0.9

226 30 17
                                    

Mentre trascino Luke fuori dal locale, decido che è tempo di parlare con lui riguardo a noi due. Andiamo nel retro del locale e dopo essermi schiarita la voce un paio di volte, incerta su come introdurre l'argomento, inizio a spiegargli come questa situazione non mi faccia sentire a mio agio, che gli voglio bene ma non tanto quanto me ne vuole lui e che voglio ancora far parte della sua vita, perché è un bravo ragazzo che ha tanto da dare al mondo e io voglio sostenerlo e incoraggiarlo in questo.
Mentre parlo, lui non mi guarda negli occhi. Tiene lo sguardo basso e ogni tanto annuisce piano. Cerco di essere il più delicata possibile, soppeso le parole e le scelgo con cura per dargli il tempo di metabolizzare, ma sono consapevole di averlo ferito comunque.
Alla fine siamo rimaniamo in silenzio, seduti l'uno accanto all'altra sul bordo del marciapiede. Gli unici rumori provengono attutiti dall'interno del locale.
«Cavolo, non me l'aspettavo.» dice infine. «Non so come mi sentirò domani mattina o nei prossimi giorni o quando ti vedrò in giro con un altro ragazzo, ma se c'è una cosa che so con certezza è che voglio che tu rimanga con me. Non avrei saputo gestire la situazione di stasera se non ci fossi stata tu e a proposito del discorso... sei stata grande. Hai detto tutto ciò che ho pensato mentre ero sul palco, ma che non ho osato dire perché... be', non lo so. Forse ho avuto paura, forse non sarei suonato convincente come lo sei stata tu.» alza lo sguardo dalla punta delle Converse e mi guarda con quei suoi intensi occhi blu che riescono ancora a mettermi in soggezione.
«Non ho voluto essere convincente di proposito. È solo che mi è venuta una gran rabbia e volevo che tutti in quel momento lo sapessero.» mi stringo nelle spalle.
«Sai, ti ho ammirata quando hai preso in mano il microfono. Ci vorrebbero più persone come te, che non si fanno problemi a sbattere in faccia la verità agli altri. E a proposito, ti ringrazio per non aver aspettato troppo per... be', ecco... per avermi scaricato, per quanto possa suonare male. Se l'avessi fatto fra qualche mese sarebbe stato peggio.»
Le sue parole mi prendono un po' in contropiede. Fino a poche settimane fa ero anch'io come una di quelli che ho criticato nel mio discorso. Ecco perché mi è riuscito così bene: perché sono stata anch'io un'ipocrita superficiale e a volte lo sono ancora, ma sento che qualcosa dentro di me, seppur molto lentamente, sta cambiando. È come un fiore: se provi a fissarlo, non ti accorgi del suo sviluppo. Devi aspettare qualche giorno per vedere i risultati.
Mi limito a sorridergli e anche le sue labbra si incurvano all'insù. Prima che me ne vada al lavoro, mi abbraccia forte e per la prima volta mi sento protetta fra le sue braccia. Non più in colpa o a disagio. Solo protetta.

------------------------------------------------------

Subito dopo la sveglia del telefono, un'altra musichetta a tutto volume invade il salotto. Mi stropiccio gli occhi con i pugni e mi accorgo che mia madre mi sta chiamando.
«Pronto?» rispondo con uno sbadiglio.
«Come diavolo hai fatto a finire già tutti i soldi?» sbraita mia madre, tanto che sono costretta ad allontanare il cellulare dall'orecchio.
«Buongiorno anche a te.» dico ironica.
«Ti rimangono meno di cento sterline sul conto, ho appena controllato. Devi solo risistemare la casa, mica farla diventare la reggia del principe di Bel-Air.»
Apro la bocca per dire qualcosa in mia difesa, ma lei si lancia in un infinito monologo sull'importanza dei soldi e sull'essere parsimoniosi al giorno d'oggi, tanto che abbandono il cellulare sul tavolo della cucina e ascolto la voce di mia madre in viva voce mentre faccio colazione, mi lavo e mi preparo per andare al lavoro.
«Devo andare adesso.» la interrompo.
«Dove, al lavoro? Ma almeno ce l'hai un lavoro?»
Sto per rispondere, ma lei non mi lascia nemmeno il tempo.
«Perché non ci dici mai niente, allora? Tutti questi segreti non riesco proprio a capirli. Scommetto che hai iniziato a drogarti. Ecco come hai fatto a spendere in fretta tutti i soldi, non è vero? Dillo che stai andando a comprare...»
«Basta mamma!» sbotto esasperata mentre mi incammino verso la fermata dell'autobus. «Non vi ho parlato del mio lavoro perché mi vergognavo a dirvi che mi do da fare in un cimitero.»
«Oh mio Dio.» sento mia madre sussurrare sempre più forte. «Oh mio Dio, oh mio Dio. Io non ti riconosco più. Sei una dark adesso? Ti vesti di nero e vai a fare strani riti nel cimitero del paese?»
«Guarda che i dark non...»
«Anzi, non voglio nemmeno saperlo.» mi interrompe con tono duro. «Sabato io e tuo padre veniamo a prenderti e ti riportiamo a casa.»
«No, mamma, hai frainteso tutto.»provo a spiegare disperata.
«Non è negoziabile. Preparati a tornare a casa.»
La mando a quel paese e chiudo la telefonata, lanciando il telefono in fondo alla borsa.
Non posso tornare a Leicester, non adesso che inizio a vedere una piccola crescita in me stessa e dei miglioramenti in Reece e George. Non voglio buttare tutto all'aria e non voglio deludere i tre spiriti.
Quando arrivo al cimitero, spalanco con un calcio la porta del capanno e riempio l'innaffiatoio di malavoglia. Probabilmente il custode si è accorto che c'è qualcosa che non va, lo capisco dalle strane occhiate che mi lancia, ma non mi domanda niente.
Sono talmente distratta che innaffio due volte gli stessi fiori e strappo, oltre alle foglie secche, anche qualche petalo. Il tempo sembra non passare mai e quando finalmente il custode apre il cancello al pubblico, segno che io posso andarmene, mi sembra di aver lavorato il doppio del tempo.

Oh my ghost// Blake Richardson New Hope ClubDove le storie prendono vita. Scoprilo ora