Stranezze capitolo 2.

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Angie

«Tesoro che succede? Hai sbattuto? Sei così pallida, ti sei fatta male? Santo cielo ora ti verranno i lividi...» si allarmò mia madre tenendomi il viso fra le sue mani. Sollevai gli occhi al cielo, questa donna a volte è così apprensiva e tragica.

«Mamma, va tutto bene! sono solo...solo scivolata, tutto qui» dissi provando a tranquillizzarla. Non potevo certo dirle che il mio corpo, un minuto prima, fosse impazzito.

«Posso chiamare il medico, ci metterebbe un attimo, Anzi Gregor, vallo a chiamare subito!»
ordinò a mio padre che era rimasto in piedi, sul ciglio della porta. Portai una mano sulla fronte, mia madre non cambierà mai'.

«Elizabeth Maison ho detto che sto bene»
dissi esasperata, cercando di frenare quell'uragano di donna e mi strinsi nell'asciugamano. «Anzi, se poteste gentilmente uscire...» li guardai interrogativa finché mio padre, schiarendosi la voce, non trascinò letteralmente mia madre fuori dalla mia camera.

Sbuffai sprofondando nel letto, una giornata notevolmente stramba e movimentata, tutta da dimenticare se non fosse per quello strano incontro con il nuovo ragazzo del bar. Chiusi gli occhi e il suo viso mi si parò davanti insieme alla breve conversazione fatta.

Ricordavo ogni particolare: un corpo slanciato non troppo muscoloso anche se la camicia della divisa, poco sbottonata, lasciava intravedere giusto il minimo per farti fantasticare. I capelli spettinati, stranamente perfetti sul suo viso tanto da farli sembrare in ordine, così setosi e morbidi che per un attimo avrei affondato le mie dita. I suoi occhi verdi così decisi ma allo stesso tempo così dolci e per finire le sue labbra, rosee e carnose che avrei preso a morsi.

«Ah andiamo, sì è un bel ragazzo ma come tanti altri. Lo penso solo perché l'ho incontrato oggi, fra qualche giorno sarà messo nel dimenticatoio» dissi a me stessa ma, ahimè, mi sbagliavo di grosso, poiché quella notte mi venne a trovare in sogno.

Mi svegliai di soprassalto, di nuovo in un bagno di sudore: il cuore batteva all'impazzata ripensando al viso di Victor che mi ripeteva di essere in pericolo. Poggiai i piedi a terra scendendo dal letto e guardai la sveglia che segnava le sette, buon record rispetto le scorse mattinate costretta a svegliarmi alle cinque. Mi stiracchiai decidendo, ormai, di fare una passeggiata. Sciacquai il viso, indossai dei vestiti leggeri e uscii percorrendo la stessa strada della mattina precedente.

Chiusi per un attimo gli occhi assaporando la bellissima sensazione del sole sulla pelle e poi li riaprii, notando le mie braccia esibire strafottenti quel bianco insopportabile.
«Orrenda pelle»
dissi strofinandole fra loro, cercando perlomeno di arrossarle.

Sempre meglio di questo bianco, pensai continuando a strofinare e camminare lungo il sentiero che, ormai, conoscevo a memoria. Un muro, o meglio dire qualcuno, pose fine al mio cammino così sollevai gli occhi mortificata, pronta a chiedere scusa alla persona che avevo appena tamponato, ma le parole morirono sul nascere. Lì davanti a me c'era lui.

«Ehi, ciao Victor»
dissi imbarazzata, ma quello appena si accorse di me, tramutò lo sguardo da spensierato a rancoroso

«Sono in ritardo» e, senza guardarmi, mi passò accanto continuando per il suo cammino. Rimasta allibita da quelle parole, mi voltai verso di lui che, una volta arrivato all'entrata del bar, non mi degnò nemmeno di un saluto.

Feci un bel respiro sentendo una strana rabbia impadronirsi di me, ultimamente quell'ira improvvisa continuava a presentarsi in modo frequente nella mia vita e mi spaventava, poiché non faceva parte del mio carattere ma ormai, avendo visto cosa fosse successo al mio corpo, la confusione aveva preso il posto della paura così, armata di coraggio, mi diressi al bar sedendomi nel solito tavolo.

Vidi la porticina del retro aprirsi lasciando dominare la figura di Victor, già in divisa: inutile dire come anche solo dei pantaloni e una camicia lo rendessero così splendido ma quest'ultimo, rivolgendo lo sguardo verso di me, si rabbuiò e disse qualcosa alla ragazza a fianco che poi notai raggiungermi, mentre i miei occhi continuarono a fissarlo.

«Prego, cosa desidera?» disse cordialmente la ragazza ma purtroppo, accecata di rabbia, non la guardai dicendo la prima cosa che mi venne in mente.

«Un caffè» la ragazza lo annotò e si allontanò, tornando poco dopo con l'ordine richiesto. Cominciai a sorseggiare piano quel caffè che sembrava non voler saperne di addolcirsi, nonostante avessi aggiunto ben due zollette di zucchero.

Cercai con lo sguardo Victor che, per tutto il tempo, aveva preso ordini dagli altri tavoli senza minimamente avvicinarsi dalle mie parti. Mi sollevai appena lo vidi avviarsi al bancone e portai davanti al suo viso la mano con i soldi

«Ti ho fatto qualcosa?» parlai senza pensare, gli avvenimenti delle ultime ore mi avevano messo completamente il cervello in confusione. Lui non alzò nemmeno lo sguardo, prelevò i soldi e aprì la cassa aspettando che uscisse lo scontrino.
«Guardami, sto parlando con te!»
stavo decisamente perdendo la testa per colpa del suo strano comportamento.

Un sorriso amaro spuntò sul suo viso e finalmente sollevò lo sguardo verso di me. Strappò lo scontrino e me lo mise sotto il naso

«Non sei poi così brava a nasconderti. Credevo ci teneste tanto a non farvi scoprire ma tu sei talmente stupida che, non contenta, hai voluto far avvenire il contatto. Perché ti ostini ancora a parlarmi? Ti ho scoperto piccola Angie, smettila o sai cosa succede»

lo fissai confusa
«Victor che stai dicendo, di che stai parlando?».

Lui mi guardò, incrociando le braccia al petto con fare divertito
«Tu sei decisamente la più strana del tuo branco»

«Mi parli gentilmente il giorno prima e poi mi tratti come una sconosciuta quello dopo e io sarei quella strana? E poi smettila di dire queste scemenze Victor, ma che ti sei bevuto?»
dissi tutto d'un fiato cercando di metabolizzare la situazione che andava a intrecciarsi sempre di più nella mia testa.

Lo vidi guardarsi un po' intorno e poi avvicinarsi al mio viso
«Ma tu SEI una sconosciuta. Smettila di starmi tra i piedi e prometto di non dire nulla ai nostri».

Come se non mi avesse già confusa, pronunciò quelle parole per poi sparire nel retro. Rimasi un attimo ferma, cercando di focalizzarmi sulla bizzarra conversazione appena avuta mentre il bar cominciava ad affollarsi di gente. 

Dopo qualche secondo, mi voltai uscendo in fretta e respirando a pieni polmoni. Scaricai via tutta la rabbia e svoltai l'angolo, ancora troppo turbata per accorgermi di una sagoma scura poco distante da me. Istintivamente mi bloccai in mezzo alla strada fissando quell'ombra che, poco dopo, sparì senza lasciare tracce, l'ennesima stranezza della giornata.

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"La donna si svegliò raggiante quella mattina, alzandosi molto presto per andare a scuola dai suoi allievi. Così raggiante fino al momento in cui quell'uomo, con una banale scusa, le chiese l'ora ipnotizzandola con la sua bellezza e i suoi occhi celesti".

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