Capitolo 47

5.5K 189 10
                                    

Entra pure,
prego,
fa come fossi in cuor tuo,
siediti,
serviti.
Lo so, c'è un po' di disordine
e non hai visto la testa,
lì c'è un casino.
Ma la metterò a posto.
( Charles Bukowski )
******

<< Mi dispiace tanto >> esclamo in tono serio mentre osservo Allen sorseggiare lentamente la sua birra.
Ogni qualvolta i miei occhi inchiodano i suoi lividi, tracce di quell'atto di violenza, un senso di disgusto rischia di sopraffarmi.
Sul suo viso pallido solcato da due occhiaie violacee intravedo l'ombra di un lieve sorriso.

<< Non è colpa tua Giulia>> afferma portando la sua mano sopra la mia poggiata sul tavolino del locale, mentre inizia ad accarezzarla dolcemente.

Come fa a dire che non è colpa mia?
Certo che lo è! È stato il mio ex ragazzo a rovinare il suo bel viso. E tutto perché nella sua mente da depravato pensa che io sia ancora roba sua.

Sono passati tre giorni da quella sera a casa di Clark.
Tre giorni da quando non vedo Derek.
Tre giorni interminabili in cui ero apatica e perennemente  sull'orlo di un esaurimento nervoso.
Tre giorni in cui mi sembrava di impazzire all'interno del mio bilocale immersa nei libri per superare gli ultimi esami. Esami che sono riuscita a passare con voti minimi, troppo concentrata a pensare quanto sia stata stupida e ingenua a credere alle parole di un bastardo senza cuore che, non ha appena ha visto la mia corazza vacillare mi ha azzannato alla giugulare.

E no. Non posso negare che sono stati tre giorni in cui la sua immagine regnava sovrana nella mia mente.
Tre giorni in cui mi alzavo la mattina con la speranza di incontrarlo almeno di sfuggita per osservare  anche solo per un attimo il suo sguardo. Quello sguardo che da quando l'ho intravisto per la prima volta in quell'ammasso di gente annoiata e ubriaca mi ha folgorato, senza capire nemmeno il perché.
Tre giorni in cui mi domandavo se sarebbe partito oltreoceano dai suoi genitori per il Natale, tre giorni in cui mi chiedevo se l'avrei visto ancora una volta prima di tornare  a casa, a Canterbury.

Ma di lui non c'è stata traccia. E credo sia giusto così. Devo dimenticarlo e non potrei mai riuscirci effettivamente se continuo a vederlo. Ma d'altronde la parte razionale di me e la parte ingenua ed emotiva non sono mai andare troppo d'accordo.
Mi sento in bilico, come se anche una impercettibile  folata di vento potrebbe farmi precipitare.

<< Ti va di raccontarmi cosa è successo quella sera? >> squittisco un po' a disagio e intimorita da quello che potrebbe rilevarmi.
Ma ha insisto affinché ci vedessimo per parlare, quindi presumo volesse raccontarmi anche lui  quello che ha subito.

Mi mordo assiduamente il labbro mentre attendo impaziente il suo racconto e sul suo viso si dipinge un sorriso, chiaramente divertito dal mio atteggiamento teso e inquieto.
Forse le sue labbra si allargano eccessivamente perché fa una smorfia di dolore, causato sicuramente dal graffio posizionato appena sotto il contorno delle labbra.

<< Stai bene ? >> sussulto
<< Si stai tranquilla. Ci vuole più di qualche pugno per abbattermi >> scherza lui con tono disinvolto.
Mi esce un mezzo sorriso ma sono sicura che dalla mia espressione traspare chiaramente il dispiacere e il rammarico nel vederlo in quelle condizioni.

<<Sei sicura di voler sapere cosa è successo?>>
Annuisco in modo meccanico mentre mi porto alle labbra la mia bottiglia di birra, pronta ad ascoltare tutto quello che ha da dirmi.

<< Beh... non c è granché da raccontare. È successo la sera della festa, poco dopo che sono rientrato dal giardino da solo. Ha iniziato a tormentarmi, chiedendomi in tono arrogante dove eri. Voleva saperlo a tutti i costi Giulia. >>

AudereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora