Capitolo Uno

1K 64 3
                                    


'Cazzo'

Fu quello il primo pensiero di Ermal quando sentì una macchina entrare nel vialetto, illuminare per pochi istanti la stanza con i fari e parcheggiare di fianco alla villetta.
Preso dal panico, cercò rapidamente una via di fuga, tenendo saldo lo zaino ormai pieno di refurtiva, ma si accorse presto di essere in trappola: i proprietari dell'abitazione stavano già aprendo la porta principale. Vari pensieri balenarono nella mente del giovane, ma nessuno di essi gli fu molto utile alla situazione in cui si trovava.
Cosa avrebbe fatto sua madre? Cosa avrebbero pensato di lui i suoi fratelli?
Appena aprì la finestra per riuscire a scappare, i due signori di mezz'età erano entrati nella casa, e la donna aveva gridato a pieni polmoni alla vista del salotto devastato e della figura nera che si affrettava ad uscire, dopo avere spalancato gli scuri. Il marito si buttò su Ermal riuscendo a placcarlo e impedendogli di dileguarsi mentre la sua compagna componeva il numero delle forze dell'ordine per informarle di quello che stava succedendo e chiedere aiuto.

Tutto quello che successe nei minuti successivi rimase sempre un ricordo molto vago per Ermal, probabilmente anche per il cazzotto che gli aveva dato il proprietario sullo zigomo destro, tanto forte da farlo sanguinare e lasciarlo confuso e imbambolato per diverso tempo. Sentì arrivare le volanti della polizia a sirene spiegate, la luce blu dei lampeggianti passava attraverso le finestre del salotto e dalla porta, che era rimasta spalancata.
Quando gli agenti entrarono, lui era ancora immobilizzato a terra dal proprietario e non riusciva a muovere nemmeno un muscolo. Lo ammanettarono e spintonarono dentro l'auto, mentre altri uomini arrivavano per ispezionare il suo zaino e tutto il resto dell'abitazione, mentre i due coniugi si abbracciavano e rispondevano alle domande incalzanti che gli venivano poste.
Fu portato immediatamente in caserma e gli venne assegnato un avvocato di ufficio, che potè fare ben poco durante il processo, visto che era stato beccato con le mani nel sacco. Tutte le procedure giudiziarie erano state rapide e in meno di un mese era stato condannato a scontare quattro anni in carcere a Bari per furto aggravato in abitazione.

I primi tre anni e 5 mesi erano stati un vero inferno, non solo per il fatto che fosse in carcere, ma sia per il sovraffollamento, che lo costringeva a condividere una cella da due con altri tre detenuti e non riuscivano nemmeno a stare tutti in piedi contemporaneamente, sia per i continui maltrattamenti da parte delle guardie e degli altri prigionieri per la sua nazionalità.
La prima cosa che gli avevano detto sua madre e i suoi fratelli quando erano andati a trovarlo era stata di non reagire mai alle provocazioni sia che fossero verbali sia fisiche: una sua reazione violenta avrebbe solamente peggiorato le cose.
Era stato costretto a reprimere la sua omosessualità per evitare abusi e nuovi attacchi, era da molto - troppo - tempo che le sue dita lunghe e bianche non sfioravano le corde di una chitarra o i tasti di un pianoforte e riusciva ad abbozzare qualche testo solamente la notte, quando il sonno si era preso tutti i suoi compagni di cella escluso lui, che aveva iniziato a dormire sempre meno ore a notte a causa del suo perenne stato di allerta. Nuove cicatrici si erano aggiunte a quelle lasciate da suo padre sulla schiena molti anni prima, anche se non provava più quel cieco terrore che gli attanagliava lo stomaco ogni volta che sentiva il portone di casa aprirsi, bensì rassegnazione alla cattiveria e ignoranza degli esseri umani, salvo rare eccezioni che aveva faticato a incontrare nella sua breve esistenza sulla terra.

Una mattina, quando l'orologio non segnava nemmeno le sei di mattina, due guardie arrivarono a prelevarlo dalla sua cella.
"Vieni trasferito Meta" fu l'unica informazione che gli venne data mentre i due uomini aspettavano qualche minuto in modo da fargli raccogliere i pochi oggetti personali che possedeva per ammanettarlo. Mentre usciva sentì uno dei suoi ormai ex compagni borbottare qualcosa cose "Finalmente quel dannato albanese se ne va" per poi rimettersi a pisolecchiare sul materasso rigido del suo letto.
Lo perquisirono e controllato la sua roba, lo fecero visitare da un medico svogliato, probabilmente anche per l'orario, e poi lo misero sul van blindato della polizia penitenziaria insieme a qualche altro detenuto, tutti legati a caviglie e polsi come degli animali selvatici.
Aveva sentito parlare del nuovo carcere che era stato aperto a Roma, ma mai avrebbe pensato di essere uno di coloro a essere trasferiti là, a meno di un anno dalla fine delle sua pena.
Il viaggio verso la capitale fu lungo ed estenuante, senza nemmeno una pausa durante le più di cinque ore di tragitto in mezzo al traffico congestionato dell'autostrada. Il giovane si chiese se la sua situazione sarebbe migliorata almeno un po' in questa nuova struttura, per quanto potesse migliorare la vita di un delinquente carcerato ovviamente, ma non riuscì a darsi una risposta affermativa: ormai si era arreso al fatto che per lui la prigione sarebbe stata ancora peggio di quanto sarebbe dovuta essere.
Arrivati finalmente alla struttura lo perquisirono di nuovo e gli diedero una nuova divisa verde scuro con cui sostituire la vecchia arancione, una coperta, una saponetta e delle lenzuola pulite. Si fece la doccia insieme a tutti gli altri detenuti, ormai senza più vergogna del suo corpo e, dopo essersi asciugato, si rivestì.
Le guardie li scortarono verso il braccio principale di celle e iniziarono a smistarli tutti, finché non rimase solo lui. Venne portato fino a una zona dove la maggior parte delle celle erano ancora vuote, gli furono tolte le manette e lo fecero entrare attraverso una porta angusta con solamente una piccolissima apertura, che permetteva di guardare dentro solo avvicinandosi molto, in una di quelle stanzette dove però c'era già qualcuno seduto a capo chino sul letto più in basso che scribacchiava qualcosa su un quadernino.
La sua nuova sistemazione era decisamente migliore di quella precedente: sulla destra due letti a castello e una libreria addossata a un piccolo antro dove erano situati un wc e un lavandino, mentre di fronte a lui era presente un tavolo con due sedie e un televisore di una ventina di pollici.
Il ragazzo era rimasto seduto a gambe incrociate sul letto e gli aveva solamente accennato un saluto con un lieve movimento della testa, che Ermal aveva ricambiato nello stesso modo. Solo in quel momento lo osservò attentamente per le prima volta. Le braccia robuste erano ricoperte di tatuaggi di varie dimensioni e colori, i capelli neri e corti erano tutti arruffati, come se si fosse appena svegliato e aveva un filo di barba molto poco curata. Tutti i sensi di Ermal gli dicevano di fare attenzione e di non abbassare la guardia, ma lui, per la prima volta da quando era stato condannato, non gli diede ascolto e si avvicinò al suo nuovo compagno di cella presentandosi.
"Io sono Ermal" gli disse, tendendogli la mano pallida. L'altro alzò gli occhi e lo guardò di sbieco, per poi appoggiare il quaderno sul cuscino e stringergli la mano.
"Fabrizio" borbottò, inchiodando lo sguardo in quello del riccio. I suoi occhi erano di un castano scuro ed erano circondati da occhiaie profonde, segno che anche lui avesse grossi problemi a dormire. La loro conversazione finì lì, anche perché l'altro venne fatto uscire per andare in cucina a preparare il pranzo, mentre Ermal rimase dentro a sistemare la sua roba, appoggiando lo spazzolino e la saponetta dal lavandino, i pochi libri che possedeva sugli scaffali mentre tutti i fogli pieni di scritte li nascose sotto il materasso del letto che aveva fatto poco prima.



————————

Note Autrice:
Salve a tutti/e! Grazie mille per essere arrivati fino a qua, in fondo al prologo/primo capitolo di questo mio delirio!

È da qualche giorno che ce l'ho pronto, e dopo la conferenza stampa dove hanno parlato del carcere dì Rebibbia ho pensato "Perché non pubblicarlo ora?", quindi eccoci qua.

Inizialmente nella mia testa doveva essere una oneshot, ma probabilmente avrà 4 o 5 capitoli.

Oltretutto mi farebbe molto comodo qualcuno disposto a darmi una mano a betare i capitoli o in generale con questa storia (scrivetemi in privato nel caso siate disposti).
Grazie ancora!

CellMates | MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora