Misteri capitolo 4.

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Angie

«Mamma è deciso, voglio farlo»

«Ti prego tesoro parliamone»

Seduta a tavola di fronte a mia madre stavo cercando, già da venti minuti, di convincerla a farmi accettare la proposta. «Mamma ti prego, io vi ringrazio per ciò che fate per me tu e papà ma adesso voglio in qualche modo pagarmi anche solo le tasse all'università, ho bisogno di questo lavoro».

Mia madre mi guardò amareggiata: quando quella mattina le avevo parlato dell'offerta, sapevo bene che non avrebbero accettato che la loro unica "bambina" potesse anche solo pensare di poter lavorare.
«Ascoltami mamma è solo mezza giornata e con le vacanze estive mi scoccia starmene in casa a non far nulla. Ti prego, non voglio far pesare tutta sulla vostra schiena»
mossa azzardatissima...

«Oh no tesoro, ma lo sai che non pesi a nessuno, non devi per nulla al mondo preoccuparti di questo» ecco appunto...

I miei non avevano mai avuto problemi economici: mio padre era entrato in possesso dell'azienda agricola di mio nonno e, grazie a essa - e ai contributi dei suoi genitori- era riuscito ad affermarsi come "l'imprenditore Oliver Gregor Kadmon". Quindi io, sin da piccola, avevo ricevuto qualsiasi gioco, abito o viaggio che mi fosse passato per la testa.

Riguardai ancora mia madre negli occhi quasi rassegnata e quest'ultima, con un sospiro, accarezzò la mia guancia

«E va bene, se è quello che vuoi proverò a convincere tuo padre».

A quelle parole sfoggiai un enorme sorriso e le buttai le braccia al collo 
«Oh grazie, grazie, grazie»

Dopo una serata trascorsa a convincere mio padre mi ritrovai, a cena conclusa, seduta sul letto con il cellulare in mano, avendo chiuso da poco la chiamata con la segretaria del negozio.

Il proprietario le aveva comunicato di volermi far fare una prova per l'indomani ed eventualmente assumermi come sarta assistente. Arricciai il naso pensando all'immagine di me con un ago in mano. Non ero di certo un bel vedere ma era l'unico annuncio che avessi trovato in città senza che tutti quanti, di fronte al mio cognome, cominciassero a scattare a destra e manca riservandomi i loro trattamenti da "gente importante".

Odiavo da sempre il modo in cui, le persone benestanti, come la mia famiglia, venivano accolte sotto falsi sorrisi e squallidi ricevimenti in loro onore con l'intento di riuscire a spillargli un mucchio di soldi. Per questo motivo mi ero ritrovata a dover rifiutare molti posti di lavoro, finché un piccolo annuncio di una sartoria non era sbucato fuori da un giornale e, una volta preso il numero e nascosto il mio vero cognome, avevo fissato un appuntamento per la mia prima prova lavorativa.

Seduta sul letto guardai il cellulare, ancora incredula e un po' nervosa per l'esperienza nuova da affrontare. Mi alzai andando in bagno a rinfrescarmi il viso, indossai dei pantaloncini insieme a una maglia e tornai sul letto sdraiandomi di schiena e allargando le braccia sulle lenzuola. 

Fissai il soffitto della mia camera, perdendomi nei pensieri che, ostili, continuavano a non darmi pace, soprattutto perché tutti avevano un nome ben preciso: Victor. 

Erano passate due settimane dallo scontro avuto al bar e la mia mente non riusciva ancora a dimenticare i suoi occhi carichi d'odio e le sue parole di disprezzo. Chiusi gli occhi facendo un bel respiro e mi girai su un fianco addormentandomi poco dopo.

"Mamma, mamma, prendi" tirai la palla verso mia madre. I capelli biondo platino e gli occhi nocciola erano incorniciati da un viso ovale che le conferiva un'espressione dolce, non molto diversa dalla donna odierna, nonostante l'età avanzata.

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