#I SEE A BAD MOON A-RISING

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Il famigliare edificio in mattoni rossi del 43esimo dipartimento occupava tutta la mia visuale, un'enorme insegna con scritto “Polizia di New York City” torreggiava  sopra e a fianco del portone d’ingresso. Cartelli aventi un simile contenuto erano presenti in diverse parti del lotto. Come se il via vai di agenti in divisa e di macchine a sirene spiegate, non fosse stato un indizio sufficientemente grande per ricordare alla gente il fatto di trovarsi in presenza delle portentose forze dell'ordine.

Dopo aver lasciato vagare lo sguardo, salii a malavoglia i pochi gradini che mi separavano dall’ingresso, percependo lo sguardo del mio agente preferito perforarmi la nuca.
Le opzioni erano due: qualcosa di disgustoso mi si era appiccicato ai capelli, oppure aveva qualche sospetto riguardo la mia innocenza.
Passai con nonchalance una mano fra i capelli.
Nope, niente al di fuori dell’ordinario. Soltanto i cari e vecchi capelli color carota sbiadita arruffati e aggrovigliati, niente che avrebbe potuto attirare l'attenzione del poliziotto in quel modo.
Buono a sapersi, davvero. Ero così sollevata al pensiero che la mia meravigliosa capigliatura fosse a posto.
No, è ovvio che non stessi parlando sul serio, imbecille.
Okay, okay scusa, era decisamente fuori luogo. Perdona la mia maleducazione, ma ero parecchio irritata dal momento che a quanto pareva, l'unico sbirro effettivamente in grado di vedere attraverso le mie balle, doveva entrare a far parte del corpo di polizia di questo dipartimento.

Semplicemente magnifico.

Oh, so cosa stai pensando:non stai saltando a conclusioni un po’troppo affrettate? Un momento prima sei calma, quello dopo ti agiti in questa maniera.
Cosa ti posso dire, sono ancora una teenager dopotutto, non puoi pretendere che sia del tutto stabile emotivamente. Se ti può consolare, solitamente si risolveva tutto all’interno delle pareti della mia dolce testolina, senza lasciare trasparire all’esterno un bel niente, se non al massimo un’aria un po’persa. Ma di nuovo, del resto è l’espressione che ci si aspetta di trovare sulla faccia dei ragazzi in generale, quindi sul serio, non era un grosso problema.
Se vogliamo invece discutere della mia agitazione, allora discutiamo. La verità era che tutti i miei trucchetti per evitare casini o per tirarmici fuori, erano appunto solo dei trucchetti. Un po’come quelli degli illusionisti di strada; ti dicono:guarda qua! E poi quello che provoca la cosiddetta magia accade totalmente da un’altra parte. Sembra assolutamente incredibile, ma basta che arrivi qualcuno un poco più sveglio degli altri e tutto quanto crolla. Puf. Trucco svelato, nuova destinazione: prigione.
Lo so, lo so. Sono sorpresa anch'io che il gioco abbia retto per così tanto tempo.
Se invece quello che stavi pensando è che sono una melodrammatica, potrei anche darti ragione.

Comunque, mentre tu stavi qui a discutere di sciocchezze, io avevo ormai superato il portone d’entrata e avevo fatto il mio ingresso nella centrale. Mentre passavo di fianco a vari agenti diretta verso la sala degli interrogatori, nessuna testa si alzò a guardarmi con sguardo stupito o curioso. Erano tutti troppo indaffarati con il loro lavoro in casi ben più importanti. Inoltre, come già detto, il mio arrivo in centrale non era proprio una novità.
Se da un lato ero contenta che mi venisse prestata così poca attenzione, dall’altro il mio stupido orgoglio sembrava scuotermi e gridarmi di andare a dire a tutti quei pochi poliziotti che intercettavano il mio sguardo con aria di sufficienza, dei bellissimi colpi che avevo messo a segno proprio sotto il loro naso eccessivamente lungo.
Immagino che per quanto ci provi, non riesca mai a sopprimere completamente la parte più stupida di me.

Lungo il tragitto dall’auto avevo gradualmente perso parte della mia scorta e ormai c’era solo Mr. Allegria a farmi compagnia.
Un vero peccato, l’agente Hopkins stava cominciando a piacermi, ma immagino non si possa avere tutto nella vita.
Ormai conoscendo discretamente l’edificio, stavo procedendo con sicurezza verso l’usuale stanzetta in cui mi venivano solitamente poste le domande di routine quando uno strattone, alquanto brutale se posso dire, mi fece arrestare sul posto. Facendo un profondo respiro per evitare di dare in escandescenze, mi voltai per capire perché mai la mia cara scorta avrebbe dovuto sentire il bisogno di strattonarmi in quel modo.

-C’è forse qualche problema, agente?-

Sbottai cercando di liberare il braccio che aveva afferrato e teneva ancora stretto in una presa ferrea. Non ci riuscii.
Immagino che il mio piano di mantenere la calma fosse fallito miserabilmente, ma credo ci sia un limite oltre al quale un poliziotto non possa spingersi. Neanche nei confronti di un sospettato, soprattutto dal momento che quest’ultimo (alias me) non aveva fatto niente per meritarselo. E lasciatelo dire, il braccio faceva un male cane. Non mi stupirei a scoprire che l’agente buttasse giù steroidi come fossero acqua.

-Non dobbiamo andare in quella direzione. Togliti quell’espressione oltraggiata dalla faccia, siamo diretti verso la sala interrogatori 202. Muoviti.-

Steroidi-man finì di parlare e cercò di strattonarmi di nuovo verso la giusta direzione. Mi impuntai con tutto il peso del corpo per restare ferma e, sebbene non fosse chissà quanto, fu sufficiente per spingere l’agente in questione a rivolgere nuovamente lo sguardo verso di me. Non c’era nessun dubbio che avesse un gran bel paio di occhi. Quello che non mi piaceva, era quello che vi potevo scorgere.
Rabbia.
Tanta e a stento trattenuta sotto la superficie. Per quale motivo poi?

-Mi muoverò quando lei smetterà di stritolare il mio braccio, agente-

Sono sicura che ormai anche i miei occhi fissati nei suoi riflettessero la stessa emozione, la recita che avevo messo in atto fino a quel momento ormai dimenticata.
Volendo conoscere il nome di quella patetica scusa d’uomo, abbassai brevemente lo sguardo e diedi un’occhiata alla targhetta.

Agente Sinclair.

Ottimo, ora avevo anche un nome da associare alla faccia del bastardo che intendevo prendere a pugni fino a fargli ottenere un sorriso tutto nuovo. Uno senza denti, per intenderci.
Mi veniva quasi da ridere a pensare che per un breve periodo avevo addirittura provato una sorta di rispetto verso uno dei pochi agenti che non si erano fatti fregare dal mio teatrino.

Dopo alcuni attimi di silenzio teso, sentii la presa sul mio braccio allentarsi e potei finalmente riacquistare l’uso dell’arto. Aspettai che l’agente Sinclair si fosse voltato e avesse cominciato ad avanzare lungo il corridoio, prima di portare il braccio al petto e a massaggiarlo per cercare di alleviare il dolore. Il nostro “non poi così amico”, si era appena guadagnato un posto d’onore sulla mia lista nera, poco ma sicuro.

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~Spazio autrice

Il capitolo è corto, lo so, ma ho pensato fosse meglio pubblicarne uno così che andare avanti ancora una settimana senza pubblicare. La storia comincia pian pianino a riscaldarsi e magari finalmente fra un pochino riuscirà a rispecchiare la categoria sotto la quale l’ho messa  (azione, nel caso ve lo steste chiedendo).
Siccome sono davvero in difficoltà a stare dietro a scuola e attività varie, vi comunico che aggiornerò tendenzialmente ogni due settimane (potrebbe esserci qualche sorpresina così come qualche delusione).
Fatemi sapere cosa ne pensate della storia fino ad adesso, please.

Ultimo ma non meno importante: ringrazio immensamente per le correzioni, consigli e recensioni  @SeleneGreen ! Grazie davvero!

Supers don't wear spandexDove le storie prendono vita. Scoprilo ora