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Incrocio le mani sul grembo quando la macchina si ferma dopo due ore abbondanti di viaggio. Mi stropiccio gli occhi, cercando di non addormentarmi. La mancanza di luce ieri sera non ha permesso di portare a termine il piano di Elrin: non so se esserne felice perché mi sono salvata, per il momento, dal dolore, o continuare a imprecare contro la ferita che pulsa e il proiettile che si è fermato, forse contro l'osso.

«Dove siamo?»

«Abbastanza lontani da dove siamo partiti» risponde aprendo la portiera. Rabbrividisco quando la ventata fredda mi colpisce in pieno. «Dovremmo essere al sicuro».

«Dici?»

«Se attireremo meno l'attenzione». Lancia un'occhiata all'orologio, poi arriccia le labbra. «È un altro punto destinato agli appuntamenti, vado a dare un'occhiata. Tu resta di guardia e... diciamo che se tra tre ore non sono ancora tornato, puoi venire a cercarmi. Nel cassetto ci sono il diario e una pistola carica, valuta pure come passare il tempo» aggiunge dopo qualche attimo di silenzio.

Lo guardo allontanarsi, poi sposto lo sguardo sull'orologio.

Segna le sedici e quarantasette.

I due punti che separano i numeri a due a due lampeggiano in modo ritmico; li fisso finché i numeri più a destra divennero un cinque e un uno. Le sedici e cinquantuno. Ho ancora abbastanza tempo prima che Elrin torni.

Sposto lo sguardo al volante: le chiavi sono ancora inserite. Allungo una mano mentre un sorriso mi distende le labbra e l'idea di fare un giro diventa sempre più forte, ma la fermo prima che possa arrivare a sfiorare il portachiavi di metallo.

No. Devo aspettare Elrin.

Sgancio la cintura, poi apro lo sportello che mi ha indicato; mi chino in avanti, afferrando sia il diario che la pistola. Li stringo entrambi al petto con il braccio sano, poi scendo di macchina. Ispiro a fondo: per quanto il puzzo di morte sia persistente profumava di libertà rispetto all'odore acuto del disinfettante.

Rabbrividisco, poi aggiro la macchina da davanti e mi infilo al posto di guida, lasciando cadere diario e pistola sul grembo. Faccio ruotare di mezzo giro le chiavi e accendo di nuovo il riscaldamento, poi avvicinò le mani a una bocchetta del riscaldamento, lasciando che il flusso d'aria calda accarezzi i polpastrelli.

Afferro il diario, lasciando scorrere le pagine sotto gli occhi finché una non cattura la mia attenzione.

Sono arrivati all'alba: i loro volti coperti lasciavano poco spazio al beneficio del dubbio su chi fossero. Immortali. Chiunque sa chi siano adesso, ma nel caso qualcuno trovasse questo diario in tempo di pace, voglio che la follia umana che ha portato alla creazione dei Superstiti e degli Immortali venga perpetrata alle generazioni future affinché non si ripeta un'altra volta. Ci spero poco tuttavia: ho già visto che i ricorsi della Storia sono capitati più volte, che l'impegno di una generazione è stato vanificato da una seguente.

Fa ridere la cosa: un tempo si pensava che un garbuglio di fili e tecnologia potesse superare gli umani e ora, invece, chi fu umano un tempo, potrebbe riuscire a vincere.

Sospiro, quando le lettere iniziarono ad accavallarsi, passando il dito sulla data: tre anni prima sono una briciola. Non sono niente. E le grandi battaglie sono solo un ricordo, la strada che si percorre ora è quella dei sotterfugi e sono sicura che Elrin sia nel mezzo di uno di quelli.

Scocco un'occhiata all'orologio. Ho altre due ore e mezzo prima di poter andare a cercare Elrin. Appoggio la testa al vetro, guardando fuori: il leggero ronzio del motore era l'unica cosa che le faceva compagnia. Socchiudo le palpebre, promettendomi di riposarmi solo un momento.

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