Capitolo VIII

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Era trascorsa una settimana da quando Vera aveva visto Vittorio per l'ultima volta e, anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, iniziava a essere preoccupata: dopo che Vittorio aveva litigato con sua moglie e se n'era andato, la ragazza non l'aveva più visto né sentito e, considerata la frequenza con cui si incontravano di solito, tutti quei giorni di silenzio assoluto l'avevano messa a disagio. Così quel giovedì, dopo aver finito il lavoro dal professor Maesa­ni, Vera era andata dritta al comando di Tor Sapienza e si era seduta su un muretto lì di fronte, decisa ad aspettare per tutto il tempo necessario che Vittorio emergesse dall'edificio.

Erano quasi le quattro quando le volanti iniziarono a rientrare per il cambio turno. Vera non riuscì a individuare Vittorio nelle auto che le passavano davanti; fu lui a vederla, e non appe­na scese dalla macchina le andò incontro con un misto di perplessità e preoccupazione sul volto.

«Ehi» disse; tese una mano per aiutare Vera ad alzarsi e lei l'accettò. «Che ci fai qui? È suc­cesso qualcosa? Da quanto sei seduta su questo muretto?»

«È un interrogatorio, Valenti?» sbuffò divertita la ragazza.

«Solo qualche domanda più che lecita» ribatté il carabiniere. «Allora?»

Vera si strinse nelle spalle. «Come stai?»

Lui la guardò in un modo che Vera non riuscì a decifrare. «Sei venuta qui per questo? Solo per questo?»

«Sì» rispose Vera, come se passare più di due ore seduta su un muretto in attesa di qualcuno fosse la cosa più naturale del mondo. «È da una settimana che sei sparito ed è tipo un record: iniziavo a credere che qualche automobilista si fosse arrabbiato durante un controllo e ti aves­se investito» lo punzecchiò.

«Scherza, scherza» mugugnò lui. «Un paio di volte ci hanno provato».

Vera soffocò una risata prima di parlare ancora. «Allora, come stai? L'ultima volta che ci siamo visti eri arrabbiato di brutto».

Vittorio s'infilò le mani in tasca e si guardò intorno, pensoso.

«Sto... meglio, credo» disse infine. «Più tranquillo, sai: ho parlato con un avvocato e avvia­to le pratiche per la separazione» le rivelò. «Avrei dovuto farlo appena ho scoperto che mi tradiva...»

La ragazza sgranò gli occhi. «Ti tradisce pure?»

Lui si strinse nelle spalle. «Ha una relazione col suo capo che va avanti da un paio d'anni, non è più una novità. Adesso spero solo che quella stronza non faccia storie: voglio che que­sta farsa di matrimonio finisca il più presto possibile» aggiunse in un ringhio.

«Mi sembri troppo nervoso perché possa essere la verità» disse cauta Vera. «Non ti senti... ferito? Neanche un po'?»

L'uomo le rivolse uno sguardo incerto e parve riflettere attentamente sulla risposta. Dopo l'ultima lite telefonica con Emanuela, l'unica cosa che Vittorio aveva provato nei confronti di sua moglie era stata rabbia: per essersi allontanata da lui quanto lui si era allontanato da lei, per aver deciso di tradirlo con regolarità negli ultimi due anni, per non aver neanche provato a stargli vicino quando era stato trasferito a Roma. Quella stessa rabbia, simile a una fiamma­ta alimentata dalla benzina, l'aveva spinto a muoversi in modo rapido e deciso per avviare la separazione e rimuovere definitivamente Emanuela dalla propria vita, e non c'era stato posto per nient'altro: adesso che Vera gliel'aveva chiesto, però - adesso che con la sua solita sfacciataggine l'aveva costretto a pensarci - Vittorio si era reso conto di aver agito in quel modo nella speranza che risolvere velocemente la situazione diminuisse il dolore, così come si strappa via un cerotto con un colpo secco per non sentire nulla.

Il colore dei girasoliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora