V "MOZART MI DA UNA MANO" DAVIS

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La situazione era tranquilla fino a quando non arrivò Hunter. Come un virus che si insedia nell'ospite, Emily aveva scombussolato un meccanismo che stava funzionando bene tra me e Seven. Seven: che tipo particolare. Avevo capito da subito che non era un tipo loquace, ma parlando con lui, notai che non era niente male. Anche se era in un perenne stato d'ansia e non la smetteva più di muovere quell'anello al dito, vedevo che era felice per quel semplice ma importante complimento che gli avevo dato. Hunter invece, non era un tipo con cui scherzare. L'anno scorso, mentre studiavamo la composizione dello zolfo, mise più di dieci caramelle alla menta nella lattina di coca cola che aveva portato, ponendola poi sulla cattedra del professore. Ma, a quanto avevo sentito in giro, era una ragazza gentilissima, ma solo con le persone a cui teneva veramente. Non avevo paura di lei, sapevo farmi rispettare. Piuttosto, Seven se la stava facendo nelle mutande, quando la ragazza si avvicinò al suo orecchio. Deve avergli detto qualcosa di orribile per stampare uno sguardo spaventato sulla sua faccia. Avrei voluto dirgli una cosa importante o meglio, l'unica cosa che andava fuori gli schemi della mia vita, ma non mi fidavo di Emily, non ancora. A differenza sua, vedevo nello sguardo di Seven quel pizzico di fedeltà necessario per confidare un segreto. E poi, a quanto mi aveva detto, non conosceva così tanta a gente cui poteva rivelarlo. Ci avevano confiscato il cellulare, non potevo neanche avvertire Sam dove mi trovavo. - Non state lì impalati, venite a darmi una mano!- gridó all'improvviso Emily, che si era inoltrata tra gli scaffali della piccola biblioteca e non era più tornata. Mi alzai e, insieme a Seven, ci dirigemmo verso quella strana ragazza.

Avete presente quei fortini che i bambini costruiscono durante le feste con i cuscini? Ecco, Emily aveva fatto lo stesso, ma con i libri. Aveva posizionato qualche centinaio di libri a creare una specie di casupola senza tetto, ma grande abbastanza per farci entrare. - Ragazzi, vi presento NoWhere! -. Il fatto che l'avesse chiamato con un nome contraddittorio, era proprio una cosa da Emily. - Solo una domanda... Perché? - chiese lentamente Seven. - Perché, caro amico vampiro- rispose, guardando lo sguardo stufato di Nickson - è una cosa che si fa, tra cari amici. -.- Si, appunto, tra cari amici. Pochi minuti fa non sapevo neanche il tuo nome, EMILY- disse, prolungando il suo nome. - Possono succedere tante cose in pochi minuti, zombie -. - Wow, ho pure il privilegio di essere chiamato zombie, ora?-. A quel punto volevo intervenire. - Ok ragazzi adesso basta. Seven, Emily voleva solo fare qualcosa per far passare il tempo. Emily, non devi trattare così Seven. -.
- Uo Uo Uo, datti una calmata Davis. Capisco che non c'è M.K qua, però... -. No. Quel nome no. Seven vide nel mio sguardo qualcosa che ancora non aveva visto: pura essenza di rabbia.

Il fortino non ebbe vita lunga. In quegli pochissimi istanti che passarono tra Emily che pronunciò quel nome e me che le tiravo addosso la biografia di 750 pagine di Mozart, si poté toccare con le mani la rabbia che provavo. Hunter, sebbene non avevamo mai parlato, mi conosceva abbastanza bene per dirmi in faccia ciò che mi faceva ridere e ciò che mi faceva andare in bestia. Dopotutto era lei che aveva passato un'ora a osservarmi durante l'ora di chimica, lo scorso anno per tutto l'anno. Uno sguardo che entrava dentro e sembrava dicesse "ti sto leggendo la mente, stupida ragazza". E ora, in una stanza del seminterrato, calda e polverosa, un ragazzo dagli occhi truccati che avevo appena conosciuto cercava di farmi calmare mentre una ragazza dal ciuffo azzurro rideva e schivava i libri pesanti che le tiravo, sentivo che quella non ero io. Era come se il solo sentire quel nome mi facesse trasformare in qualcos'altro. Possibile che bastassero solo quelle due lettere: M.K.. Nel frattempo, Seven aveva cercato di allontanare più libri possibili dalla mia presa, e quindi rimasi a mani vuote. - ADESSO BASTA-. Sentire la gridata di Seven che rimbombava tra gli scaffali, mi fece prendere atto di ciò che stava accadendo. Mi girai verso di lui. Era in ginocchio, con le mani che tappavano le orecchie, la testa che tremava velocemente e le labbra che sembravano stessero dicendo qualcosa. - Seven... Che hai? -
Anche Emily si era avvicinata, curiosa di ciò che il ragazzo manifestava. - Nel mio zaino...- sussurrò piano, indicando con il dito lo zaino sulla sedia, dall'altra parte della stanza. Corsi a prenderlo e glielo porsi. Lo aiutai anche ad aprirlo, visto l'enorme difficoltà che aveva. Sembrava il cane che avevo da piccola, quando ogni tanto aveva una delle sue crisi. Ma quella che Seven stava manifestando, era peggio di una crisi. Sembrava... posseduto. Tirò fuori un paio di cuffie dallo zaino, mancanti però di filo. Erano più piccole di quelle che si vedevano in giro, e intuì che quelle non servivano per ascoltare la musica. Allontanò le mani dal viso e sia io che Emily potemmo vedere la sua faccia. Aveva un occhio nero. Ma non per il fatto del colore che portava agli occhi, era come se qualcuno gli avesse dato un pugno dritto all'occhio sinistro, abbastanza potente. Ero convintissima che prima non lo aveva e io, né tanto meno Emily, lo avevamo toccato in quei minuti di lotta. Si mise seduto a terra, con le gambe conserte e il viso in giù. - Se ve lo stesse chiedendo- disse con un filo di voce - sono stato io, sì-. Avevo capito che Seven era un tipo diverso dagli altri, ma darsi un pugno da solo, quello è proprio da pazzi. - Che dire, zombie, puoi farti causa da solo ora ?- disse Hunter, accennando un sorriso. - Tu non riesci proprio a stare seria, vero? - le dissi. - Nah. Ma almeno io non tiro libri alle ragazze. A proposito, hai un bel lancio-. La guardai con più odio possibile, ma la ignorai, andando ad aiutare Seven ad alzarsi.

Ci rendemmo troppo tardi che eravamo in detenzione e che in pochi istanti qualcuno sarebbe venuto a controllarci.

Ci sedemmo tutti e tre nello stesso tavolo, mentre Seven metteva la sua bottiglietta fresca sopra l'occhio ormai sgonfio. - È colpa mia. Non avrei mai dovuto avere quella reazione. - mi scusai, guardandolo negli occhi. - Già, lo penso anche io- aggiunse Hunter. La guardai, sospirando davanti a lei. - Non è colpa tua, Noah. Sono io il problema- rispose, ponendo il lato più fresco della bottiglia sul suo occhio. -Mi succede sempre, tranquilla-. - Cioè ogni volta che qualcuno litiga, ti tiri un pugno. Forte!-. Certo che quella ragazza non teneva la bocca chiusa. - No, non è proprio così. Mi succede quando non le indosso- disse, toccandosi le cuffie. -mi basta un rumore oltre un certo limite che mi disturba e... - andare avanti con il discorso non gli piaceva, e lo capii subito per fortuna. - Vai fuori di testa- completai la frase. - Già. E questo comporta varie cose come autolesionismo, perdita di sensi, e soprattutto... -la voglia di andare avanti col discorso era pari a zero - Soprattutto? - chiese velocemente Emily, ormai sulle spine. Lo sguardo di Seven era diventato cupo, estraneo a quello che stava dicendo, e ci mise un po' prima di chiedere, ritornando al mondo reale. - Ma, avete rimesso a posto il caos che avete fatto vero?-. Era buffo vedere la faccia di Emily che ragionava sulla domanda di Seven, proprio come la mia. Ci girammo tutti e tre verso i corridoi che gli scaffali formavano, per poi scambiarci uno sguardo a vicenda. - Siamo nella merda- dissi.

Era un giovedì tranquillo quando mio padre dovette andare a lavoro per il solito turno di notte e io e mia madre decidemmo di vedere un film. Mike si era appena addormentato e Sarah, mia sorella più grande di 3 anni, era uscita con le sue stupide amiche. Sarebbe stato bello passare una serata madre - figlia davanti ad un film, ma quello che sentì invece fu solo la notifica continua dei messaggi sul telefono di mia madre. Era più di un quarto d'ora che non la smetteva di suonare. E mia madre non aveva la minima intenzione di mollare il telefonino. Fu la sera in cui "conobbi" Jane, la cara amica di mamma. Ci vollero due settimane per capire la verità, ero sotto la doccia e riflettevo, riflettevo e riflettevo... Fin quando la mia mente si accese ed elaborò tutto. Rimasi nella doccia per più di 20 minuti. Non reagivo più. La mia pelle non avvertiva più l'acqua fredda che arrivò all'improvviso. La mia mente era altrove. In un mondo di bugie. Di tradimento e falsa fedeltà che mia madre stava visitando ogni giorno, messaggio dopo messaggio inviato a Jane e da lei ricevuto. Ansia, stupore, sorpresa... Ma soprattutto odio. Odio per la donna che mi aveva messo al mondo. Se lo avessi detto in giro mi avrebbero definitiva una persona orribile, certo. Ma vedere mia madre che imboccava mio fratello, che consigliava i vestiti di mia sorella e che baciava mio padre quando rientrava da lavoro, era più di un colpo al cuore. Era delusione. Era profondo disprezzo nei confronti della donna che mi aveva cresciuto. Ogni volta che vado in ansia mi viene in mente lei. Mi vengono in mente le stesse emozioni che provai quella sera. Ma per fortuna, Seven mi diede uno scossone e mi fece tornare alla realtà. - Dobbiamo mettere in ordine. Il professor Tonkh sta arrivando.-

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