Spesso, quando nulla è al suo posto, passeggiare può essere un ottimo rimedio. È il mio rimedio. Lo lessi in un libro l'estate scorsa e non potevo non convenire con l'autore che passeggiare fa bene al cuore, quello a punta. Quanti colori e quanti profumi. Passeggiare mi emoziona al punto che talvolta non riesco a trattenere le lacrime. La vita è uno spettacolo e l'errore è restare sempre dietro le quinte per risparmiare sul biglietto. Dietro le quinte fa caldo, c'è passione, c'è ansia, c'è attesa, c'è tensione, si sente quell'odore dolce di sudore che diventa soffocante quando qualcosa non va come previsto. Al contrario, lo spettatore non deve preoccuparsi di nulla, è libero di perdersi nel gioco delle maschere e concentrarsi sulla bellezza.
Proseguo per la mia strada. Inspiro. Chiudo gli occhi per un attimo. Senza fermarmi. Espiro. Sento che tutta la tensione accumulata in queste ore mi sta abbandonando. Percepisco un lieve solletico. Una soffice pressione granata e appuntita che dall'anca destra, seguendo il movimento dell'aria nei miei polmoni, risale fino al petto per poi scomparire dietro il collo. I piedi si alternano ancora per memoria. Mi sono perso. Mi fermo.
«Dove mi trovo?»
Interrogo il mio cellulare e attendo una risposta che tarda ad arrivare. Immagino che i palazzi che mi stringono nel vicoletto in cui sono capitato ostacolino la ricezione della mia posizione.
«Perso?»
«Come?» - mi giro d'impulso seguendo con gli occhi la traccia che quella voce ha lasciato nell'aria.
«Mi chiedevo se si fosse perso»
«È probabile, sa dove ci troviamo?»
«In verità no, mi sono persa anche io. Sono scesa a Toledo e ho chiesto indicazioni per mangiare una pizza...»
Consulto rapidamente il cellulare. Camminavo da più di un'ora. Strano che Marco non mi abbia ancora chiamato. Subito poso lo sguardo sul viso della ragazza, che intanto mi racconta la sua 'avventura'. Non voglio sembrare scortese. Occhi marroni, labbra rosse e gonfie, al naturale, viso pieno e morbido, scuro. Non è di qui, l'avevo già notato dall'accento, troppo incerto. Il viso è come incastonato in una cornice marrone, molto chiara, che si nasconde lussuosamente dietro le sue spalle. Il cellulare emette un suono. La interrompo.
«So dove siamo, seguimi!»
Senza chiedermi altro, direziona i suoi piedi verso di me e mi dà fiducia. Avrebbe potuto domandarmi chi fossi o dove la stessi portando, ma probabilmente è timida o semplicemente non le importa. Probabilmente anche lei – come me – non ha una destinazione precisa. È stanca di stare sempre dietro le quinte. È spettatrice della vita e preferisce perdersi in un labirinto di vicoli purché scegliere la strada più facile, quella che usano tutti, quella più comoda, quella meno impegnativa, ma anche quella più noiosa.
Camminiamo in silenzio. Sento i suoi passi dietro di me che, sordi, mi comunicano la sua vicinanza, la sua fiducia. Rispondo accelerando il passo. Sento le scarpe dietro di me schioccare a un ritmo più veloce. È come se qualcuno ci inseguisse e ogni parola sarebbe superflua, fuori luogo. Nessuno la obbliga a seguirmi, nessuno la obbliga a non dire una parola, eppure io sento la necessità di scappare dalla normalità e lei con me.
Spesso preferiamo la forma alla sostanza. Guardiamo i piedi, foderati di pregiatissima pelle conciata a mano, invece che perderci negli occhi di qualcuno. Eppure, anche se avvolto nella seta più pregiata, resto sempre di carne e sangue, come tutti, ma questa non è normalità, questa è natura, è biologia. La normalità non esiste, è un'invenzione, è una forma di controllo. È nella nostra testa, è un dogma, un'atea convinzione del giusto.
Non è normale che una sconosciuta mi stia seguendo senza conoscere neanche il mio nome o qualche indizio sulla nostra destinazione, ma il suo passo è tutt'altro che incerto. È normale? Forse non lo è, ma non è neanche anormale o strano, è soltanto diverso, come ogni cosa. Quello di normalità è un concetto statistico, perché solo Io sono uguale a me stesso. Qualcuno potrà assomigliarmi, ma mai essere me, perché sono Io e nessun altro. Se ciò è vero, è parimenti esatto che ciò che faccio è diverso da ciò che fa chiunque altro. Se mangio, mangio Io; se corro, corro Io. Non esiste un modo di mangiare o di correre. Perché se corro per non perdere l'autobus è normale, mentre se corro senza meta non è normale? E se stessi correndo per non perdere un autobus, ma con la consapevolezza di non voler raggiungere la destinazione cui è diretto? Sarebbe normale oppure no? E se stessi fuggendo? Sarebbe normale oppure no? E se stessi, sì fuggendo, ma dal nulla: sarebbe ancora normale? Ma poi, normale per chi?
Pensandoci, quello della normalità è un non-problema. Da un lato perché la normalità è soggettiva. Ciò che è normale per me può non esserlo per te, né esiste una Corte della normalità cui rivolgersi nei casi dubbi. Dall'altro lato, può essere normale anche ciò che normale non sembra. Se vedo un uomo solo correre come un matto tra la folla, credo che il suo comportamento non sia normale, ma se – dopo qualche istante – vedo uno spietato assassino che lo insegue, penso che – dopotutto – non era così insensata quella fuga. Ebbene, come posso giudicare normale o no qualcuno o un suo comportamento? Una persona, seduta vicino ad una fontanella, mi chiede da bere, perché sta 'morendo' di sete. Mi sembra un comportamento anomalo, anormale. Quell'uomo è pazzo! E se l'acqua della fontanella non fosse potabile? Ancora una volta, quel comportamento non sarebbe più tanto insensato, anzi, potrei giudicarlo normale.
Pensandoci, neanche questa corsa è – dopotutto – così strana, così anormale. Giudichiamo anormale ciò che crediamo non abbia senso (per noi). Ecco, questa corsa per me ha senso, più senso di quelle persone che si trascinano in chiesa ogni domenica per completarne l'arredo. Chi vede uno andare a messa di domenica pensa che sia quello un comportamento normale, sensato, ma non sa – ad esempio – che quell'uomo non crede, è fuori luogo in quel contesto. Tuttavia, chi sono io per dire che il comportamento di quell'uomo non ha senso? Forse lo ha, ma il mio livello di conoscenza non è sufficiente per comprenderlo. Forse quell'uomo vuole incontrare qualcuno. Forse quell'uomo ha bisogno di conforto. Una cosa è certa: quell'uomo è un uomo, dunque ciò che fa ha un senso in sé.
Rallento. Sento ancora la presenza della ragazza. Non mi sono voltato per tutto il tragitto. Mi fermo. Sorrido.
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Bleu
Short StoryNessuno di noi è nato con la cravatta. Un breve racconto. Un protagonista senza nome. A Napoli, alla ricerca del mare, alla ricerca della normalità. Il mare c'è, ma non è mai lo stesso. Della normalità, neanche il riflesso.