1. Ti avrei voluto dire

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Disclaimer: i personaggi descritti nella storia sono personaggi reali, ma non per questo mi appartengono, anzi. Le loro azioni, le loro parole e le situazioni descritte sono frutto della mia mente fantasiosa, o della mia rielaborazione di eventi accaduti veramente. Detto ciò, spero vi possa piacere.


Carmen gli aveva appena tirato un pugno contro il braccio. Come al solito non era stato attento alla conversazione, si era limitato ad annuire una volta o due senza mai veramente rendersi conto dell'argomento in gioco. Era una cosa che gli capitava spesso, ultimamente. Forse troppo frequentemente. Si perdeva. Guardava un punto e premeva "on" al film dei suoi pensieri. Dire quello che si prova a volte è molto facile, altre volte invece no. Allora stai in silenzio e guardi, guardi le persone e speri che esse ti sentano. Speri che esse ti ascoltino anche quando non parli, anche se non parli, anche quando sei così fragile.

Da lontano, Einar guardava in silenzio. Senza dire nulla. Guardava e ciò che sentiva era il battito del cuore accelerare. Se c'è una cosa che lo stupiva in continuazione era lui stesso, la quantità di amore che riusciva a provare, un sentimento così estraneo, così vivo. Guardava e lasciava le persone intorno a lui parlare, ridere, scherzare; lui si esiliava dal mondo intero. E se quel gesto, per qualcuno sarebbe potuto apparire come un "nulla", come un semplice momento di riflessione personale, per lui era invece "tutto", qualcosa che necessitava sempre più spesso, sempre di più. Guardava gli occhi illuminarsi allo scoppio di una risata fragorosa direttamente dal cuore, occhi che per lui esprimevano tutto, occhi che, per qualche strana ragione, avevano incrociato i suoi. Guardava i gesti, le mani che si muovevano così sicure durante le conversazioni più svariate, conversazioni che non poteva udire dal punto in cui si trovava. Guardava la mandibola muoversi e immaginava di aver sentito il suo cambio di voce, la immaginava più alta, come quando vuoi far sentire a tutti i costi la tua opinione, perché sai che è importante, perché solo con il dibattito c'è crescita. Guardava, perché in fondo non poteva fare veramente altro. Il suo amore era così. Il suo era il tipo di amore che poteva solo ammirare da lontano l'oggetto del proprio sentimento, ciò che ancora non riusciva a lasciare andare. Quindi guardava, e nel frattempo dedicava tutte le parole che avrebbe voluto, ma non poteva e non sapeva dire. E ce ne erano tante, infinite. Occasionalmente distoglieva lo sguardo, per poi riposarlo sullo stesso identico punto e sentirlo bruciare. Lo studiava, e non perché fosse pazzo, ma perché era il suo modo di comunicare, di parlare, di amare.

«Certo che sei proprio andato», la mora davanti a lui si mise a ridere, muovendo lo sguardo da una parte all'altra dell'atrio. Non era neanche più in grado di stupirsi, parlare con il suo amico cubano era ormai risultata una cosa impossibile, soprattutto se Irama si trovava nella loro stessa stanza ma non stava dedicando loro l'attenzione.

L'altro, di riflesso, uscì dal suo stato di trans e sbottò un semplice «beh?».

«O glielo dici ora, o mai più. Ti ricordo che domani assegnano le squadre, fossi in te glielo vorrei dire. Altrimenti vado io.» e lei sorrise, gli aveva ripetuto tante di quelle volte di focalizzarsi sulla gara, sulle lezioni e sul continuo migliorarsi, ma l'amico proprio non le prestava attenzione. Non che se ne fregasse del contesto, assolutamente no, aveva semplicemente trovato la sua boccata d'aria fresca in tutta quella frustrazione. E come tante cose al mondo, quella portava un nome: Filippo.

«Dire cosa? Di chi parli?» si finse lui ingenuo, cosa che, forse, non gli riusciva molto bene.

«Parlo di Irama! Quando glielo dici che sei sotto mille treni per lui?» e non poté fare a meno di muovere le braccia in segni indistinti, come a spiegare attraverso mosse strane quello che lei sottolineava come ovvio.

Einar era arrossito, le guance avevano preso un lieve colore e un accenno di sorriso gli aveva fatto sollevare gli angoli della bocca. E quando si arrossisce, significa sì, vero? È una sfumatura d'acquerello sulle guance, un tocco intimo, impudico e pungente che vale una conferma.

Fidati ancora di me. « EiramDove le storie prendono vita. Scoprilo ora