Parte 7 - Bonus track

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New York, 21 giugno 2018, backstage Madison Square Garden, ore 18 e 30

“Harry! Dannazione, muovi quel culo, voglio la rivincita! E non pensare di inventare scuse!”

Una risata uscì fuori dal camerino assieme a una testa riccia e a un sorriso furbo con fossette.

“Tranquillo, Adam! Arrivo, dammi solo il tempo di fare una telefonata…”

“Okay, okay, ammettilo che è solo una cazzata perché non sai scegliere tra le tue fascette per capelli… ti aspetto al tavolo. MUOVITI!”

Harry gli fece una linguaccia mentre rientrava in camerino chiudendosi dietro la porta.

Sfiló subito l'iPhone dalla tasca strettissima dei jeans e fece partire una chiamata.

Rispondi. Per favore. Rispondi. Muoviti. Odio avere sempre fretta di parlarti ma ti prego. Ne ho bisogno. Non ne ho mai avuto così tanto bisogno in vita mia.

All’altro capo del telefono una voce trafelata iniziò a parlare vorticosamente senza neppure salutare.

“HAROLD! Cazzo, ho appena visto le foto. Sei su un fottuto tetto gigante! A New York! Sono pieno di foto dei miei amici, ti si vede dagli aerei! Il Madison Square Garden si è stampato addosso la tua faccia! Non ci posso credere….cazzo, è troppo, non ti riesco a dire quanto sia-”

La tua voce. Stavo bene già solo sentendo il mio nome dalla tua voce. Mi manchi, Louis. Sono in preda al panico più totale, a malapena respiro, devo tenermi occupato ogni singolo istante per non impazzire, fare meditazione o giocare a ping pong finché non sento le braccia bruciare indolenzite, e poi basta una tua sillaba ed è come un’iniezione di sedativo. La mia pace nel caos, il mio time-out nella partita. Parla, parla, fai sparire i rumori dentro la mia testa.

“Vieni qui, Lou. Ti prego.”

Un sospiro lunghissimo sembrò colmare l’enorme spazio che divideva quei due corpi sospesi ai lati di una cornetta. Ad Harry sembrò quasi di sentire il profumo del fiato di Louis alle narici, tanto sembrava reale e presente la sua nostalgia.

“Cazzo, Harold… non sai quanto lo vorrei. È la cosa che più desidero, in un momento normale non me la sarei persa per niente al mondo ma, lo sai, devo parlare col nuovo management, ho finito una riunione poco fa, e non posso rimandare ancora. Ho strappato quei giorni a Philadelphia con prepotenza, e già mi hanno riempito di storie assurde. Ci ho provato in tutti i modi, ho guardato tutti i voli. Non riesco proprio, amore, e sono così incazzato per questo. Né oggi né domani, non ce la faccio proprio.”
La voce di Louis ebbe un tremore, la schiarí tossendo e continuò incerto “St-stai bene, Harold?”

“Si… io…. Ehm. Un po’ d’ansia, forse. Ma sto bene. Parlo con te, sto bene. Andrà tutto bene.”

“Sono qui. Anche se non mi vedrai là con te, sono qui. Sarò sempre qui con te, Harold. Sempre, comunque vada. E andrà alla grande, oltre ogni record.”

“Grazie. Okay, respiro…. Okay, andrà bene…”

“Dai, rispondi alla domanda che so che stai aspettando da quando mi hai chiamato. Che ti metti stasera?”

Harry rise sonoramente. Louis era così, due parole e ribilanciava il suo ego interiore che minacciava di condurlo alla rovina, soffocandolo in spire di paranoia e angoscia. Il suo ragazzo invece era raggiante, anche dall’altro lato d’America, anche senza poterlo vedere e toccare, aveva l’effetto su di lui che ha lo spalancare una finestra per far entrare luce e sole in una stanza dimenticata da tempo. Era vita all’ennesima potenza, concentrata nella voglia di ridere di ogni paura.

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