Capitolo Tre

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Aveva caldo. Tanto caldo. Sotto di lui il cuscino si stava muovendo con un ritmo regolare. Ermal si fermò un attimo a riflettere: il cuscino si stava muovendo? Aprì improvvisamente gli occhi e si rese conto di avere la testa appoggiata sul petto di Fabrizio e di circondargli la vita con il braccio sinistro, mentre l'unica cosa che gli impediva di appoggiare la schiena al muro era il braccio tatuato del moro che lo stringeva con fare protettivo a sé. Piano piano, i ricordi della nottata riaffiorarono, e realizzò il motivo per il quale si trovavano in quella posizione... Non era riuscito ad addormentarsi per almeno due ore, dopo che le luci erano state spente, poi l'incubo, Fabrizio che lo scuoteva per farlo svegliare, quella conversazione surreale che avevano avuto a notte fonda, e l'abbraccio confortante del suo compagno di cella che lo aveva fatto rilassare talmente tanto al punto di addormentarsi come un bambino dopo un'intensa giornata di giochi fra le sue braccia.

"A cosa stai pensando?" la voce assonnata del ragazzo lo fece sobbalzare per la sorpresa "Scusa, non volevo spaventarti"

"No, no scusami tu per stanotte" si affrettò a dire Ermal.

"Ma figurati, mi ha fatto piacere poterti aiutare" disse Fabrizio, passando le dita fra i capelli del giovane, per poi tirargli con delicatezza un riccio. L'altro lo lasciò fare e il moro continuò a giocherellare con le ciocche scure, massaggiandogli nel frattempo la testa.

Si accorsero del tempo che era passato, solo quando qualcuno bussò con violenza sulla porta blindata gridando "Fra dieci minuti dovete essere in cucina" e i due balzarono rapidamente fuori dalle coperte che Fabrizio aveva steso su di loro durante la notte, attento a non svegliare l'altro. Ermal scattò verso il bagno, ma il più grande riuscì a precederlo e gli chiuse la porta quasi in faccia, con un ghigno furbo stampato sul volto. Il riccio scosse la testa divertito e per dispetto dopo poco iniziò a battere il pugno sulla porta, mettendogli fretta.

"Ti vuoi muovere?!"

"Aò ricciolì, datte 'na calmata" replicò Fabrizio, per poi uscire dal bagno e ritrovarsi quasi a dare una testata ad Ermal per la vicinanza a cui si ritrovarono.

"Dai togliti" lo incalzò quest'ultimo, ma l'altro non diede segno di volersi spostare e restò lì impalato, a squadrarlo dalla testa ai piedi. In quel momento il più giovane avrebbe voluto sotterrarsi dall'imbarazzo, perché non era decisamente abituato a qualcuno che lo osservasse veramente; raggiunse l'apice del rossore, quando vide Fabrizio leccarsi le labbra e poi guardarlo dritto negli occhi con uno sguardo provocatorio, che gli causò un brivido che lungo tutta la spina dorsale. A quel punto si rifugiò in bagno, quasi spintonando il suo compagno di cella, ed iniziò a buttarsi l'acqua gelida in faccia per darsi un contegno.

Quando finalmente uscì, la scena che si ritrovò davanti lo lasciò senza fiato. Fabrizio si era appena sfilato la maglietta ed era rimasto mezzo nudo alla ricerca della sua divisa da cucina. In quel momento, Ermal si soffermò a guardarlo veramente per la prima volta, e si rese conto di quando fosse bello: il fisico non molto muscoloso ma comunque snello e asciutto, con la pelle olivastra delle braccia e le spalle completamente ricoperta di inchiostro, i corti capelli neri come la pece tutti in disordine e una manciata di lentiggini sparse sul naso e sulle guance.

"Ti sei incantato?" Lo riprese mentre si infilava la divisa pulita. Ermal come se non bastasse arrossì di nuovo e scosse la testa, cercando di distogliere l'attenzione da lui, tornando in bagno a cambiarsi a sua volta.

Dopo il lavoro in cucina e dopo che ebbero fatto colazione, gli rimaneva un'ora d'aria, prima del nuovo turno di lavoro per preparare il pranzo, e Fabrizio propose ad Ermal di andare con lui in un posto. Appena arrivarono alla sala dove il moro aveva voluto portarlo, alcuni ragazzi li accolsero amichevolmente, visto che probabilmente conoscevano Fabrizio, ma il riccio non li considerò minimamente, troppo preso da quello che si era trovato davanti.

"Suoni?" gli chiese il ragazzo. Ermal annuì vigorosamente per poi fiondarsi a sedere sullo sgabello di fronte alla tastiera e iniziare a suonare una melodia che Fabrizio non conosceva.

"Einaudi..." sussurrò uno dei ragazzi lì presenti, mentre si avvicinava a lui. Il moro nel frattempo si era perso ad ammirare le dita lunghe e bianche del suo compagno di cella mentre scivolavano veloci e abili sui tasti della pianola, producendo un suono armonioso che gli accarezzava i timpani.

"Comunque io sono Claudio" si presentò il ragazzo quando Ermal ebbe finito il brano "mentre lui è Roberto" disse indicando l'altro individuo che lo affiancava.

"Io sono Ermal"

"E ti tocca sopportare questo qua tutto il giorno in cella?" gli chiese ridacchiando Roberto.

"Che simpatico" replicò Fabrizio, sorridendo a sua volta, mentre Ermal ghignava sotto i baffi, divertito per la scenetta che si era venuta a creare.

Dopo che aver ascoltato il riccio suonare altri pezzi, il più grande imbracciò una chitarra e si mise a pizzicare le corde per accordarla, per poi iniziare a strimpellare gli accordi di una qualche canzone rock che si ricordava, senza accorgersi del fatto che Ermal avesse smesso di suonare per riuscire ad ascoltarlo. Quando realizzò la situazione, alzò lo sguardo verso di lui, che era ancora seduto davanti alla tastiera, e gli sorrise dolcemente, per poi tornare con gli occhi chini sul manico dello strumento che teneva in braccio. Passarono il tempo rimanente ad ascoltarsi a vicenda, finché alle dieci non furono costretti a tornare in cucina a lavorare e a racimolare qualche soldo per quando finalmente sarebbero stati liberi.

La sera stessa, dopo aver passato la giornata fra i fornelli, il laboratorio musicale e il cortile esterno a fare due tiri a pallone con qualche altro detenuto, sfidando i venti invernali di dicembre, Ermal e Fabrizio si ritirarono nella loro cella. Il più grande gli offrì una sigaretta, ma lui la rifiutò, preferendo tirare fuori il tabacco e i filtri dal suo armadietto, e rollandosene una per conto suo. Fumarono insieme, affacciati alla finestra che avevano lasciato aperta per evitare che la piccola stanza diventasse una camera a gas. Rimasero in silenzio per un po', fino a quando non fu Ermal a rompere il ghiaccio.

"Io ti ho raccontato praticamente tutta la mia vita, ma non so niente di te"

Il moro si irrigidì, esitando per qualche attimo, e prese un altro tiro dalla sua Marlboro, soffiando poi il fumo fuori dalla finestra.

"Non è che ci sia molto da sapere: mi facevo, poi ho iniziato a spacciare per poter continuare a prendere la roba e mi hanno beccato" borbottò in risposta, dando un'alzata di spalle.

Il giovane annuì, leggermente contrariato dalla risposta telegrafica dell'altro, per poi spegnere la sigaretta ormai finita nel posacenere poggiato sul davanzale. Lanciò un'occhiata all'orologio appeso sulla parete di fronte a lui e, notata la tarda ora che si era fatta, avvisò Fabrizio che sarebbe andato a dormire.

"Buonanotte ricciolì, svegliami se hai bisogno di qualcosa" gli rispose, lasciandogli un leggero bacio su una guancia. Ermal gli sorrise, dimenticandosi della freddezza con cui lo aveva trattato pochi attimi prima e si arrampicò sul suo letto. Quella notte si addormentò quasi immediatamente, e sognò di capelli neri scompigliati, e braccia forti ricoperte di tatuaggi, che lo stringevano forte.

CellMates | MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora