Posso?

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Conte entrò lentamente in casa, troppo immerso nei pensieri per rendersi conto dei suoi stessi movimenti.
“Peppe?”
Come risvegliato da un sonno che era durato l’intero tragitto casa-scuola, lanciò un’occhiataccia verso il padre. “Pa’ t’ho detto di non chiamarmi così!”
“E perché? A tuo nonno piace tanto!” Salvini si affacciò dalla cucina, con il ferro da stiro in mano.
Di risposta, il figlio sbuffò, salendo le scale verso la sua camera. V’incontrò, che stava invece rapidamente scendendole, l’altro suo padre.
“Wee, tutto bene?”
“Pa’” Disse, fermandolo sui gradini. “Una cosa”
“Te l’ho detto Giusé, all’università a New York non ti ci mando. Non voglio che stai così lontano, in mezzo agli americani. Sono pericolosi sai?”
“Non ti volevo dire questo… non ora. Posso uscire domenica sera?”
“No”
Alzò i palmi delle mani verso l’altro, che esclamavano, senza bisogno di chiedere niente, “Perché?!”
“Sai cosa?” Rispose Gigi, posandogli una mano sulla spalla e scendendo un gradino. “Chiedilo a Salvy. Io mi sono stancato di essere sempre quello che deve dire di no!” E se ne andò senza stare a sentire ragioni.

Al ché, Conte, in cerca di risposte, tornò al piano di sotto per fare come gli era stato detto. Sì avvicinò con quel volto che ogni genitore conosce bene sul proprio figlio: quello buono, in previsione di una richiesta. Già diffidente per questo, Salvini posò l’ultima camicia che aveva stirato sul tavolino della cucina, ripiegandola e mettendola sopra le altre con una certa delicatezza, non propria ai suoi modi. “Che c’è ora?” Immediatamente il suo tono di voce andò a ricompensare una tale gentilezza dei gesti.
“Posso uscire domenica?”
Il padre lo squadrò, per ottenere più informazioni ancora prima di chiederle. Almeno, per ottenerne di sincere. Non che ci volesse molta esperienza, per leggere lo sguardo del figlio. “Con chi?”
Si guardò intorno, per poi fermare gli occhi sulle sue stesse mani, dove le dita si intrecciavano nervosamente. “Un mio compagno di classe”
“Lo conosco?”
“No, è… è nuovo, più o meno. Sai, no, sono arrivati quattro nuovi…”
“Come si chiama?”
“Che importa?”
“E’ straniero?”
Giuseppe deglutì, rendendosi conto di essersi tradito da solo. Sarebbe bastato dire una bugia, tuttavia non era una sua grande abilità. “Non è come pensi tu-“
“Il nome, Peppino”
“Basta con ‘sto Peppino! Si chiama Emmanuel. E’ francese, Pa’. Stanno qui in Italia per un anno, tutti e quattro”
Con un sospiro di sollievo, Matteo scrollò le spalle, sebbene non sembrava del tutto convinto. “Poteva andare peggio. Vabbè, ci vuoi uscire? Escici. Ma lo voglio conoscere, poi”
“Sì, sì! Mi viene a prendere, te lo presento!” Corse poi di nuovo al secondo piano, precipitandosi nella sua stanza per chiamare l’amico, mentre un sorriso gli si imponeva sulle labbra, pensando alla loro prossima uscita. Non aveva qualcuno con cui vedersi da tanto tempo.

Andrà tutto bene, amore || MacronxConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora