Capitolo primo

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La prima cosa che vedo appena spalanco gli occhi è il soffitto blu scuro puntellato di microscopici spruzzi di vernice bianca, le mie amate stelle che sogno di vedere da quando ero bambina riescono a calmare il mio respiro irregolare.
Accendo la luce artificiale dal mio orologio da polso da cui mi separo raramente e mi siedo a gambe incrociate sul materasso, ignorando il groviglio di lenzuola arrampicato al mio polpaccio sinistro come un serpente su un ramo, sciolgo distrattamente i miei capelli arruffati dalla coda alta sulla testa.
Sono tutta sudata, non riuscirò mai a dimenticare quella maledetta notte, neanche gli incontri con la psicologa del dipartimento A sembrano funzionare. I ricordi assillano il mio presente per ricordarmi che non si può sfuggire dal passato.
Qualcuno bussa alla porta della mia camera facendomi voltare di scatto verso il comodino accanto al letto dove una semplice sveglia rettangolare segna le dieci e ventitré minuti.
"Dannazione" esclamo scendendo giù dal letto. L'impatto con il freddo pavimento di ferro lucido mi provoca un brivido che si propaga dalle punte delle dita dei piedi alla spina dorsale, fino ai capelli.
"Signorina Cloe è pronta? Le ricordo che deve andare a fare quella commissione per suo padre alla sede centrale" afferma la voce meccanica del mio androide personale; R-234 è uno dei pochi esemplari di chissà quanti secoli fa che non è stato rimpiazzato con un modello di assistente più recente. Red, come lo soprannomino io per i suoi capelli rossicci, mi segue ovunque da prima che nascessi molto spesso dove non vorrei che lo facesse. Ma è l'unica compagnia che ho mai avuto che sorbisce senza ribattere i miei insulti, non é quel tipo di 'persona' che si trova facilmente in giro e la sua costante presenza risulta altrettanta spesso più o meno piacevole.
"Un attimo e arrivo Red" urlo in risposta entrando nell'armadio di corsa.
"Buongiorno signorina, come si vuole vestire per questa splendida giornata?" mi saluta Z-579, nota come Lidya, la mia cabina armadio tecnologica, facendomi alzare gli occhi al cielo.
"Dovrebbero aggiornare le tue frasi predefinite, sono sicura che fuori sta diluviando Lidya".
Non ricevendo niente in risposta decido di rispondere alla sua domanda perchè altrimenti rischio di non arrivare più al motivo per cui sono entrata nella cabina armadio, quando iniziano a parlare questi assistenti non si fermano più!!!
"Mettimi la tenuta impermeabile, e fammi una borsa con i vestiti che sai tu".
"Ne è sicura signorina? Vostro padre si arrabbierà moltissimo".
"No, se non lo viene a sapere e poi tu sei la mia cabina armadio, non la sua".
"D'accordo signorina Monroe" sembra poco convinta, ma è sicuramente una mia impressione. Gli assistenti per il vestiario non hanno impostazioni del genere. "E i capelli come glieli sistemo?". "Il solito e in fretta per favore".

Esco dall'armadio cinque minuti dopo e mi fiondo giù per la scala a chiocciola e prendendo di corsa la valigetta con i documenti di mio padre, esco da casa. La rumorosa città con le sue strade affollate da automobili e altri generi di veicoli, si stende in tutta la sua maestosa grandezza. Salto sulla mia motocicletta nero opaco e parto a tutta velocità verso la sede centrale della città; la mia corsa è accompagnata da una costante pioggia fastidiosa che picchietta sulle estremità delle mie dita, facendomi venire i brividi.
Svolto l'angolo e sento il mio telefono vibrare in una tasca della giacca, lascio il manubrio con una mano e lo recupero.

Appena me lo infilo dentro al casco la voce severa di mio padre risuona nella mie orecchie come l'eco in una vallata.
"Cloe sei in ritardo, ormai sono entrato, appena arrivi vai in sala riunioni e mi porti i documenti".
"No, no..aspetta". Il suono che mi interrompe è quello che indica che la chiamata è stata interrotta; mi ha chiuso il telefono in faccia, bastardo, lo sa che odio entrare la dentro.

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