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Non gli piaceva stare sul sedile accanto a sua madre. Nè il Sole che lo abbagliava. E neanche il fatto che fosse uscito di casa.
Da quanto non metteva i piedi su un marciapiede?
Corrugava la fronte nel tentativo di ricordarselo.
Erano passati giorni o settimane? Oppure un mese? O anche mesi.
Ricordava che durante l'anno era già uscito di casa, ne era sicuro, ma proprio non riusciva ad acciuffare quelle memorie fuggiasche.
- A che pensi, tesoro? - gli domandò la madre.
Non gli andava di guardarla in faccia o di guardare la strada davanti a sé; qualcosa gli diceva che avrebbe soltanto ricordato brutti avvenimenti.
" Di sicuro prenderà QUELLA strada lì... perché ti vuole far soffrire. "
- Uhm... qu-quanto tempo è passato- -
- Dall'ultima volta che sei uscito? Un mese e una settimana. - rispose prontamente lei.
- Oh. - riuscì a mormorare.
Ritornò nel suo silenzio, giocando con le mani ad intrecciarle e a tirare le bende. Di tanto in tanto gli veniva un tic o al braccio o alla gamba.
La mente gli si svuotò come spesso gli accadeva. Forse stavolta avrebbe immaginato uno spirito sul parabrezza dell'auto o delle falene giganti che cercavano di spaccare il finestrino.
Sperava con tutto il suo cuore di no.
Per non sognarsi nulla ad occhi aperti, volle sognare ad occhi chiusi. Si alzò il cappuccio e si rilassó.
Ma gli sembrò che fosse passato solo un minuto che la madre lo scuoteva per il braccio, svegliando dal suo pisolino senza spiriti o falene giganti.
- Siamo arrivati, svegliati. -.
Ma lui si lamentò con un lieve verso assonnato.
- Dormiglione, ti perderai la sorpresa così! - lo accarezzò la mamma.
Aprì gli occhi, strocicciandoseli e afferrando la maniglia per aprire la portiera.
- Dove siamo? - le chiese scendendo dall'auto un po' intontito.
- Al canile comunale. - gli spiegò sistemandogli i capelli che avevano preso vita propria.
- E perché? -
- Ora vedrai. - la madre gli porse la mano, ma lui preferì camminare da solo. Ce la faceva, non aveva bisogno di aiuto.
La madre camminava di fianco a lui, entrando poi per prima nel grande edificio giallo ocra.
" Ah, questo che sarebbe un posto per te: un canile. Perfetto per un cane come te. "
Scosse la testa per zittire le voci.
Vennero accolti da due signore dal viso dolce e dagli sguardi stanchi ma fieri.
- Buongiorno, cosa possiamo fare per voi? - chiese la prima donna.
- Vorremmo adottare un cane, possibilmente di taglia media. - rispose Connie.
Gli si illuminarono gli occhi: un cane? Per davvero? Un piccolo sorrisetto allegro riuscì a prender posto sulle sue labbra.
La mamma lo guardò con la coda dell'occhio sollevata e soddisfatta.
- Seguitemi allora! - esclamò l'altra donna, più anziana della prima ma anche più vivace.
Non stava nella pelle: camminava a passo veloce, con gli occhi che finalmente avevano ripreso un poco di colore e con un sorriso felice come quello d'un bambino.
Essendo inverno, i cani erano tenuti all'interno, in delle celle grandi metà della sua stanza e in ognuna c'erano dai tre ai cinque cani, messi in ordine per razza e taglia.
- Immagino vogliate un cucciolo, non è vero? - domandò la donna dai capelli brizzolati d'argento, voltandosi verso Toby.
Colto di sorpresa dalla domanda, guardò la madre in cerca d'aiuto e lei rispose prontamente al posto suo.
- Sì, infatti. Un bel cucciolo allegro, eh? - diede una carezza giocosa al figlio che annuì energicamente.
- Bhe, allora credo che vi innamorerete di questa cucciolotta. - la signora si fermò davanti una cella piena di giocattoli e di cuccioli grandi quanto un pallone da basket.
I cuccioli, appena notificata la presenza dei tre umani, corsero verso di loro, scodinzolando e abbaiando adorabilmente per farsi notare e farsi dare una carezza.
- Tutti loro sono dei cuccioli di labrador di soli tre mesi, ma c'è anche una cucciola di cocker inglese sempre della stessa età. -.
E la vide avvicinarsi alla rete, con il suo manto champagne, il pelo riccioluto e gli occhi grandi e scuri che lo guardavano.
Lo stava chiamando, ne era convinto! Anche lei era impaziente come lui, anche lei non faceva che muoversi e alzare il muso verso di lui.
Le due donne rimasero un attimo in silenzio o forse era lui che non sentiva altro se non il respiro affannoso della cucciola albina.
Allungò la mano. La accarezzò sul naso e lei gli leccò le bende sul dito.
- Mia madre ebbe un cocker tanti anni fa, quindi li conosco abbastanza bene. Va benissimo lei. - Connie mise la mano sulla spalla del figlio che stava poco poco chinato per accarezzare la cagnolina che scodinzolava.
- Ne sono molto felice! - esclamò ancora la signora, davvero contenta che un suo cucciolo avesse trovato una famiglia con cui stare. Prese le chiavi e aprì con cautela la grata per prendere il cocker in braccio e portarlo fuori.
La stava supplicando con gli occhi di dargli la cucciola. Alzava le mani per dirle " Dammela! La voglio io! ", battendo ritmicamente un piede a terra.
La signora glielo diede con con lieve sorriso.
- Suo figlio è già uscito pazzo per lei. - ridacchió la donna.
- Infatti, infatti... allora, adesso che si deve fare? -.

Erano passate due ore: la madre dovette giusto firmare delle scartoffie e avere le ultime raccomandazioni.
Quanto era bella la sua cucciola: le orecchie erano soffici, il suo corpo era piccolo che sembrava un peluche. Giocava con lei sul sedile posteriore, aizzandola a seguire la sua mano o a mettersi a pancia in su per farsi coccolare.
La madre entrò in auto e la mise in moto.
- Allora, ti è piaciuta la sorpresa? -.
La guardò con gli occhi spiritati di gioia.
- E me lo c-chiedi pure? - le rispose scherzoso, tornando a giocare col cane.
- Come la vuoi chiamare? -
- Eh? Ah... - si fermò a pensare, studiando gli occhi dolci della cucciola. Guardò poi il suo pelo.
Gli tornò un pezzo di memoria di quando era appena un bambino: sua sorella Lyra gli aveva dato un pupazzo bianco per farlo smettere di piangere.
- Ti proteggerà dai mostri sotto il letto, ok? - gli aveva detto.
Era un cane bianco. Un pupazzo di Lyra che lei gli aveva dato per proteggerlo dalle bestie della notte. Lei lo aveva sempre chiamato " Bianca ", e non aveva mai capito il perché. Che significava in inglese?
Gli vennero gli occhi lucidi.
Per un attimo aveva ricordato tante di quelle cose su sua sorella che avrebbe volentieri voluto sbattere la testa da qualche parte.
- ... Bianca. -
- Bianca? -
- Bianca. - e non disse altro per il resto del tragitto.

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