Capitolo 1: Alba

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"Grassa" "Orso" "Mostro" "Perchè ti trucchi se poi hai i baffi?" "Sfigata" "Sembri più un uomo te che tuo padre" "Dovresti andare in palestra, magari smetti di essere così obesa!"

Ogni volta che Alba si specchiava risentiva quelle parole nella testa, forti, crudeli, vere, come se chi le pronunciasse fosse lì nella stanza  insieme a lei. Era da tre anni che quelle parole le rimbombavano nei timpani, da quando aveva iniziato il liceo. I tre anni delle medie non erano stati perfetti, anzi, Alba era stata al centro di ogni insulto ed era l'unica a non essere parte di un gruppo. Ma lei sopportava, perchè si ripeteva che lei non era una sfigata, che lei non era come i suoi compagni la dipingevano, che solo lei poteva decidere chi fosse. Ma poi, iniziato il liceo, quegli insulti che era convinta di essersi ormai lasciata alle spalle non l'avevano ancora abbandonata. Oltre che sulle sue passioni un po' fuori dall'ordinario, i suoi nuovi compagni di classe si erano avventati sul suo fisico per loro "grasso" e sul suo modo di vestire definito "da nonna", sui suoi capelli che aveva tinto di rosso mogano per sentirsi come gli altri e sul fatto che lei fosse autistica. Agli inizi del quarto anno non ce l'aveva più fatta, quegli insulti, che mano a mano andarono ad evolversi in violenze fisiche, l'avevano portata al limite della sopportazione. Il suo corpo non sopportava più quei lividi sulle gambe e sulle braccia, ma soprattutto lei non riusciva a sopportare il suo cuore sanguinante. Ogni giorno di più il balcone diventava una sorta di invito a volare, a saltare giù per non sentire più nulla. Ma Alba non voleva farlo, non poteva, e così decise di cambiare scuola.

12 settembre 2017, ore 6:00

Alba era sdraiata sul suo letto a fissare il vuoto già da due ore, senza trovare la forza di alzarsi. L'unico suo pensiero era il fatto che quel giorno avrebbe iniziato la nuova scuola. Una morsa gelida le attanagliava lo stomaco. Già due volte i suoi compagni di classe l'avevano ripudiata, scegliendola come bersaglio dei loro insulti. Cosa impediva a quella classe di fare altrettanto? Cosa impediva loro di odiarla come avevano sempre fatto tutti? Ma la cosa che più la spaventava era come nascondere il suo autismo. Aveva imparato a stare attenta a quello che le dicevano gli altri, le avevano insegnato come interpretare i modi di dire, come "guardami" che significava "guardami negli occhi", le avevano anche detto che non tutti erano interessati agli animali o alla lettura nella stessa misura in cui lo era lei. Poteva nascondere il suo carattere, ma non poteva nascondere le reazioni ai suoni violenti o i suoi rituali per calmarsi quando era in panico. Poteva nascondere i suoi interessi, ma non le sue mani che si agitavano come farfalle in gabbia, poteva fingere di comprendere i modi di dire, ma non poteva nascondere il gesto meccanico di portarsi i polsi alle orecchi per sentire il ritmico battito cardiaco quando una situazione la infastidiva o c'era stato un rumore forte. Se questi tratti sarebbe riuscita a farli passare come tic o come risposte istintive, sicuramente non sarebbe stata in grado di gestire una situazione che si verificava troppo spesso: quando qualcuno l'abbracciava o la toccava senza avvertire. Lei aveva sempre reazioni che gli altri ritenevano esagerate: iniziava a tremare dopo aver urlato ed essersi allontanata, poi si accucciava in un angolo e iniziava a dondolarsi con i polsi sulle orecchie, ripetendo un mantra per calmarsi.

-Alba, la colazione!- gridò sua madre dalla cucina. Alba scacciò con un calcio le coperte e si alzò lentamente, tastando il pavimento con le punte dei piedi per cercare le ciabatte. Colpì qualcosa di morbido e peloso che parve non gradire e sfrecciò via. "Cheshire!" pensò Alba, maledicendosi per aver colpito uno dei suoi gatti, l'unico ad essere così peloso. L'aveva chiamato così in onore dello Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie. Adorava quel film, perchè si sentiva un po' come Alice, visto che la sua sindrome la spingeva a chiudersi in un mondo tutto suo, dove far entrare gli altri era pericoloso, perchè presto o tardi sarebbero arrivati a vederla come una pazza.

Alba si infilò le ciabatte su cui era stampato un tramonto e si incamminò verso la cucina. Al suo passaggio, il suo cane, B.B., alzò la testa e iniziò a fissarla, seguendo i suoi movimenti. Ad Alba fu subito chiaro che sua madre non aveva ancora dato da mangiare all'animale, così ci pensò lei, versando in una ciotola rossa le crocchette preferite di B.B. Le era sempre riuscito facile interpretare i gesti degli animali, d'altronde ci era cresciuta assieme. Quando viveva a Pratola Serra, in provincia di Avellino, giù in Campania, viveva nella fattoria del nonno, il quale le aveva insegnato a capire di cosa avesse bisogno ogni animale. Aveva solo tre anni quando salì per la prima volta su PuffPuff, il suo pony. Era stato il suo migliore amico, ma poi lei e i suoi genitori si erano trasferiti su al Nord, a Novara, perchè a sua madre era stato proposta la cattedra di Medicina Forense all'Università di quella città. Era stato allora che erano iniziati i problemi. In Campania tutti le volevo bene e non osavano mancarle di rispetto, perchè lo zio era Colonnello ed era stato sindaco di Avellino per anni, mentre al Nord lei non era nessuno, se non la terrona autistica. Alba sospirò al ricordo dei verdi prati che si stendevano dietro le stalle della fattoria del nonno, ma ci pensò l'urlo di sua madre a riportarla alla realtà. -Alba, muoviti, che sono le 6:30 e tu devi essere a scuola per le 7!- Sua madre aveva il vizio, come suo padre, del resto, di aggiungere un quarto d'ora, giusto per metterle fretta e spingerla a muoversi, anche se Alba non riusciva a coglierne il motivo. Lei avrebbe fatto tutto in tempo, che le dicessero che erano le 6:30 o le 6:15.

Si andò a sedere al tavolo di legno, iniziando a tamburellare sulla sedia. -Ansia?- le chiese sua madre, continuando a rigirare il latte nella pentola. -No- rispose lei. In realtà era in preda al panico, ma non aveva voglia di ascoltare un altro discorso filosofico tipico di sua madre sul fatto che l'autismo non fosse una patologia, ma uno stile di vita che ti rendeva unico. Alba sapeva che in realtà sua madre glielo diceva solo per farla calmare, per aiutarla a vedere il mondo con un po' più di positività, ma lei non ci riusciva. D'altronde, dopo sei anni di bullismo, il lato positivo era diventato come gli unicorni: inesistente.

Per la prima volta dopo anni, Alba non si scottò la lingua nel bere il latte, il che la lasciò un po' perplessa e un po' spaventata, perchè ormai aveva imparato che quando le andava bene una cosa, seppur piccola, inevitabilmente le successive tre erano un disastro totale. Si alzò e andò a prepararsi, con l'ansia che non la smetteva di attanagliarle lo stomaco. Alle 7:00 precise erano in macchina, lei e suo padre, pronti per andare a scuola. Alba stringeva spasmodicamente la spallina della cartella come se fosse un salvagente lanciato a un uomo che stava affogando. La morsa si faceva sempre più fredda e forte a mano a mano che si avvicinavano all'istituto. Alba aveva il cuore che batteva a mille e le mani che si agitavano di continuo, mentre lei ripeteva parole senza un nesso logico, solo perchè il loro suono la rilassava. Arrivarono davanti alla scuola, un grigio insieme di mattoni con le erbacce che spuntavano da tutte le parti. Una signora di nero vestita li attendeva all'ingresso con accanto una ragazza dai capelli lunghi e ricci e dal portamento elegante. -Buongiorno- salutò la donna quando Alba e suo padre si avvicinarono al cancello -io sono la preside Rossi, è un piacere incontrare questa giovane mente.- Alba rimase confusa da quell'affermazione, poi si ricordò che era una metonimia e che la preside si stava rivolgendo a lei. -Lei è Lucinda, la rappresentante della tua nuova classe. Lucinda, lei è Alba.- -Luce, puoi chiamarmi Luce.- rispose la ragazza con un sorriso. Alba pensò che fosse davvero bellissima, con quei riccioli perfetti, gli occhi castani e un fisico magrissimo da fare concorrenza alle top model. -Lucinda, accompagna Alba in classe, io devo parlare con suo padre.- disse la preside, portandosi via il padre di Alba, ancora intenta a muovere le mani, continuando a chiudere e ad aprire i pugni. -Lucinda, deriva dal latino lux, che significa luce.- sussurrò Alba. Lucinda rise, iniziando a incamminarsi verso la classe -Ti troverai bene qui, anche se agli inizi ti sembreremo una gabbia di matti.- Alba accelerò la velocità con cui agitava le mani: non aveva capito l'espressione "gabbia di matti". -Eccoci, questa è la 4AS, l'unica e sola!- Luce aprì la porta e le due ragazze si ritrovarono ventun paia di occhi puntati addosso. La morsa che attanagliava lo stomaco di Alba si fece più forte, quasi da farla vomitare. "Forza" pensò "puoi farcela. Calmati!". Le due ragazze entrarono e con un largo sorriso Luce, dopo aver attirato l'attenzione di tutti colpendo violentemente il banco con i pugni e facendo sobbalzare Alba, iniziò a presentare la ragazza nuova ai nuovi compagni, ognuno dei quali cercò di stringerle la mano. E poi le sue dita si intrecciarono a quelle di lui e l'ansia abbandonò il cuore di Alba come il buio scacciato dal sole. I loro occhi si incrociarono, i suoi timidi e spaventati, i suoi curiosi e allegri. Ed è qui che inizia la loro storia...

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