Parte 2

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Parigi, Radisson Hotel, ore 23:30, 13 marzo 2018

Il rumore della zip del trolley che scorreva fino a chiudersi concluse un’ora di imprecazioni, singhiozzi, e calci dati agli angoli di elementi d’arredo costosissimi. Louis si sedette sul letto accanto alla valigia piena e si lasciò cadere all’indietro. Sollevò il cellulare per prenotare un volo per Londra per l’indomani senza chiedersi più niente, era troppo angosciato per darsi qualsiasi risposta.

In cosa aveva sperato? Come aveva potuto illudersi per tutte quelle ore che sarebbe stato davvero così semplice? Vederlo scendere dal palco, sentirsi riscaldare dal suo sorriso con fossette che non fosse per un gruppo di persone, ma soltanto suo, e poi saltargli al collo per mostrargli quanto fosse felice di aver abbattuto la barriera dell’orgoglio per arrivare fin lì. Ora invece era più alta che mai, tenuta su da una paura così spessa che non vi avrebbe potuto vedere attraverso, mai più.

Mentre cercava tra gli orari dei voli vide una notifica da Lou Teasdale. La sbloccó per educazione. Non aveva voglia di parlare con nessuno minimo per una settimana, ma non l’aveva neppure salutata correndo via, e lei aveva fatto tanto per accontentarlo, senza battere ciglio. Se non fosse stato sdraiato, vedendo il contenuto del messaggio, probabilmente si sarebbe accasciato senza forze sul pavimento:

“Ei L., volevo sapere come stai… ok, probabilmente non hai voglia di parlarne ora, ma sei scappato prima della fine e credo proprio tu debba vedere questo. Anche se già lo saprai, DEVI vedere proprio questa esibizione. Non ho detto nulla ad H. Sta tranquillo. Ti voglio bene, sempre.”

Sotto al messaggio, l’anteprima di un video frontale, in HD, con Harry che cantava. La tentazione era quella di cancellare il messaggio senza vedere il video. Non avrebbe cambiato nulla, non poteva, sentire le parole di Harry era la sua droga da 8 anni e in questo momento un’altra dose poteva solo rubargli quel briciolo di dignità che era riuscito a farlo smettere di piangere mentre riponeva nel bagaglio la sua speranza di nuovo a brandelli.

Fu un gesto automatico. Lo fece partire. Non seppe mai il perché, chiunque avrebbe risposto a Lou:
“ Scusami, ma di lui non me ne frega più un cazzo.” Louis Tomlinson no. Quelle parole voleva pensarle con tutte le sue forze, ma non riusciva a crederci neppure per un istante.

Nel cellulare, Harry mosse lentamente le mani sulla chitarra, abbassó lo sguardo verso il microfono fino a chiudere gli occhi, e iniziò a cantare con voce roca e lenta:

Sweet creature
Had another talk about where it's going wrong
But we're still young
We don't know where we're going
But we know where we belong
And oh we started
Two hearts in one home
It's hard when we argue
We're both stubborn
I know, but oh
Sweet creature, sweet creature
Wherever I go, you bring me home
Sweet creature, sweet creature
When I run out of road, you bring me home
Sweet creature
We're running through the garden
Oh, where nothing bothered us
But we're still young
I always think about you and how we don't speak enough

Finita la strofa, Harry aprì finalmente gli occhi su una folla che cantava all’unisono con lui e che lui sembrava non sentire e tutto lo spazio attorno a Louis si inondó di verde, ma non col solito sguardo. Lo sguardo di Harry era dominio, su tutto ciò che guardava, era l’imposizione di esserci e di star facendo fottutamente bene qualsiasi cosa si dovesse fare in quel momento. Lì lo sguardo che colpì Louis era uno specchio. Era il suo dolore, chiuso in una camera d’albergo, negli occhi di chi amava, che stava su un palco ben un’ora prima. La sofferenza tradita di un animale ferito che al colpo risponde ringhiando prima di piangere. Due occhi che urlavano che faceva tutto troppo male, ma che, cantando quel dolore, non sarebbe finito a terra sconfitto. Perché a lottare con lui in una guerra che era letale, perché giocata su due sentimenti reciproci e fortissimi, non c’era una persona qualunque. Era la sua dolce creatura quella che lui aveva ferito e allontanato, e per la quale ora soffriva così tanto da corrodere dentro se stesso. Era quello il verde di quegli occhi, la ruggine di anni che aveva rivestito il cuore di Harry, per il quale lui cantava. Lo urlava sempre, ma non riusciva a farlo diventare realtà: We're just two ghosts standing in the place of you and me
Trying to remember how it feels to have a heartbeat.

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