9. Sorpresa

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L'umore generale, dopo aver confermato le mie capacità attraverso la dimostrazione di poter controllare dodici pietre, cambiò notevolmente. Gli altri cacciatori mi trattavano con referenza, mettendomi per lo più in soggezione.
Ero libera di vagare per la base come e quando volessi, ma mi sentivo in gabbia.
"Perché non posso vedere i miei amici?!", quasi urlai cercando di uscire dalla stanza. Tirai diversi calci alla porta fino a quando non la sentii aprirsi con un sonoro click.
Devon mi guardava con un cipiglio sul volto: tutto di lei urlava che non dormiva da giorni, le occhiaie violacee spiccavano sulla sua pelle diafana, i capelli corvini erano legati malamente in una coda di cavallo.
"Ti prego, Aurora, non urlare. Lo so che la situazione è pesante per te, ma credimi che finirà", si pronunciò. Il suo sguardo saettò verso la porta, facendomi capire che qualcuno ci stava ascoltando.
"Va bene, Devon...", iniziai, avvicinandomi al taccuino che tenevo sul bordo del letto. Glielo passai con una matita.
"Brava, non prendere a calci le porte, che ci demolisci la base", fece una risatina forzata, scrivendomi un messaggio.
"Se me lo dice l'Ignota non posso fare a meno di eseguire gli ordini", giocai, ma con lo sguardo vigile.
"Oggi ci sarà finalmente il meeting con i Generali, ci daranno finalmente la missione", continuò. Mi ripassò il taccuino.
"Una buona notizia...", commentai, cercando di leggere.

Mick e Sara sono al quarto piano, stanno bene. Cerca di fare tutto quello che ti dicono, ho paura che non vogliano farli partire con noi.

Deglutii rumorosamente.
"Possiamo andare a mangiare oppure devo stare ancora chiusa qui? Mi è venuta fame", cambiai argomento lanciandole uno sguardo severo. Non me ne sarei mai andata via senza Sara e Michele.
"Certo, possiamo andare dove vuoi", convenne.
La seguii piano, senza fare gesti improvvisi. I due cacciatori armati alla mia porta avevano la stazza di lottatori di sumo. Trovavo inconcepibile il fatto di non poter vedere Sara e Mick. Per me era inconcepibile proprio l'idea di non poter portare i miei amici con me. Sinceramente, non riuscivo nemmeno a capire i motivi per cui i Generali si comportassero così nei miei confronti. Avrei dovuto essere abituata comunque all'idea di procurare un certo timore, quasi referenziale, in ogni mondo in cui mi affacciavo. Incutevo paura alla maggior parte dei terreni, motivo per cui non avevo molti amici. Il Gotha ed i Vuoti avevano paura che spezzassi in qualche modo la maledizione, di conseguenza non era ben vista da nessuno. Le Erranti erano tanto attratte dalla possibilità di passare oltre tanto quanto spaventate. Ed ora i Cacciatori. Devon era stata molto chiara: tutti ti sottovaluteranno e poi tutti avranno terrore di confrontarsi con te. Ero una novità, un'incognita, una mina vagante, pronta a spezzare tutto ciò in cui credevano. Addirittura Gabriel, il mio grande amore, aveva iniziato ad avere tanta paura da arrivare ad odiarmi. Non ero sicura di cosa avrei fatto, né tantomeno di cosa mi avrebbero fatto fare.
Camminavo due passi di distanza da mia sorella lungo i corridoi dell'immensa Base delle Fenici, ben attenta a tutto ciò che mi circondasse. I corridoi asettici erano stranamente vuoti. Sentivo il bracciale metallico premere sulla mia gamba nuda, scoperte a causa dei pantaloncini sportivi che indossavo con una canotta da training. Devon mi lanciò un'occhiata. Stai zitta, diceva. Non avevo mai amato le regole, ma era anche vero che non avevo mai sentito il bisogno di infrangerle. Adesso invece mi sentivo soffocare, le regole mi erano strette, non volevo seguirle, nonostante sapessi che fossero a mio favore. Strinsi le mani a pugno, sentendo la pelle tendersi sulle nocche, contrassi la mascella e feci un leggerlo segno di assenso alla bella cacciatrice.
Al contrario delle mie aspettative, superammo la palestra, salendo fino all'ultimo piano con l'ascensore.
"Non stiamo andando in mensa, immagino", supposi fissando le porte metalliche chiudersi con uno scatto.
"No, scusami, stiamo andando dai Generali. Credo che ci diranno cosa fare proprio stasera", spiegò Devon, mordendosi il piercing al labbro.
Annuii senza proferire parola. Almeno avrei potuto chiedere spiegazioni o quantomeno sapere qualcosa di Mick e Sara.
Ehilà, Aurora!, uno spiffero gelido mi colpì la base della nuca.
"Ciao, cugino", mormorai guardando nella sua direzione, "hai qualche novità?", gli chiesi subito. Anche io avevo i miei assi nella manica, dopotutto.
I tuoi amici stanno bene, sono nel reparto 52 per dei controlli di routine. In base agli esiti decideranno se farli partire in missione, esplicò.
"Cosa dice?", la voce di Devon lo fece bloccare. Eravamo arrivate all'ultimo piano.
"Cos'è il reparto 52?", domandai in tutta risposta.
"È la quarantena, oppure infermeria, chiamala come vuoi. Li stanno testando, vogliono vedere se sono abbastanza forti da poterli portare con noi", deglutì. Non era un buon segno.
Potrebbero averli torturati per testare la loro resistenza fisica, suggerì Josh.
"Non è possibile", digrignai i denti. Non poteva essere vero. Erano nella tana del lupo. Ed era tutta colpa mia.
Avanzammo di una decina di passi per oltrepassare una enorme porta blindata. Il palmo di Devon l'aprì con il riconoscimento biometrico per catapultarci in un ambiente simile ad un ufficio ospedaliero. Asettico ed impersonale, furono i primi aggettivi che mi balenarono in testa.
Al centro della stanza, dietro una scrivania in vetro, vi sedeva Ivana Cole. Dietro di lei, davanti una grande vetrata vista isola, si ergeva dritto e assente Ares Cole.
"Finalmente siete arrivate", fece un sorriso Ivana. Non aveva nulla di materno, quel sorriso. Non annuii nemmeno, ero pronta solo ad ascoltare fino alla fine, per poi fare le mie domande.
"Il terreno che avete portato qui è un gran combattente...", soffiò Ares senza guardarci, "peccato per il suo sangue impuro", sputò subito dopo con astio. Non mi sembrava un complimento. Guardai Devon che non muoveva un muscolo, era rigida, ferma, non faceva trapelare emozioni.
"Siamo appena tornati dal Consiglio delle Dinastie, a quanto pare sembra che molti vogliano conoscere la nostra Aurora", dichiarò Ivana senza alcun tipo di varietà tonale nella voce. Sembrava un'automa, mi dava i brividi peggio delle erranti del cimitero monumentale.
"Aurora non è ancora una cacciatrice a tutti gli effetti. Non conosce la nostra cultura, non conosce le nostre leggi. La sua missione sarà quella di visitare ed allenarsi presso tutti i Triangoli. La ragazza terrena sarà portata nel reparto mnemotecnico per poi partire con il primo volo per l'Italia. Il ragazzo può restare, a sua discrezione. Devon, tu resterai qui per adempiere ai tuoi doveri", ordinò Ares.
"Non andrò da nessuna parte senza Sara e soprattutto senza Devon", ringhiai. Sentii la mano fredda di mia sorella toccarmi il braccio, mi divincolai.
"Queste sono le mie condizioni: se volete farmi entrare nel vostro mondo, dovete accettare il mio, prendere o lasciare", allargai le braccia.
"Chi accompagnerà Aurora? Non è pronta, ha bisogno di una guida...", ribatté mia sorella con ansia.
"Sarà il soldato Rodriguez ad accompagnarla in missione", si intromise Ivana, proprio mentre una figura dall'ombra spuntò per entrare nel campo visivo di entrambe. I capelli mossi erano raccolti in una coda di cavallo stretta. La tuta nera aderiva perfettamente su tutto il corpo allenato. Un sorriso di scuse aleggiava sul volto angelico che conoscevo fin troppo bene, tanto da sgretolare tutte le mie convinzioni.
"Nica...", sussurrai con gli occhi sgranati. Erano passati mesi dall'ultima volta che l'avevo vista. L'ultima volta in aeroporto per il suo Erasmus a Bruxelles. La mia amica Monica.
"Mi dispiace che tu l'abbia scoperto così, Aurora", abbassò lo sguardo. Volevo piangere, urlare, strapparmi i capelli, morire. C'era qualcosa del mio passato che non era stato contaminato, infettato, avvelenato da bugie? C'era qualcosa di vero, sano, genuino tra i miei ricordi? Non potevo fidarmi di me stessa e della mia mente, figuriamoci di qualcun altro. Ero troppo sconvolta e stanca.
Guardai Devon che ancora non riusciva a credere alle parole dei suoi genitori e non era in grado di ribellarsi. Avanzai a grandi falcate verso Ares, totalmente incurante delle reazioni circostanti.
"Ora vi dico cosa faremo", sillabai con lentezza. Guardai Ivana alzarsi dalla sedia pronta a scattare, come se avesse a che fare con una bestia feroce.
"Farò tutto ciò che vorrete, ma alle mie condizioni. I miei amici verranno con me. Mia sorella sarà al mio fianco", guardai dritto negli occhi di ghiaccio del generale.
"Cosa ti fa pensare che tu possa darci ordini?", si intromise Ivana camminando verso di me con il palmo della mano alzato, pronta per schiaffeggiarmi. Le bloccai il polso ancora prima che potesse arrivare al mio volto.
"Farete esattamente quello che vi dirò", cantai con un sorriso.
"Altrimenti?", digrignò i denti cercando di divincolarsi dalla mia presa.
"Altrimenti dirò a tutti come è morto Joshua", minacciai mollando malamente il suo braccio e tirando un'occhiataccia al marito. Feci cenno a Devon di seguirmi, procedendo verso la porta da cui eravamo entrate.
"Sono pochi coloro che sono sopravvissuti dopo una minaccia ai Generali", mi gridò Ares.
"Oh, non mi succederà nulla che io non abbia già sopportato", feci una risatina, guardandoli dal corridoio.
"Non temi per la tua vita?", si scandalizzò Ivana.
"E chi darai in sposa al Generale delle Sirene poi?", sorrisi malefica.
Le loro espressioni mutarono in maschere di puro terrore. Non sapevano di essere stati colti in flagrante. Non sapevano di essere seguiti. Non sapevano che potevo diventare il loro peggior incubo e che erano stati loro a crearlo.
Sorpresa, pensai prima di chiudere la porta alle mie spalle.

Anatema II - The TrianglesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora