Qualcosa di appiccicoso stava scorrendo lungo il mento di Flaminia. La ragazzina aprì gli occhi e si mise a balbettare a mezza voce.
«Mamma?» farfugliò, vedendo una sagoma oscura davanti a lei. «Non c'è il seminario di scrittura oggi... posso restare a casa...»
«Ti ha chiamata mamma» constatò una voce maschile ignota, dal timbro profondo.
«Che abbia avuto dei danni cerebrali durante il trasferimento?»
«Mamma, hai fatto i pancakes?»
«Decisamente, danni cerebrali. Ottimo. E adesso che facciamo?»
«Macché danni e danni! Sta bene! Ha il cervello giovane, non sarà un piccolo trasferimento di coscienza a bruciarle i neuroni! I ragazzini di adesso lo fanno sempre, l'ho letto online.»
Qualcuno la prese a schiaffotti e Flaminia tornò bruscamente in sé. Si rese conto di essersi sbrodolata addosso come uno zombie in cerca di cervelli e si ripulì il mento su una manica della tuta. Davanti a lei c'erano tre persone sconosciute che la stavano fissando. Si trattava di due ragazzi che non dimostravano più di diciotto anni, dei quali uno indossava degli abiti molto eleganti, un dolcevita di un azzurro cupo e dei pantaloni gessati attillati, che si univano armoniosamente alle sfumature pallide della sua pelle e del suo viso, azzurro, biondo e rosa chiaro; l'altro giovane, invece, era vestito con tutte le sfumature del nero, aveva una pelle olivastra che gli dava un nonsoché di latino e due grandi occhi neri. Il suo aspetto era molto aggressivo, ed era sottolineato da una serie di borchie che decoravano i suo giubbotto di pelle. Quella che saltava più all'occhio nel trio, però, era una ragazza con la chioma di capelli più esplosiva che Flaminia avesse mai visto, di un nero che più nero non si poteva immaginare. Era vestita con ogni sorta di abiti bizzarri, come se qualcuno avesse versato il contenuto di dieci armadi diversi in una lavatrice e avesse estratto i primi tre capi d'abbigliamento che gli erano capitati sottomano, per poi appiccicarli addosso a lei. Era molto bella, nonostante avesse un naso un po' aquilino e un sorriso arrogante stampato sulle labbra carnose. Flaminia avrebbe voluto toccarle i capelli, se non fosse stato che temeva di poterci perdere una mano e non riuscire più a estrarla.
La ragazza sconosciuta le schioccò le dita di fronte al viso.
«Allora? Ci sei? Mi capisci?»
Flaminia la guardò con aria ebete, cercò di farfugliare una risposta, ma dalle labbra le fuoriuscì solo un mormorio incomprensibile. La ragazza aggrottò le sopracciglia.
«Oddio, forse le ho davvero causato dei danni cerebrali.»
«No, no, sto bene» farfugliò Flaminia. «E' solo che... certo che è strano: un attimo fa ero a casa mia, a lavorare al mio romanzo, e adesso sono qui.»
Si guardò attorno per cercare di capire dove fosse esattamente quel "qui", ma era tutto bianco. Era in un posto vuoto, dove non c'era niente, nessun mobile, nessun muro, solamente una luce chiara senza fine che dava l'illusione di trovarsi all'interno di un blocco di plastica. Le uniche presenze concrete erano quei tre tizi che la guardavano come se lei fosse stata uno strano esemplare di un animale estinto.
«Cos'è successo? E... e voi chi siete?»
La ragazza diciassettenne di fronte a lei le rivolse un ghigno. Si passò una mano nella chioma ribelle che sembrava uscita da un poster degli anni '80 del millenovecento e sollevò il mento con superbia.
«Benvenuta nel mio mondo, cara Flaminia» sibilò. «Ti sei già dimenticata di me?»
Flaminia aggrottò le sopracciglia e strinse le palpebre per metterla a fuoco: quei capelli crespi le dicevano qualcosa, ma non ne era sicura.
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La società degli scrittori
Science FictionNella società di Romanzia entro il compimento dei tredici anni bisogna scrivere il primo romanzo. Flaminia è alle prese con questo difficile compito e si reca al Supermercato dei Personaggi, dove si possono acquistare ogni genere di mezzi letterari...