L'ingresso della grande casa abbandonata era stato vandalizzato e depredato, ma ancora si intravedevano parti degli affreschi che una volta decoravano le pareti.
La polvere regnava sovrana e ringrazio Dio di non esserne allergica.
Mi domanderete, cosa ci fai dentro una casa abbandonata?
Io vi risponderò: ho degli amici idioti che mi hanno sfidata ad entrare.
Mi avevano convinta a farmi trovare alle undici di sera davanti al cancello della grande villa e poi mi hanno sfidata ad entrare.
Loro sanno che non mi tiro mai indietro davanti ad una sfida, ma entrare dentro una casa non molto sicura non mi piaceva granché.
Ero riuscita a varcare il cancello cigolante e il grande parco annesso alla villa senza problemi.
La casa era stata soprannominata "La Villa dei Fantasmi" e su di essa giravano molte voci.
Come per esempio quella della fontana che oggi è misteriosamente scomparsa, che invece di zampillare acqua, fuoriusciva sangue.
Era stata costruita nella metà dell'Ottocento per un conte che l'aveva ammobiliata con sontuosi arredamenti. Poi abbandonata in seguito dal conte stesso.
L'aspetto dell'esterno dell'edificio a tre piani aveva reso la mia impresa più difficile.
Pareti scrostate e finestre sfondate rendevano la grande casa tetra e sinistra al chiarore della luna.
L'architetto che aveva progettato l'edificio non vide mai il suo progetto realizzato, perché morì di cause sconosciute.
La moglie del conte morì anch'essa di cause non accertate e la figlia scomparse a soli sette anni.
C'è chi afferma che il conte, di ritorno da una passeggiata nei boschi, trovò la moglie orrendamente assassinata e la figlioletta scomparsa e disperato abbandonò la tenuta.
Ma sono solo voci tramandate in paese.
Nessuno sa la verità degli abitanti di quella casa.
Negli anni successivi fu abitata da sfollati e ormai da decenni, la villa, si trova in uno stato di totale abbandono.
Nonostante la gente incosciente entrasse per fare foto o chissà che cosa trovai difficoltà ad aprire il portone consumato anch'esso dalle intemperie.
Ora che mi trovavo all'ingresso della grande casa immaginavo il suo glorioso passato.
Feste sontuose con tantissimi invitati con bellissimi vestiti.
Musiche gioiose che accompagnavano balli nel grande salone.
Ora era così silenziosa che metteva i brividi.
Davanti a me c'era una grande scalinata che portava al piano superiore.
Nel pianterreno c'erano altre stanze, ma decisi di iniziare con l'esplorazione della villa dal terzo piano.
Feci un passo quando il portone che avevo tanto faticato ad aprire si chiuse cigolando.
Mi voltai spaventata, ma non c'era nessuno.
«C'è nessuno?» domandai guardandomi intorno.
Si Tara, ci sono ratti e ragni, ma nessun essere umano nelle vicinanze.
Se non vogliamo contare i tre idioti fuori dal cancello della villa.
Sarà stata una folata di vento.
Iniziai a salire le scale e il legno si lamentava sotto il mio peso.
La grande gradinata in legno era rotta e rovinata, mancava qualche tavola e dovevo stare attenta a dove mettevo i piedi.
La torcia del mio telefono mi aiutava molto.
Non c'erano lampade, solo la luce lunare che filtrava dalle finestre.
Quando arrivai al primo piano sentii odore di muffa e di vecchio.
Cercai la scala che mi avrebbe portato al secondo piano, ma non c'era.
Mi fermai al primo piano ed iniziai a vagare.
I mobili che decenni prima venivano tirati lucido dai domestici, oggi erano distrutti ed impolverati.
Al primo piano dovevano esserci le stanze destinate alla famiglia del conte.
In una delle stanze che visitai c'era una carcassa impolverata di un pianoforte.
Immaginavo mani esperte che toccavano quei tasti producendo melodie stupende.
Mentre ero immersa nelle mie fantasie sentì i rintocchi di un orologio.
Sembrava il suono di un orologio a pendolo.
Come poteva ancora funzionare un orologio dopo tutto questo tempo?
Guardai l'ora nel mio telefono e notai che si era fatto veramente tardi.
Era mezzanotte.
Iniziai a sentire una melodia provenire dal piano terra.
Sembrava esser suonata da un pianoforte.
Mi voltai verso la carcassa di quello che una volta lo era stato, ma ero sicura che non fosse lui.
Tornai nel pian terreno, ma non ero più tranquilla come quando ero entrata.
Il cuore mi martellava nelle orecchie e avevo la pelle d'oca.
Ancora mi domando perché sono entrata?
Perché sono più idiota io dei miei amici idioti.
Seguii il più possibile quella melodia straziante e triste, ma non mi sembrava di vedere nessun pianoforte e non ero abbastanza vicina allo strumento che la stava producendo.
«Ragazzi smettetela, non siete divertenti» dissi convinta che fosse uno scherzo dei miei amici.
Tum, tum, tum.
Il mio cuore accelerava sempre di più mentre mi avvicinavo a scoprire da dove provenisse quella musica.
I brividi mi correvano lungo la spina dorsale.
«Chi c'è?» domandai di nuovo.
Nessuno rispose.
Non ho mai rivolto il fascio di luce della torcia sulle pareti, ma sempre sul pavimento.
Quando però lo tirai su per vedere dove mi trovavo sprofondai per colpa di delle tavole marce.
Che idiota che ero!
Riuscii a mettermi in piedi, ma zoppicavo.
Tossii per colpa della polvere che si era formata dopo la mia caduta.
Cercai a tentoni il mio telefono, ma non lo trovai.
«Maledizione!» imprecai.
Non vedevo nulla, ma ben presto il mio problema svanì.
Si accesero delle piccole candele che erano a ridosso del muro ed iniziai a vedere dove mi trovavo.
Sembrava un seminterrato, ma non avevo visto scale scendere.
Il pianoforte stava ancora suonando e così, zoppicante, continuai a scoprire chi lo stava suonando.
Ero un po' curiosa di scoprire il mistero del "Piano fantasma".
Delle tante leggende che avevo sentito su questa casa nessuna parlava di un pianoforte fantasma.
Quella stanza era strana.
Non c'era un filo di polvere, come se ci fosse un domestico fantasma che pulisse ogni giorno o come se fosse lì dentro il tempo si fosse fermato.
«Forza Tara, ci siamo quasi» mi dissi sentendo sempre più vicina la melodia.
Trovai il pianoforte.
Era nero e luccicante, ma nessuno lo stava suonando.
Mi avvicinai e misi una mano sul seggiolino che sembrava essere caldo come se qualcuno ci si era appena alzato.
La gamba mi faceva male, così mi ci sedetti.
Guardandomi intorno notai che in quella stanza qualcuno ci aveva vissuto.
Ma chi?
Da vera investigatrice iniziai a cercare indizi e trovai peluche e oggetti che potevano essere di una bambina.
«Ommiodio!» esclamai.
Doveva essere la cameretta di una bambina.
Vicino al letto c'era un armadio aperto dove si intravedevano dei vestitini graziosi.
Perché avevano rinchiuso lì dentro una bambina?
Guardai lo specchio e vidi il riflesso di una bambina.
Stavo impazzendo, non c'erano altre spiegazioni.
I fantasmi non esistono.
Mi stropicciai gli occhi.
Forse era colpa della polvere che mi era entrata negli occhi quando ero caduta.
Quando ci guardai di nuovo il riflesso si stava pian piano manifestando, rivelando il proprietario di quella piccola cameretta.
Sembrava una bella bambina con capelli biondi sciolti sulle spalle, ma non riuscivo a vedere i suoi occhi.
Sembravano bianchi.
Indossava una camicia da notte bianca e mi guardava con sguardo triste.
«Chi sei?» domandai alla bambina fantasma.
Nessuna risposta.
Non poteva rispondere?
Tara, cara mia, stiamo parlando di un fantasma. Come può rispondere?
"Ciao".
Quasi cadevo dal seggiolino del pianoforte.
Da dove proveniva quella voce?
Una voce così dolce e melodiosa.
"Non ti spaventare, ti sto parlando tramite la telepatia, ma vorrei che tu mi parlassi normalmente. È da tanto tempo che non sento una voce umana"
Non ero spaventata, in quella stanza insieme a quel fantasmino ero tranquilla.
«Come ti chiami? Perché ti trovi qui dentro?» le chiesi.
"Mi scuso per non essermi presentata, mi chiamo Ingrid Alexandra Haralsen, ero la figlia del proprietario di questa casa. Perché mi ci hanno rinchiuso, mio padre aveva paura di me".
«Perché tuo padre aveva paura di te?». Le stavo facendo il terzo grado, ma ero curiosa della sua storia.
Come potevano rinchiudere una bambina lì dentro?
"La mia storia è lunga, sei sicura di volerla ascoltarla?".
Io annuii. «Tu sei sicura di volerla raccontare?».
"Si, vorrei provare a raccontartela".
Io la invitai ad iniziare.
"Quando ero molto piccola mia madre morì per cause naturali e mio padre cercò in tutti i modi di rendermi felice.
Nel secondo piano in cui non sei potuta andare mio padre aveva commissionato di far costruire, per me, un osservatorio astronomico, ma per problemi della villa non fu possibile terminarlo.
Ero una bambina come tutte le altre, ma al compimento dei miei sei anni iniziai a fare dei sogni strani la notte che dopo qualche giorno si avveravano.
Prima di dirlo a mio padre ne parlai con la mia bambinaia, che mi aiutò in tutti i modi.
Lei era gentile con me.
Quando lo dissi a mio padre le cose cambiò.
Era così spaventato da allestire una cameretta qui sotto.
Tutti i miei vestitini furono messi in quell'armadio, i peluche erano il mio unico divertimento.
La mia bambinaia non molto felice della piega che avevano preso le cose andò a parlare con mio padre, ma non fu d'aiuto, anzi, lei fu allontanata dalla casa.
Dopo aver allontanato la mia unica amica mi regalò il pianoforte.
Avevo iniziato a suonarlo prima delle visioni e mio padre era stato il mio maestro.
Per farmi entrare qui dentro avevano usato una scala a pioli, ma non fu mio padre a portarmici.
Mio padre aveva così paura o perché era troppo triste di allontanarmi, che mi aveva fatta portare qui dai suoi servitori.
Mi portavano da mangiare con un vassoio che tiravano giù con delle corde.
Io speravo con tutta me stessa che mio padre venisse a riprendermi.
Una notte sognai che mio padre mi avrebbe lasciata lì da sola.
Infatti, fu così.
Lasciò la casa senza preoccuparsi di me.
Ogni giorno che passava sembrava che non ci fosse più aria fino a quando non riuscì più a respirare.
Sono morta qui dentro come un topo in trappola.
Durante gli anni ho sentito le persone che camminavano al piano terra e avevo paura.
Volevo i miei genitori e la mia allevatrice.
Mi sentivo sola e non potevo contare su nessuno, solo su me stessa.
Mentre io sono morta, la stanza è rimasta come quando mio padre mi ha rinchiusa qui, come una magia.
Ho provato ad attirare in casa qualcuno, ma hanno avuto tutti paura di entrare.
Poi sei arrivata tu.
Sei riuscita ad arrivare a me.
Ti ho indicato la via per arrivare fino a me e sono molto contenta.
So bene che questa casa non potrà mai essere ristrutturata, ma vorrei che tutto quello che sta qui dentro venga messo in un posto sicuro".
Quando finì di raccontare la sua storia ero in lacrime.
Povera bambina, avrà sofferto le pene dell'inferno qua sotto da sola, senza nessuno che la potesse aiutare.
«Povera piccola, perché l'umanità è così crudele» dissi fra i singhiozzi.
"Io non provo rancore contro mio padre".
«Mi dispiace comunque. Nessun bambino deve passare quello che tu hai passato».
"Non ho più il mio dono della chiaroveggenza e ne sono molto felice"
«Non mi importa nulla del tuo dono, sai? Non sei più sola» le dissi sorridendole.
Quando l'avevo vista all'inizio sembrava triste e sola, ora aveva un bel sorriso stampato in faccia.
«Taraa!» urlarono i miei amici.
«Sono qui sotto!» urlando di rimando.
C'è una scala appoggiata al muro nella dispensa. I tuoi amici ti aiuteranno a salire.
«Non voglio sapere che stai qui da sola. Vieni con me, a casa» le proposi.
"Il mio spirito è legato a questo pianoforte, non mi posso muovere da qui"
Mi dispiaceva lasciarla lì e così mi venne un'idea.
Ai miei genitori verrà un colpo, ne sono sicura.
«Dammi il tempo di organizzare le cose, tu e il pianoforte verrete a casa mia» le promisi.
"Sono più che felice per la tua proposta, ma non è il caso".
«Invece si e poi ho sempre desiderato imparare a suonare il pianoforte e so di avere un ottima insegnante».
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