13. Cose in comune

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"Sei pronta, sorellina?", l'avvertimento sarcastico di Devon mi arrivò ovattato, come se tra di noi ci fosse stato un muro. Sapevo che stava sorridendo sicura di sé. Sapevo che stava saltellando sul linoleum del campo della palestra, lo sentivo anche con gli occhi chiusi. Misi l'ultima pietra sulla struttura in metallo che mi copriva la gamba. Lo feci con lentezza, sempre con gli occhi chiusi, assaporando l'aria come energia statica tangibile. Sentivo il respiro dei piccoli cacciatori che sugli spalti erano pronti per la dimostrazione. Sentivo lo stupore dei presenti una volta incastonata la tredicesima pietra. Devon si allontanò di qualche metro, lasciandomi ancora seduta sul pavimento a gambe incrociate e gli occhi sigillati.
Espirai piano, i movimenti di Devon potevano davvero essere impossibili da percepire. Uno spostamento d'aria evidentemente dietro di me e la risatina di Devon davanti mi fecero intuire l'essere una contro più. Con una velocità inaudita, bloccai l'arma lanciata da Monica e sbarrai gli occhi facendo un sorrisetto sghembo.
Giochiamo, pensai.

Sara
Avessi avuto gli occhi di una cacciatrice, forse sarei riuscita a seguire qualche movimento dello scontro. Devon e Monica erano veloci, ma niente a che vedere con Aurora. Nonostante gli anni d'allenamento durati una vita, la tecnica e l'eleganza delle due Fenici, Aurora era sempre un passo avanti a loro: silenziosa e praticamente invisibile. Era noto che le pietre aiutassero i cacciatori a distribuire ed accentuare le loro già presenti capacità, eppure sembrava che Aurora prevedesse ogni mossa come se fosse stata in grado di vedere il futuro.
Spostai il peso da una gamba all'altra, ammirando il volto da modello di Michele. Sembrava molto concentrato, ma non avrei saputo dire su chi. Aurora le era sempre piaciuta, anche se la sua infatuazione non pareva ricambiata dalla mia migliore amica. Devon? La sorella di Auri era un'incognita per tutti noi, una sorta di puzzle criptico impossibile da decifrare. A volte sembrava seriamente attratta dal nostro amico, altre invece sembrava solo un'assassina spietata. Ma Mick era interessato alla lunatica Devon? Anche lui dietro la sua maschera da duro, cercava di non far trapelare emozioni, eppure il suo sport preferito era diventato flirtare con lei. Mi sorpresi a fare un mezzo sorrisetto, certa del fatto che i risvolti di questo triangolo amoroso sarebbero stati divertenti.
"Cosa c'è?", mi bisbigliò Mick facendo tintinnare il piercing tra i denti.
"Niente, mi chiedevo chi stessi guardando tra Aurora e Devon", alzai le spalle con aria di noncuranza. Non volevo assolutamente fargli capire che stavo morendo dalla curiosità.
"Devon, ovviamente", rispose sicuro. Io me ne sorpresi senza dire nulla. "Aurora è troppo veloce, non la vedo", si giustificò con un sorrisetto.
"Hai ragione, non riesco a vederla nemmeno io", mormorai nello stesso istante in cui un fortissimo spostamento d'aria mi soffiò i capelli dietro le spalle. Abbassando lo sguardo trovai Aurora acquattata come una pantera verso le sue due rivali.
"Tutto bene?", ci soffiò. Annuii per istinto, ammaliata dal suo scatto felino per spostarsi verso il centro della palestra.
"Ha stile, non c'è che dire", mi girai alla mia sinistra cercando di dare un volto ed un nome alla persona che mi aveva appena rivolto la parola. Squittii la sorpresa di non averlo sentito arrivare.
Nicholas osservava la scena con un sorrisetto strafottente, le braccia muscolose incrociate al petto e una gomma da masticare che gonfiava ritmicamente osservando il combattimento. Era un gran bel tipo, Nicholas. Uno di quelli che faceva girare la testa per strada per la sua bellezza, ma anche uno di quelli che il sesto senso femminile ti diceva di starne alla larga. Io comunque non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi addominali scolpiti. Cosa non farei a quel corpicino. Ovviamente era senza maglietta, con un paio di pantaloncini di tuta e scarpe da ginnastica. Probabilmente aveva fatto una pausa dal suo allenamento per godersi la dimostrazione di Aurora con le tredici pietre.
"Mi piacerebbe provare a combattere con lei, per vedere se le mie dodici pietre e gli allenamenti possano avere la meglio in un corpo a corpo", si pronunciò con una malizia che non passò inosservata a Mick. Sgranai gli occhi per il suo grado così alto. Non mi sarei mai aspettata fosse tanto potente. Nel mio immaginario, non esisteva persona, cacciatore o cosa che potesse superare quell'invasata di Devon. A parte Aurora, ovviamente. Aurora era speciale e lo era sempre stata.
"In quanto tempo hai imparato a controllare dodici pietre?", indagai.
"Anni... non so dirti precisamente quanto. Ma non ho mai smesso di allenarmi da quando ero bambino. Aurora, invece?", domandò dopo avermi tolto la curiosità. Spostai il peso da un piede all'altro e con il petto gonfio d'orgoglio sussurrai: "Qualche mese". Mi sentii vagamente contenta di essere stata in grado di fargli strabuzzare gli occhi, di sorprenderlo in qualche modo.
"Ha detto il Generale che tu e Aurora avete molte cose in comune. Posso sapere a cosa si riferiva?", sperai in una sua risposta e presi il coraggio di fargli la domanda vedendo quanto fosse disponibile a rispondere ai miei quesiti.
Mi guardò con fare lascivo, senza emettere alcun suono per poi portare nuovamente gli occhi su Aurora, Devon e Monica.
"È finita", sentenziò. Subito dopo, dagli spalti, un boato liberatorio di approvazione si elevò per tutta la palestra. Aurora prese per mano le due Cacciatrici sorridendo, stringendo la mano per un combattimento durato nemmeno dieci minuti. Era bellissima anche con i capelli appiccicati sulla fronte e le guance arrossate dallo sforzo.
Notai Nicholas prendere il suo asciugamano e dirigersi verso gli spogliatoi, senza rispondermi alla domanda e senza nemmeno salutare.
Che tipo, pensai guardando i muscoli della schiena.

Aurora
Quando finii l'incontro con Devon e Monica, l'unica cosa che desiderai fu una doccia.
"Andiamo in infermeria con Sara e Mick, credo che tu sia riuscita a rompermi un paio di costole", tossicchiò Nica. Me ne dispiacqui, ma mi limitai ad annuire. Lanciai uno sguardo a Michele e Sara a lato della palestra, per sillabare un 'ci vediamo dopo' che capirono al volo.
L'unica porta che trovai di uno spogliatoio, mi sembrava l'ultimo posto in cui sarei dovuta entrare, quindi evitai di provarci.
Un po' confusa uscii verso il corridoio sospeso tra i cieli cercando disperatamente qualcuno a cui chiedere informazioni. Placcai il primo cacciatore che vidi: "Ehi, scusami, vengo dalla palestra sai per caso dove si trovano gli spogliatoi femminili?", chiesi trafelata. L'unico spogliatoio che avevo visto era sicuramente maschile, dal momento che avevo visto Nicholas entrarci.
"Non te l'hanno detto? Qui abbiamo bagni e docce in comune, lo spogliatoio della palestra lo trovi dopo l'uscita di sicurezza ovest", spiegò inarcando un sopracciglio. Feci un sorriso tirato e lo ringraziai con un cenno del capo facendo dietrofront.
Che base di merda, pensai. La Base dei Grifoni era una prigione: stanze simili a celle frigorifere, mensa che spaziava menù da scuola pubblica di Detroit all'ospedale Fate bene fratelli, docce e bagni in comune. Sbuffai sonoramente quasi sbattendo i piedi dalla rabbia. Volevo evitare Nicholas il più possibile, e non perché mi avesse fatto realmente qualcosa, ma perché — proprio come la porta dello spogliatoio — mi sembrava una zona off-limits, qualcosa da evitare come la peste. Nicholas, fin dal primo momento, aveva acceso il campanello d'allarme che era successo con Gabriel: questo mi distruggerà la vita. Siccome non ero stupida, ed avevo anche troppe volte sbagliato ignorando il mio sesto senso, avevo deciso fosse meglio seguirlo per una volta.
Titubante, presi la maniglia dello spogliatoio pregando tutti gli Dèi di essere da sola e aprendo la porta.
Ovviamente gli Dèi ce l'hanno con me, pensai crucciandomi.
Nicholas era in piedi vicino alla doccia, con solo un asciugamano alla vita. Sentii subito la gola secca e cercai di deglutire almeno per tre volte.
Mi concentrai per lo più su i suoi occhi strani, ipnotici, del caldo caramello del contorno iride al verde bottiglia. Solo dopo mi accorsi del mezzo sorrisetto strafottente sul suo volto.
"Perché mi stai guardando?", domandai sulla difensiva. Si aprì in uno di quei sorrisi di scherno.
"Perché tu stai guardando me", rispose senza domandare. Rinsavii subito mettendomi una mano sopra gli occhi.
"Scusami, non ti guardo più", replicai di fretta. Sentii nascermi un sorriso spontaneo. Con gli occhi chiusi era decisamente più facile comunicare con lui.
"Non ho detto questo", disse con voce roca. Non sapevo cosa del suo timbro di voce mi avesse fatto togliere la mano dalla vista. Lo associai al canto delle sirene di Ulisse, qualcosa di irresistibile. Nicholas si passò la lingua sull'arcata del sorriso e si scosse i capelli bagnati con un asciugamano.
"Sei stata brava prima", si complimentò indicando la palestra con il mento, prima di fare una mezza risatina ed entrare nel bagno per rivestirsi. Nel cercare di riprendere le mie facoltà mentali pesantemente assopite alla vista della sua straordinaria bellezza, ricordai qualcosa che necessitava la mia attenzione, che stimolava la mia curiosità insoddisfatta.
"Non ti presenti mai con il motto della tua dinastia", confutai. Lui uscì scalzo con un pantaloncino che cadeva perfettamente sulla V definita del suo addome.
"Perché, tu lo fai?", domandò quasi in maniera retorica.
"Io non ho una dinastia di riferimento", mi sentii in dovere di rispondere, alzando il palmo della mano per far notare il mio marchio diverso.
Lui sorrise abbassando lo sguardo, quasi trovando dolce il fatto che non sapessi nulla sul suo conto, come una povera sprovveduta. Alzò la mano come per salutarmi, ma io sapevo benissimo che mi stava rispondendo. Rimasi paralizzata dallo stupore.
"Beh, nemmeno io", concluse.
Una cicatrice rossa spiccava sulla pelle diafana del palmo, quasi come fuoco con sfondo ghiaccio. Un ottaedro stellato.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 14, 2019 ⏰

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