Venerdì mattina, squilla il telefono. Zia sta molto male, mi dice la voce.
Prendo il primo volo, quello della sera.Ciao zia...
Le prendo la mano e le accarezzo la fronte. Apre gli occhi e sorride. Oggi sì, gli occhi li apre, ieri no.
L'infermiera mi dice: merito della nipote.
La bacio. Lei alza l'unica mano che muove ancora e cerca un abbraccio.
L'abbraccio. Mi stringe. È lungo il tempo dell'abbraccio. Rimango seduta accanto a lei tutto il giorno.
La mano non gliela lascio quasi mai.
Non è più padrona del suo corpo, altri ora sono i padroni: gli infermieri.
Sono tutti attenti e affettuosi con lei, vengono a cambiarla e a girarla spesso.
Sono contenta di questo.
Poi, chiacchierando con Mina, una delle sue amiche, mi dice:
Hai visto come la curano bene? Si tocca la gola.
Le ho lisciate tutte. Mi dice.
Che cosa significa? Penso io.
Poi capisco e mi chiedo: questa grande cura è autentica o nasconde un nucleo economico?
Non lo saprò mai. Non approfondisco. L'unica cosa che mi interessa è la cura.
Nella stanza ci sono quattro amiche. Qui sì che si distingue l'amicizia incondizionata da quella interessata.
A una certa ora escono tutte. Finalmente rimango sola e posso dirle ciò che volevo.
Mi guarda, annuisce. Le faccio delle domande, capisce tutto, risponde sì o no con la testa.
È triste. Non può parlare.
Le dico: zia, non c'è bisogno di parlare, ci capiamo lo stesso.
Strizzo tutti e due gli occhi, lo fa anche lei.
Sorrido. Sorride anche lei.
Zia Mim è una donna saggia, ha capito tutto. Sembra accettare con consapevolezza di essere alla fine.
Ha detto solo due parole: mamma mia e che martirio. Ho stentato a capirle.
All'ora di pranzo rimaniamo in due.
Siamo in Puglia. Carmela, una figlioccia di zia, a lei molto affezionata, ci porta parmigiana, tranci di focaccia pugliese e nel pomeriggio la macedonia di fragole.
Rocchina, novantenne vicina di camera, entra con un bicchiere di plastica pieno di ciliegie. Sono buonissime.
Intorno a noi vecchiaia, corpi inutili che cambiano odore, e abbandono.
Zia non ha figli né parenti vicini, ma amiche presenti. È privilegiata. Tra le storie, quella di una signora con quattro figli, abbandonata nella casa di riposo, nessuno di loro la viene a trovare. Lo racconta con occhi umidi e rossi. Si soffia il naso.
Sono le 18.30. Saluto e torno in masseria.Il giorno seguente mi alzo presto, perché voglio fare un passeggiata in mezzo agli ulivi. Faccio colazione coi pasticciotti e torno da zia.
Sono sola, dorme. Le tengo la mano. È fredda oggi. Ieri la temperatura corporea era buona.
Apre gli occhi, le accarezzò la fronte.
Le ripeto: zia Mim, comunichiamo con gli occhi. Li chiudo forte e le dico: questo vuol dire ti voglio bene.
Lo fa più volte anche lei e abbozza un sorriso.
Si addormenta. Io scrivo.
Penso alla morte. Le sta venendo incontro...Entra una signora sui novant'anni, alta, robusta, sdentata, con un bastone che fa rumore. Zia la chiamava capitano uncino.
Ha un rosario come collana. Si mette a parlare in dialetto stretto, capisco quasi nulla.
Nel discorso ci sono: un matrimonio combinato, un marito bravissimo, una nuora terribile che ha fatto morire il marito di crepacuore. Quale marito? Il suo o della nuora? Parla di cinque persone cattive baciando ripetutamente il crocifisso del Rosario e dice: Questo è o' ggiudice! Guarda zia e dice piangendo: ce pccat... L'ascolto fingendo di capire. Nell'enfasi del racconto scopre un seno enorme... Oh Gesù! Penso io. Faccio finta di niente. Dopo venti minuti saluta e se ne va.
Appoggiata sulla sponda del letto mi addormento con la mano di zia nella mia.
Entra l'infermiera e mi porta una poltroncina più comoda.
Arriva l'ora di salutarla. Sono stati due giorni intensi.
Avevo portato un libro. Non ho letto. Non era un tempo per la lettura.
Presenza e attenzione dovevano essere per lei.
Quattordici ore insieme.
Il pensiero che questo sarà l'ultimo saluto riempie i miei occhi.
Abbraccio Mina e Carmela, amiche preziose.
Raccolgo le mie cose ed esco velocemente.
Prendo i fazzoletti di carta nella borsa e torno in masseria.
Domani riparto.Chiara, 6 maggio 2018
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Vivere, osservare. E poi, parole.
ContoFrammenti di vita. Ogni parte di questa raccolta è a sé. Adoro fotografare, anche in parole.