Prova finale [05]

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Credevo di avere tutto, o almeno quello che potevo avere nelle mie condizioni.
Poi, grazie a mio fratello Mike ho scoperto che quello che ogni giorno facevo e provavo, era solo una piccola parte della vita di una ragazza normale.
Ma io non ero una ragazza normale.
Lui andava a scuola, mentre io ero un autodidatta.
I nostri genitori erano i miei insegnanti.
Mio padre era pessimo come professore di educazione fisica, ma voi non diteglielo, ok?
Le mie giornate le passavo dormendo, mentre la notte rimanevo sveglia.
Penserete, sei una vampira!
È quello che mi dicevano a dieci anni, ma non è colpa mia se sono costretta a rimanere a casa durante il giorno.
Ora vi spiego un po', quando avevo cinque anni i miei genitori si accorsero che in me qualcosa.
Ero uscita in giardino con mio fratello quando mi accorsi di avere problemi di fotosensibilità e dopo neanche dieci minuti sotto il sole mi ero scottata di brutto.
Avevo una malattia ereditaria che colpiva l'epidermide che è dovuta dalla mutazione di un gene e della proteina ad esso associata, fondamentale nei processi di riparazione del DNA qualora si danneggi. Quindi, a causa di questa mutazione, il sistema di riparazione del DNA in cui la proteina è coinvolta non funziona correttamente.
Ad oggi non è ancora disponibile una cura definitiva, gli unici approcci terapeutici esistenti mirano al controllo dei sintomi
Mio padre, Jack Taylor, aveva fatto mettere dei vetri speciali nella finestra della mia camera e nelle stanze dove andavo maggiormente.
Nell'ultima visita che avevo fatto la mia dottoressa aveva detto a me e ai miei genitori che un gruppo di medici stavano studiando per una cura che curasse la malattia, ma non c'erano molte speranze di trovarne una.
Sono vissuta fino ad ora dentro una bolla, ma ora la bolla era scoppiata ed ero costretta a riconsiderare quello che pensavo di sapere.
Chi ero?
Cosa mi spingeva ad andare avanti?
E poi la domanda più difficile di tutte: ero davvero felice della mia vita da reclusa in casa?
Avrei dovuto pensarci bene, perché una volta che le risposte prendono forma nella tua mente non c'è più modo di tornare indietro.

*   *   *

«Perché ti ostini a farla rimanere dentro questa casa anche di notte?» sentii urlare mio fratello dalla mia camera.
Stavo leggendo un libro, mentre nel piano inferiore si stava scatenando un putiferio.
«Sylvie non può uscire, è così e basta» rispose mio padre con lo stesso tono di mio fratello.
Mike era il mio fratellone, si era sempre preso cura di me e quando usciva con i propri amici la sera e mi vedeva seduta sul divano a guardare un film con i nostri genitori vedevo in lui un cambiamento repentino.
Ora si stava battendo per farmi uscire una sera, ma non sembrava avere delle possibilità.
Quei due si assomigliavano così tanto.
Stessi occhi marroni e stessi capelli scuri.
Mio padre era un grande giocatore di football quando era ragazzo, ma da quello che si può vedere oggi non sembrerebbe, invece mio fratello giocava a calcio.
Io assomigliavo più a mia madre, capelli castani striati qua e là da riflessi ramati, erano il mio unico vanto.
Decisi di mettere sul comodino il mio libro e di scendere in salotto.
La nostra casa era perfetta, ero io l'anomalia.
Una villetta bianca con due piani con un grande portico.
Mi sono sempre chiesta com'è rimanere seduti fuori mentre il sole ti accarezza in viso.
«Sorellina vatti a cambiare, usciamo» disse mio fratello appena mi vide.
Mio padre me lo avrebbe impedito, ma avevo tanta voglia di uscire.
Fare quello che una ragazza normale fa tutti i giorni e che io sono costretta a fare una notte soltanto.
Mi sentivo come Cenerentola.
«Papà per favore, fammi uscire per una volta. Ti giuro che domani ci faremo una bella serata con film e pop corn. Solo noi due» dissi cercando di fare lo sguardo da gattina che ogni volta lo faceva sciogliere.
Mio padre sospirò: «Va bene, ma tornate prima del coprifuoco».
Lo baciai sulla guancia e tornai in camera per cambiarmi.
Non avevo molte cose da mettermi così optai per un paio di jeans aderenti e una canottiera con sopra il giubbino di pelle nera di mia madre.
Misi un paio di scarpe comode e presi la borsa e ci buttai dentro le chiavi di casa e il telefono.
Tornai giù e trovai mio fratello e mio padre che discutevano, però questa volta erano più tranquilli.
«Eccomi» dissi scendendo le scale.
Ero felice di uscire con mio fratello.
Non avevo amici e quindi se volevo uscire dovevo farlo con mio fratello.
Uscimmo di casa e nostro padre ci fece altre raccomandazioni sul fatto di tornare a casa presto.
Era così bello poter uscire per una volta.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 09, 2018 ⏰

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