancy guardandosi attorno come per confermare che quella era una situazione piuttosto originale ed alquanto misteriosa: il libro del seicento, la stanza in ordine ed in stile originale non mancava proprio alcun ingre­diente per invogliare alla lettura dello scritto.
  Poi incrociati gli sguardi con Robin ed Albert, senza parlare, presero posto nella stanza: Albert seduto sul pavimento sotto la finestra dalla qua­le filtrava una luce intensa, Robin e Nancy su un divanetto a due posti posto dietro la porta d'in­gresso.
  - Coraggio Cheryl !- riprese Robin - raccontaci una favola, è un po' di tempo che nessuno ce ne racconta -.
  Cheryl sorrise, poi abbassò lo sguardo sul li­bro e cominciò a leggere:

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