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<< One way or another, I'm gonna find you 

I'm gonna get you

And one way or another, I'm gonna win you 

I'm gonna get you, get you  >>


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<< Voglio uscire... >>

La mia tremula voce venne accolta da un silenzio assordante, e parve quasi echeggiare tra le fredde mura dell'abitazione che, un tempo, avevo considerato la mia casa. Per qualche istante, come accadeva ormai sempre più frequentemente, rimasi stupita da quanto debole risuonasse il mio richiamo nella vacanza di quello spazio tetro. Mi accorsi che per la prima volta, dopo tanto, troppo tempo, avevo riscoperto il suono della mia voce – ma subito cacciai via quel pensiero scomodo, capace di suscitare la mia coscienza assopita.

Decisi di smettere di pensare del tutto.

China sulla finestra, avevo iniziato ad osservare il mondo con sguardo attento, preciso, meticoloso, marcando ogni singolo dettaglio nella mia mente. Improvvisamente fui pervasa da quella curiosità quasi feroce che mio padre, oramai secoli fa, sosteneva mi contraddistinguesse dalle altre bimbette della mia età. Sospirai ripensando alle sue parole: << Un giorno quest'insaziabile curiosità sarà la tua rovina, bimba mia >>.

E anche se solo in parte, così era stato.

Bestemmiai il nome di mio padre e, irritata, iniziai a schiamazzare: << Sebastian! Sebastian!>>. Non avevo tempo per gli stupidi raggiri di quell'essere diabolico – finalmente sembrava che un miglioramento fosse possibile, finalmente avevo deciso di provare, provare ancora una volta l'ebbrezza di vivere una vita a cui per troppo tempo avevo sentito di non appartenere, di un'esistenza che per troppo tempo avevo semplicemente subìto, e provare a fingere che nulla fosse cambiato, che stessi bene.

In quel momento, inaspettatamente, fui colta da una sensazione che, tempo addietro, mi era stata familiare. Provai, come una volta, speranza - o comunque qualcosa che si avvicinasse molto al concetto ormai smisuratamente irreale di speranza. Proprio quando un minuscolo sorriso minacciò di dipingermi il volto, una disgustosa presenza si manifestò al mio fianco, mentre un rimorso lancinante iniziava ad attanagliarmi le viscere.

Irritata, chiusi gli occhi e sussurrai: << Hai forse dimenticato che il tuo compito è assolvere le mie richieste immediatamente, demone? Se chiamo il tuo nome, tu accorri prima che l'ultima sillaba abbia lasciato la mia bocca, anche se a separarci ci fosse l'oceano – lo attraverseresti vogata dopo vogata a nuoto, a costo di perdere un arto lungo il tragitto. >>

Solo allora lo degnai di uno sguardo, saettando la sua forma inginocchiata al mio cospetto.

<< Odio che mi si faccia attendere, lo sai bene. >>

Il demone non vacillò, né parve intimorito – ero indubbiamente una sciocca per credere ancora di poterlo ferire in alcun modo, ma il desiderio irrazionale di vederlo soffrire, spesso, sopraffaceva qualsiasi altro mio intento raziocinante. Uno dei suoi soliti sorrisetti sembrò incupire ancor più la sua espressione, già tracotante di compiacimento.

<< Chiedo perdono padroncina, la vostra flebile voce si sarà persa tra i corridoi della casa – deve essermi sfuggita la vostra richiesta. >>

𝒑𝒆𝒓𝒆𝒅𝒐 [ Sebastian Michaelis ] [DISCONTINUED]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora