Ladri d'aria

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Toc toc.

Delicati, continui.
Proprio come Giuseppe se li era immaginati negli ultimi 30 minuti che aveva passato a mettersi gel sui capelli. Probabilmente, troppo. Ma, si diceva, non l’avrebbe notato nessuno. E poi era evidente che fosse gel, e non sporco. Due ciuffi gli pendevano sulla fronte, e mentre scendeva le scale dondolavano rapidamente da una parte all’altra.

Quando stava per aprire la porta, gli si parò davanti Salvini, con le braccia conserte. “Oh, cos’è tutta questa eleganza?” Disse provocatoriamente, riferendosi alla camicia bianca infilata nei pantaloni di un grigio scuro.
Tentando di eludere quell’osservazione, Conte aggirò il padre, per poi aprire la porta.
Macron era lì, anche lui camicia, celeste, e pantaloni neri. Diversamente da quanto ci si aspetta quando qualcuno si presenta davanti a una casa, di sera, vestito accuratamente, per uscire insieme a qualcun altro, non stringeva in mano nessuna rosa o cioccolatino, o qualsiasi voglia tipo di regalo. Tuttavia questo non era un appuntamento. La sua eleganza non era dovuta all’occasione, bensì a una semplice abitudine. Per quanto riguardava Conte, invece, era una storia diversa. “Come promesso, voilà! Puntuale” Stava per dare una pacca sulla spalla all’amico per invitarlo ad uscire, quando si accorse della presenza di un uomo alle sue spalle. Aveva una folta barba incolta, e lo osservava dall’alto verso il basso con una certa severità, nella sua felpa verde. “Emmanuel?”
“Sì, monsieur… Conte?”
Scosse la testa. “Salvini. Non ha preso il nostro cognome, Giuseppe” Ci si immaginerebbe una certa affettuosità nel tono di un genitore che nomina il proprio figlio, e così era spesso, in quella casa, ma non ora. Matteo sembrava troppo preoccupato a mostrarsi inflessibile e freddo, suscitando curiosità e imbarazzo nel figlio.

“Vabbè pa’ noi andiamo”
“Emmanuel, come ti trovi in Italia?”
Conte si portò una mano alla fronte, già conscio della conversazione che stava per avvenire. Strattonava l’amico per la manica, ciò nonostante non riusciva a muoverlo via da lì.
“Bene, signore” Rispose, facendo segno a Conte di aspettare.
“Pensi di restare qui?”
“Il mio stage è un anno ma… forse dopo sì. Mi piace l’Italia e l’idea di… vivre qui” Mentre parlava faceva delle brevi pause, tentando di richiamare alla memoria i corretti vocaboli da utilizzare, appresi nelle numerose ore di lezioni d’italiano.

Come se avesse centrato il suo obiettivo, l’uomo accennò un sorrisetto compiaciuto, per poi divenire ancora più serio. “Ah sì? E poi? Trovi lavoro qui?”
Innocentemente Macron annuì, pensando anzi di fare una buona impressione, mostrandosi pronto a mettersi all’opera e non intimorito dall’idea di lavorare all’estero.
“E mio figlio, gli togli quel posto di lavoro? E dopo di te quanti altri? L’intera Parigi, no? E dove vi mettiamo? Gli togli pure la casa, già che ci sei? Ma sì, vieni Francia! Prenditi tutto! Pure l'aria, finiteci! Restarvene a casa vostra, no! Dovete invaderci!"

Mentre continuava l’interminabile elenco di cose che -a quanto pareva- sarebbero state ingiustamente sottratte al povero Conte, quest’ultimo diede una spinta al francese, che questa volta accolse il gesto e iniziarono insieme ad avviarsi lontano da quella casa. Lontano da quella lista.

Andrà tutto bene, amore || MacronxConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora