Capitolo 5

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Rimase senza fiato. Sua madre era stata così comprensiva e dolce, che a mano a mano le sembrò di riavere il controllo della propria vita e il quadro intatto e dettagliato della sua infanzia davanti agli occhi. Tutto era più chiaro. Ebbe l'impressione di conoscere quella donna da sempre, nonostante non avesse condiviso più di tanto con lei; ma ricordava bene i frammenti di quando era ancora una bambina indifesa. Le mani le tremavano, aveva iniziato a sudare a freddo e non riusciva a mettere in ordine i pensieri che frettolosamente si affollavano nella testa. Eppure si era sentita compresa, aveva percepito per tutto il tempo della lettura una tenera carezza sulla guancia . Allora forse, era vero, sua madre era lì con lei, ogni giorno. D'un tratto poteva sentirla, parlarle, abbracciarla. Era più vicina di quanto pensasse, viva dentro di lei.  Voleva tatuarsi quelle parole sulla pelle, voleva conservarle per sempre con sé, tenerle strette tra le dita per non dimenticarsi dell'affetto e del calore materno. Le davano sicurezza,le infondevano coraggio. Ora sarebbe riuscita a rialzarsi e camminare da sola con una veemenza e una fermezza inaudita. 

La ripiegò dolcemente e la ripose sul fondo di un cassetto a lei molto caro. Era il cassetto dove custodiva i suoi segreti, i suoi sogni, i suoi pensieri. Era un po' come un passaggio occulto della propria intimità, lì poteva rifugiarsi nei suoi angoli bui e remoti e rimanere da sola ad assaporare l'incessante scorrere del tempo.  C'erano disegni realizzati durante i primi anni di scuola, un'amorosa corrispondenza con un ragazzo agli albori della sua adolescenza, biglietti d'auguri, poesie scritte nei momenti di tristezza, brochure di luoghi visitati e attestati di lingua, pagine strappate dai libri più amati, bigliettini con le frasi più celebri dei suoi scrittori preferiti, un diario segreto degli anni passati, foto di sua madre, di lei e sua madre, di lei da piccola in ogni occasione, l'album di foto del suo settimo compleanno. L'ultimo album stampato, perché di lì a poco non avrebbe più avuto foto con la donna che l'aveva messa al mondo. E ora, come intenzionata nuovamente a srotolare quel lungo filo che le congiungeva, aveva inserito anche la lettera. Una lettera rimasta nascosta per ben undici anni. E in quegli anni, più volte aveva pensato che sua madre fosse una persona riservata e distaccata, probabilmente troppo malata per lasciarle un ricordo o un'immagine di sé. Spesso, in preda alla disperazione e all'angoscia, rimuginava anche sulla possibilità che l'avesse abbandonata egoisticamente in balìa della vita,da sola, privandola di un amore così grande e potente. Non aveva risposte. Suo padre era piuttosto taciturno e lasciava di tanto in tanto indizi sull'accaduto, ma non ne parlava mai apertamente. Era Clelia a dovergli fare domande, incessantemente e ripetutamente, per ottenere qualche informazione. Per il resto, era stata lasciata all'oscuro di tutto e aveva provato a ricostruire una storia che potesse coincidere pedissequamente con i frammenti ricordati. Ma era una storia prevalentemente di fantasia, si sentiva un po' come un burattinaio che dietro le quinte anima fantocci e crea un racconto dal nulla. E allora lei, ovunque andasse, si focalizzava su alcune immagini e le imprimeva in mente per poi continuare a tessere i fili della sua infanzia. Rimaneva soprattutto colpita dalle scene di semplice quotidianità: una mamma e una figlia  che passeggiano amorevolmente, una mamma che compra i vestiti per la sua piccola, una mamma che le ruba un bacio. Piccoli attimi, ma impregnati di una leggerezza e una forza senza eguali. Per gli altri erano gesti perfettamente normali, scontati, ma per lei era una realtà estranea che aveva sperimentato a stento. Desiderava disperatamente sua madre vicina, non riusciva mai a sentirla nè tantomeno credeva in una vita ultraterrena. Quando era piccola frequentava spessissimo la comunità cattolica vicino casa, si era integrata in un gruppo attivo per giovani: faceva pellegrinaggi, andava regolarmente in Chiesa, pregava tutte le notti ripetendo a memoria le preghiere che sua nonna le aveva insegnato. Era una seconda famiglia, un luogo dove sentirsi al sicuro, a casa. Aveva ricevuto da piccola il battesimo, e poi a dieci anni la comunione e infine si era convinta anche di ungersi della sacra cresima. Ma qualcosa era cambiato in lei dopo la morte di sua madre: tutta la fiducia che riponeva nelle Sacre Scritture, tutta quella malata ostinazione nel convincersi che qualcuno realmente la proteggesse stavano a poco a poco scemando. E più cresceva, più quell'irrefrenabile desiderio di sentirsi protetta aumentava senza trovare, però, una valvola di sfogo. Suo padre era quasi sempre assente, per lavoro o per rifarsi una vita e suo fratello era di gran lunga più grande e autonomo; era in un certo qual modo sola. Si sforzava di sentire qualcosa, un barlume di speranza, una forza misteriosa attorno a lei, ma niente. Solo un assordante silenzio. Sua madre non era un'angelo, nè uno spirito in cerca di pace, nè una calda carezza sulla guancia da accogliere prima di recarsi a dormire. Fumo, nebbia, oblio. 

***

  "Quel mazzolin di fiori che vien dalla montagna bada ben che non si bagna chè lo voglio regalar, bada ben che non si bagna chè lo voglio regalar. "


Queste parole mi risuonano ancora in testa. Me le cantava sempre prima che mi coricassi, era la mia ninna nanna. La nostra ninna nanna. Uno dei pochi ricordi ancora vivi in mezzo alla flebile oscurità. Mi ricordo che si sedeva al bordo del lettino e riuscivo a intravedere la sua chioma riccia che risplendeva alla luce della mia lampada d'infanzia, attaccata al muro,di un blu notte con tanti orsetti e stelline dipinte sopra. Blu, il mio colore preferito. Chissà se una di quelle stelle è proprio quella che mamma ha rubato e mi ha portato in sogno.  

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