Chapter 1

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                                             𝔚𝔢𝔩𝔠𝔬𝔪𝔢 𝔱𝔬 𝔶𝔬𝔲𝔯 𝔩𝔦𝔣𝔢
𝔗𝔥𝔢𝔯𝔢'𝔰 𝔫𝔬 𝔱𝔲𝔯𝔫𝔦𝔫𝔤 𝔟𝔞𝔠𝔨
(𝔏𝔬𝔯𝔡𝔢- 𝔈𝔳𝔢𝔯𝔶𝔟𝔬𝔡𝔶 𝔴𝔞𝔫𝔱𝔰 𝔱𝔬 𝔯𝔲𝔩𝔢 𝔱𝔥𝔢 𝔴𝔬𝔯𝔩𝔡)



                            🥀

Io, mia madre e il suo compagno viaggiavamo verso l'aeroporto con i finestrini dell'auto abbassati, il vento scompigliava i capelli di entrambe.

A Roma faceva caldo, il cielo era azzurro, limpido e terso, e lo guardavo come se fosse l'ultima volta, poiché mi accingevo a prendere un aereo diretto in Corea del Sud.

Tra le sue numerose città, ero diretta a Busan.

E fu proprio da quella città che mia madre fuggì a gambe levate, portandomi con se quando avevo pochissimi mesi.

In quella città ero sempre stata costretta a trascorrere le vacanze estive, nella lussuosa e troppo grande casa di mio padre.

Mi sentivo come se stessi andando in esilio, volontariamente per giunta e con la consapevolezza che mi sarebbe mancato ciò che stavo lasciando.

Poco prima di andare a fare il check-in, mia madre mi ripetè di nuovo la stessa domanda.

<<Silena, sei proprio sicura di voler andare?>>

Mi girai a guardarla un'ultima volta e questa volta lo feci a lungo, consapevole del fatto che non avrei potuto godere della sua immagine per tanto tempo.

Ci somigliamo molto, eccezion fatta per qualche ruga in più.

<<Ci voglio andare>> mentii guardandola negli occhi grandi come i miei.

Con timore spostai lo sguardo sui suoi lineamenti pur di non guardarla negli occhi, perché avrebbe letto la menzogna nei miei.

Il naso aquilino come il mio era arricciato in una smorfia di disapprovazione.

Sperai di risultare convincente, nonostante la mia quasi totale incapacità di mentire.

Sospirò.

<<Salutami tuo padre. Ci vediamo presto e ricorda che puoi tornare quando vuoi, a costo di venirti a riprendere. Dai retta a tuo padre e non fare sciocchezze>> disse poggiando entrambe le mani sulle mie spalle.

<<Starò benissimo mamma, ti voglio bene>> le sussurrai quando mi strinse tra le sue braccia un'ultima volta.

Dopo aver salutato anche Pier, il suo nuovo compagno, mi indirizzai verso la fila di persone con le mie valige.

Con il cuore in mano e la mente sulle nuvole, presi l'aereo e quando mi girai verso il finestrino, vidi la capitale italiana diventare sempre più piccola.

Per arrivare da Roma a Busan mi ci vollero due aerei.

Non avevo paura di volare e neanche di farlo così a lungo, perché era il viaggio in auto con mio padre a preoccuparmi di più, se non tutto il periodo indefinito della nostra convivenza.

Voleva che fosse tutto perfetto, mi aveva iscritta a una scuola molto prestigiosa e aveva messo a mia disposizione un'auto e un autista che mi avrebbe accompagnata ovunque io volessi.

Ma ero sicura come non mai che non avremmo mai avuto un normale rapporto padre figlia.

Anni di distanza a parte, lui non era propriamente un tipo allegro e loquace e non avrei mai pensato di cosa avremmo potuto parlare: lui però sapeva che la mia decisione di andare a vivere a Busan con lui era tutto tranne che sensata, visto che non avevo mai nascosto il mio disagio durante le mie permanenze annuali.

Una volta arrivata, non mi sorprese trovare il cielo nuvoloso: a Busan pioveva.

Poco male, avevo detto addio per sempre al sole italiano caldo e afoso.

Mio padre mi aspettava accanto a quello che probabilmente era il suo autista insieme a delle guardie del corpo.

E, così come la pioggia, anche questo era inevitabile.

Mio padre, Kim Jeonghan, per il mondo dello spettacolo era il proprietario di una delle più grosse agenzie di intrattenimento di tutta la nazione, motivo per cui lavorava a Seoul e passava il weekend a Busan.

Per lo meno, cinque giorni su sette non avrei sentito il suo sguardo indecifrabile addosso.

Mi accolse fermando la caduta del mio corpo con un braccio, visto che scivolai sul pavimento bagnato mentre camminavo verso di lui.

<<È bello rivederti, Silena

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<<È bello rivederti, Silena. Non sei cambiata molto, vedo>> sorrise per poi farsi serio.

<<Come sta Renata?>>

<<La mamma sta bene. È bello rivederti anche per me, papà>> sorrisi senza tuttavia guardarlo negli occhi.

Una volta che l'autista caricò le poche valigie che mi ero portata, lasciammo l'aeroporto seguiti dai suv delle guardie di sicurezza.

Durante il viaggio, eravamo seduti uno accanto all'altra, io fissavo con occhi sgranati l'abitacolo in pelle, mio padre fissava me.

<<Allora? Ti piace?>>

<<Come potrebbe non piacermi>> fu l'unica risposta che fossi in grado di tirar fuori.

Certo, chi non vorrebbe un'auto simile ma non ero abituata a tutto quel lusso.

<<È il tuo regalo di benvenuto, speravo davvero ti piacesse>>

<<È stato un bellissimo pensiero papà, ti ringrazio molto>> gli rivolsi un sorriso forzato.

Mi sarebbe andato bene anche un maggiolino.

Dopo qualche battuta sul tempo, la nostra chiacchierata finì, non che mi aspettassi finisse diversamente.

Guardammo in silenzio fuori dai finestrini finché non arrivammo a quella che sarebbe stata la mia nuova casa per non so quanto tempo.

Non vidi altro che grattacieli, traffico e agglomerati di case, negozi, centri e parchi.

L'autista parcheggiò accanto a un'altra auto, quella di mio padre pensai, vicino all'ingresso, accanto al quale i dipendenti che lavoravano in quella casa ci aspettavano per darci il benvenuto.

Erano le uniche persone con cui passavo il tempo durante le vacanze estive qui, ma rivederli in questo periodo dell'anno e con quelle espressioni compassionevoli difronte alla mia disperazione malcelata, era alquanto destabilizzante.

Sun Hee, la governante, mi accompagnò alla mia camera, al piano più alto.

Mio padre mi aveva già congedata dicendo che aveva cose da sbrigare, una cosa positiva di lui è che si fa gli affari suoi, nei limiti di un genitore ovviamente.

La donna mi scortò sorridendomi calorosamente e ponendomi domande di circostanza a cui risposi con fatica.

Stancamente mi sedetti sul letto, a due piazze e morbido, con le coperte calde e di un bianco panna semplice.

Solo al suono della porta chiusa mi rilassai, mi stesi sul letto e chiusi gli occhi, sperando in un cambiamento migliore.

Se solo avessi saputo che cosa mi sarebbe successo in seguito, probabilmente non sarei mai partita per Busan.

O forse sì.

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