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- Toby... la colazione è pronta. -.
Era ancora riverso sul pavimento quando sentì la flebile voce della madre Connie chiamarlo.
- Per favore, scendi a mangiare. Ti prego... - ma non le rispose.
Si tirò da terra a stento.
Gli girava tutto come una trottola.
Che era successo ieri notte?
- Ah... ecco. - uno straccio di memoria gli era ritornato alla mente.
Meno male che non provava il dolore. Anche se le vertigini sì.
Con una mano appoggiata al muro, si alzò piano piano. Si sistemó la felpa e passò una mano tra i capelli disordinati e annodati.
- Papà è a lavoro... puoi uscire. - lo rassicuró la madre.
Passò davanti al piccolo specchio di lato all'armadio: gli occhi erano arrossati e aveva delle profonde occhiaie, forse le uniche fonti di colore sul suo viso eccetto il livido e qualche graffietto che ancora doveva rimarginarsi.
Sospirò.
- Questa volta il fantasma s-sono io. - commentò, notando come l'occhio destro si fosse chiuso per un secondo. Così vide anche il sopracciglio ancora coperto da una piccola medicazione.
Sospirò nuovamente.
Con un po' di forza, trascinò via dalla porta, facendo un gran rumore, il letto.
Esitante la aprì, nascondendo la chiave tra i libri lì vicino, e si affacció dalla soglia.
La mamma lo guardava con grande sollievo. Ma i suoi occhi erano spenti.
Il viso e il collo erano macchiati di viola e rosso.
- Vieni che dopo ti porto in un bel posto, d'accordo? - gli sorrise. No, quella donna non sapeva nascondere il dolore.
- Mamma, non ve-vedo i tuoi occhi. - le disse guardandola serio in viso. I suoi occhi verdi sembravano vetri rotti d'una bottiglia, probabilmente una delle tante lanciate dal padre durante una partita di rugby.
Osservava le sue pupille e lei quelle del figlio.
- Amore, come non vedi i miei occhi? Sono qui, guarda. -
- No, m-mamma, non li vedo. Forse si saranno r-rotti. - spiegò ancora, inclinando la testa da un lato: proprio non vedeva gli occhi della madre. Vedeva solo due gemme rozze e opache.
La madre non seppe che dire. Ormai aveva un figlio delirante, un marito alcolizzato e una figlia sottoterra. Che poteva capire più?
Annuì solo col capo, accondiscendente.
- Sì, Toby, credo si siano rotti. Li dovrei andare a cambiare. -
- E mamma... - la prese delicatamente per il polso.
- Non vedo n-neanche un futuro. - e la lasciò, scendendo le scale un po' barcollante per la mancanza di forze.

La madre aveva preparato i waffles.
Andava pazzo per i waffles. Almeno così si ricordava.
Ma appena mise un boccone in bocca, subito lo dovette sputare in un tovagliolo.
Sapeva di amaro. Di malinconia. Di dolore vero e proprio.
Il suo corpo rifiutava di mangiare un qualcosa di tanto dolce: era in lutto, il suo stomaco non doveva far festa!
La mamma lo guardava sempre con gli occhi "rotti", con ogni pezzo di vetro che si conficcavano nel suo cuore.
- E Lyra? Non m-mangia con noi? - domandò di botto, prendendo dalla dispensa il sale per metterlo sulla pietanza belga.
La mamma gli tirò via da mano il sale, rimettendolo al suo posto.
- ... No. È in palestra. Sai quanto ci tenga all'attività fisica. -
- Oh... allora dalli a le-lei questi. - e spinse il piatto verso la madre.
- Ha già mangiato. Solo tu devi fare colazione, tesoro. - e glielo rispinse a sua volta verso di lui.
Rimase in silenzio. Guardava la madre dubbioso... si stava di nuovo dimenticando qualcosa, vero?
- Vuoi che ti prepari qualcos'altro? - gli chiese finalmente la madre.
Annuì speranzoso. Aveva fame e anche tanta e finalmente poteva mangiare senza la "onorevole" presenza del padre.
La madre, allora, preparò le uova strapazzate e il bacon. Classica colazione americana, no?
E finalmente poté mettere qualcosa sotto i denti. Divoró la colazione avidamente, per gran sollievo di Connie.
Le uova non erano amare e il bacon era salato perfettamente.
Almeno il suo stomaco e il resto del suo corpo potevano proseguire il lutto senza cessare di lavorare e senza festeggiare.
- Meglio che tu vada a prepararti! Ho una sorpresa per te! - lo incitò la madre in modo frettoloso e falsamente allegro.
E senza dire una parola, tornò in camera sua a vestirsi a prepararsi per uscire.
Mentre si spogliava, notava man mano ogni difetto del suo corpo: cicatrici di qua, cicatrici di là, lividi, pelle cadaverica, graffi e suture non molto nascoste.
Aggrottava la fronte contando in mente le cicatrici che poteva vedere. E quante ne aveva.
- Meno m-male che è inverno. - notò, tirandosi su i jeans un po' logori alle ginocchia.
- I-il Sole mi farà bene. Le pe-persone no, ma il Sole sì. - nello stesso momento si morse la lingua.
Era così complicato non balbettare?
Si infilò una felpa viola, giacca, scarpe e si fiondó giù dalle scale.
- Dove si va? Dove? - chiese impaziente alla mamma.
- Ora vedrai. Andiamo, su. -.
Uscirono di casa, entrarono in macchina e imboccarono la strada che li avrebbe condotti alla sorpresa.

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