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Un nuovo caso per Martah Torres

Il sole filtrava appena dalle imposte in legno verde dell’appartamento di Martah.
Si trovava ancora in uno stato di dormiveglia e si sentiva ancora intorpidita dal sonno.
Era tornata quasi alle 3.00 del mattino dopo un’uscita tra donne, un piccolo gruppo di amiche che aveva conosciuto quando, dopo il suo arrivo a Bari, si era iscritta al corso di criminologia. Avvocatesse, psicologhe, dottorande, e giornaliste costituiva il gruppo di studio e con tutte era diventata subito molto amica. In particolare, una o due volte a settimana, si vedeva con Mariagrazia, che in pochissimo tempo era diventata la sua migliore amica. Le uscite erano comunque rare con il gruppo di studio, ma quando si riunivano facevano nottata. Quella sera non si era preoccupata dell’orario perché il giorno dopo sapeva che non avrebbe lavorato, quindi si era concessa un momento di relax, sapeva che poteva dormire un po’ di più rispetto al solito.
Sentì squillare il telefono e d’istinto portò la mano alla sveglia per spegnerla, ma il suono continuava imperterrito, guardò l’orario sul display dell’orologio, mancavano pochi minuti alle 9.00.
Allungò la mano e afferrò la cornetta del cordless.
- Pronto! – la voce all’altro capo del telefono la riconobbe immediatamente, era quella del commissario.
- Ciao Martah, sono Andrea, ti chiedo scusa, so che oggi è il tuo giorno di riposo ma ho bisogno che tu venga in ufficio oggi, vieni da me il prima possibile. –
- D’accordo capo, mi vesto e vengo, ma va tutto bene? Hai una voce strana! –
- Ti spiego tutto quando arrivi. –
Martah non ebbe nemmeno il tempo di salutarlo perché Andrea aveva chiuso la telefonata.
Andrea Masi, il commissario era sempre stato molto cordiale nei suoi riguardi e Martah nutriva un profondo rispetto per quell’uomo, quel giorno però, nella sua voce c’era qualcosa di strano, lo sentiva quasi afflitto.
Si mise a sedere sul bordo del letto, si stiracchiò e andò nel bagno a farsi una bella doccia fredda che l’avrebbe svegliata subito.
L’acqua gelata cancellò rapidamente dal suo viso le tracce della notte brava.
Asciugò i lunghi capelli castani e crespi in una coda di cavallo.
Infilò la divisa, anche se il suo grado le consentiva di vestire in borghese.
Ma lei amava quella divisa, le sembrava quasi cucita addosso, il suo sogno di bambina si era realizzato e ora a soli trentasei anni si trovava a ricoprire il ruolo di vicecommissario.
Entrò in cucina e fu subito accolta dalle fusa della sua dolce Salem, una gatta di razza simil certosino, che aveva raccolto per strada.
Salem reclamava la sua colazione e strusciò il suo morbido pelo sulle gambe di Martah.
Lei amava quella gatta, e quando poteva, la viziava.
Martah le accarezzò il morbido pelo grigio argentato, le grattò la testolina e aprendo il frigo le versò nella ciotola una generosa quantità di latte, di cui Salem andava ghiotta.
Per lei invece prese da un ripiano del frigorifero, una busta di carta con dentro un cornetto alla marmellata, souvenir della notte precedente e lo infilò nella borsa, riempì una tazza con il caffè della moka preparato il giorno prima, lo bevve al volo e uscì velocemente da casa.
Quando uscì dal portone, l’aria frizzante dei primi di novembre le riempì i polmoni, ricordandole il posto dov’era cresciuta. Ricordandole le vallate trentine.
Raggiunse la sua Smart cabriolet, parcheggiata proprio di fronte al portone.
Quella macchina era stata l’unico lusso che si era concessa al momento della promozione e andava fierissima di quella macchina.
Uscita dal parcheggio si diresse al commissariato e impiegò solo quindici minuti per arrivare perché la strada, nonostante l’orario, era quasi deserta.
Il cornetto lo mangiò tra un semaforo rosso e l’altro per evitare abbassamenti di pressione cui lei, purtroppo era soggetta.
Parcheggiò la Smart nel parcheggio riservato e si diresse verso l’ufficio del commissario.
Bussò e, dopo qualche attimo, la voce profonda di Andrea la invitava a entrare.
Il volto era molto teso ma, allo stesso tempo, quando vide Martah, sembrò quasi rilassarsi e la fece accomodare.
- Martah ho da affidarti un caso molto delicato, ho bisogno della tua collaborazione e delle tue abilità in campo criminologico. –
- Non ho ancora il master in criminologia, comunque se posso aiutarti, lo farò ben volentieri, dimmi tutto. –
- Vedi Martah questa mattina, a S. Spirito, alla periferia di Bari, in un appartamento è stato trovato il cadavere di una donna, nuda, privata del cuore, ricucita e ripulita. È proprio questo che mi ha spinto a richiedere il tuo intervento e le tue conoscenze criminologiche, sembra opera di un maledetto maniaco e spero si fermi a quest’unico delitto, se mi segui, ti accompagno sul posto, ho bisogno della tua opinione. –
Martah fece un cenno con la testa e si alzarono uscendo dall’ufficio.
Andrea salì su una vettura di servizio e a sirene spiegate percorsero tutto il lungo mare di Bari per evitare il traffico e raggiungere prima possibile il posto.
Quando arrivarono, videro un discreto numero di giornalisti che piantonavano il portone della palazzina, il furgone bianco del reparto di medicina legale era parcheggiato proprio lì davanti, quindi sapevano che avrebbero visto passare la bara metallica proprio davanti a loro, e loro erano pronti a fare domande, con i loro microfoni, puntati come armi contro le forze dell’ordine.
Appena videro scendere Andrea dalla macchina, quelle armi mediatiche furono puntate verso di loro.
Andrea si butto avanti come un ariete, facendosi largo tra i giornalisti, salirono le tre rampe di scale e lì altri giornalisti e fotografi con le armi puntate verso di loro. Martah, tra la folla di giornalisti vide la sua amica Maria Grazia reduce con lei della serata. La guardò e con tacito consenso le fece capire che non poteva parlare al momento.
L’intervento dei poliziotti di picchetto fece in modo che potessero passare più facilmente.
La porta si aprì e si richiuse rapidamente per farli entrare.
Il cadavere era al centro del corridoio celato da un lenzuolo bianco, lasciandone intravedere la sagoma.
Gabriele, il medico legale, vedendola la salutò con un largo sorriso e s’infilò un nuovo paio di guanti in lattice, e sollevò il lenzuolo fino al bacino mostrando il corpo a Martah.
Lei s’infilò un paio di guanti e si accovacciò al lato del corpo, tastando delicatamente la cicatrice fresca dell’asportazione del cuore.
Gabriele a un tratto ruppe il silenzio, sollevando le palpebre della vittima.
- Come puoi vedere, ci sono delle emorragie petecchiali negli occhi della ragazza, questo significa che la vittima non poteva più respirare, non ci sono segni di strangolamento quindi è stata soffocata, e questo è confermato dal fatto che sulle labbra ha una leggera abrasione da contatto. Probabilmente l’assassino ha usato un fazzoletto o un cuscino per soffocarla e le ha asportato il cuore, con precisione chirurgica. –
- Segni di ferite o escoriazioni da difesa ce ne sono? –
- Questa è l’altra cosa strana, non ce n’è nemmeno l’ombra, se vieni soffocato, un minimo di tracce da difesa dovrebbero esserci, invece in questo caso niente. Ma ovviamente potrò essere più preciso dopo l’autopsia. –
- Va bene! Chiamami appena hai esaminato il corpo e fammi sapere gli sviluppi. –
- Certamente! –
Il corpo venne chiuso nel sacco mortuario e chiuso in una bara metallica per essere trasportata all’obitorio.
Ora che il corpo era stato portato fuori, Martah poté concentrarsi sul resto, una visione globale per capire cosa fosse successo in quella casa.
Il ronzio dei flash era l’unico rumore presente, poliziotti della scientifica in tuta integrale bianca e armati di luminol e lampada UV, erano intenti a cercare tracce di qualsiasi genere.
In alcuni punti, sulla porta e su alcuni oggetti della casa si potevano vedere tracce della polvere per impronte, quelle poche che erano state ritrovate, e che molto probabilmente appartenevano solo alla vittima.
Una giovane poliziotta della scientifica si avvicinò con in mano una busta trasparente per le prove.
- Dottoressa, abbiamo trovato questa lettera sul tavolo della cucina, è sigillata ma non affrancata. –
- Bene, speriamo ci sia utile, continuate a imbustare qualsiasi cosa possa essere utile e portatela in laboratorio, analizzatele subito, in questi casi il tempo è veramente prezioso. –
- Si dottoressa, priorità assoluta. – la poliziotta salutò Martah col saluto militare e continuò le rilevazioni.
- Vieni Martah, ti mostro la stanza della donna. – disse Andrea e si mosse percorrendo il corridoio ed entrando nella stanza da letto seguito da Martah.
La stanza aveva il letto sfatto, e tre grosse valigie erano chiuse con il lucchetto e appoggiate alla parete.
- Era pronta per partire, sarebbe partita proprio oggi per un paesino dell’Africa centrale, biglietto solo andata, senza ritorno. – Martah si strofinò il mento e si mise a osservare una foto incorniciata sul comodino, ritraeva la vittima insieme con un ragazzo più o meno della sua età, felici, sullo sfondo un bel mare cristallino.
Posò la foto lì dove l’aveva presa, anche quella sarebbe finita tra le prove. Un poliziotto porse a Martah ed Andrea l’agenda che era stata trovata in cima alla pila di vestiti, intuendo che poteva essere utile. Martah la prese e con il consenso di Andrea la mise nella sua borsa. I due uscirono dalla stanza e dalla casa, ora lì non avevano più nulla da fare, quindi si diressero nuovamente in centrale.
La ressa di giornalisti e curiosi era andata via con il furgone dell’obitorio.
La strada era libera, il traffico scorrevole, il cielo plumbeo lasciava intravedere la luminescenza del sole.
Arrivati alla centrale Martah, fu indirizzata nella sala interrogatori, dove ad attenderla c’era Teresa Locatelli, l’amica di Paola che ne aveva trovato il cadavere.
La poveretta era ancora sotto choc, Martah si fermò a osservarla un attimo attraverso il vetro unidirezionale prima di entrare.
Teresa era seduta alla scrivania in compagnia di una poliziotta, in attesa dell’interrogatorio.
Bussò ed entrò congedando la poliziotta.
Teresa aveva su per giù la stessa età della vittima, un po’ grassottella ma graziosa, capelli a caschetto biondi e il corpo che sembrava la tavolozza di un pittore, per quanti tatuaggi si potevano intravedere dalle sue parti scoperte.
Martah sedette di fronte a lei tendendole la mano per presentarsi.
Teresa aveva gli occhi gonfi e rossi e tra le mani stringeva un fazzoletto di carta ormai ridotto a brandelli.
- Teresa, so che è un momento molto difficile per lei questo, ma dovrebbe cercare di rispondere ad alcune mie domande. Più tempo passa più è difficile ricordare dettagli che magari potrebbero essere molto utili. –
- Certo lo capisco, spero di esservi utile. –
- Dunque, partiamo dal principio, lei questa mattina ha trovato il cadavere della sua amica, come mai era andata a casa di Paola? –
- Paola doveva partire questa mattina e mi aveva chiesto di accompagnarla all’aeroporto. –
- Va bene! La porta era chiusa o aperta? –
- Era chiusa, quando sono arrivata non ha risposto al citofono. Ho aspettato qualche minuto poi sono salita, lei aveva il sonno pesante quando prendeva i tranquillanti per dormire, inoltre so che aveva l’abitudine di mettere i tappi alle orecchie, quindi ho pensato che stesse ancora dormendo. Ho suonato insistentemente al campanello e non avendo risposta ho aperto con le chiavi di casa che mi aveva lasciato, quando ho aperto la porta, però, l’ho trovata al centro del corridoio, stesa e nuda, lì per li ho pensato che avesse avuto un malore, poi quando mi sono avvicinata, ho visto la cicatrice, ho capito che era morta e vi ho chiamato. –
Martah le lasciò il tempo di riprendere fiato, aveva ricominciato a piangere, era comprensibile.
- Teresa, lei ha detto che la sua amica doveva partire ma abbiamo trovato solo il biglietto di andata, non di ritorno, come mai? –
- Perché non sapeva quando sarebbe tornata. –
- Dal biglietto risulta come destinazione finale un paesino dell’Africa centrale, destinazione lontana delle solite mete turistiche, come mai? –
- Non era un viaggio turistico, era stata selezionata per far parte di un’equipe di volontari con l’incarico di assistente sociale, in un ospedale da campo. –
- Aveva per caso un fidanzato geloso che non voleva farla partire? –
- No, per nulla, Paola qualche mese fa aveva subito un grave lutto, il suo ragazzo con cui avrebbe dovuto sposarsi è morto in un incidente stradale, questo viaggio sarebbe servito a distrarla dal suo immenso dolore. –
Teresa ricominciò a piangere e a Martah si formò un nodo alla gola.
- Teresa, in casa di Paola, abbiamo trovato questa, la riconosce? – Martah uscì dalla borsa la busta trasparente per le prove che conteneva l’agenda di pelle.
- Dove l’avete trovata? –
- Era sul divano. –
- Fino alle dieci di ieri sera era nella mia borsa. –
- E dopo che cosa è successo? –
- Ieri io e Paola ci siamo viste, abbiamo cenato insieme per brindare alla sua partenza, era molto nervosa e sono andata via da casa sua intorno alle dieci di sera appunto, stavo andando alla macchina per tornare a casa quando un uomo con un casco integrale mi ha scippato la borsa buttandomi a terra. In mano avevo le mie chiavi e in tasca quelle di Paola, ma quella persona era interessata solo alla borsa, dentro avevo il cellulare e pochi effetti personali, quando mi sono ripresa ho preso la macchina e ho presentato immediatamente denuncia ai carabinieri. –
- Di questo ha informato Paola? –
- No assolutamente! Non volevo metterle ulteriore tensione, d’altronde nella borsa non c’era molto, come le ho detto avevo il cellulare e poco altro. Poi come ho già detto le chiavi di Paola, le avevo io in tasca, non volevo preoccuparla inutilmente. Oh Dio, forse se l’avessi chiamata, Paola sarebbe ancora viva. –
- Ne dubito, sulla porta non abbiamo trovato segni di scasso, forse Paola conosceva il suo assassino, forse si fidava di lui, in qualche modo ha convinto Paola a farlo entrare e poi l’ha uccisa. –
- Paola non si fidava di nessuno, è strano che abbia aperto la porta. –
- Teresa ho bisogno di chiederti un favore! –
- Ma certo mi dica pure. –
- Hai con te il verbale di denuncia dello scippo? O puoi procurartelo? –
- L’ho qui con me, avevo intenzione di andare al comune per rifare la carta d’identità una volta accompagnata Paola. – Teresa infilò la mano nella borsa e passò il verbale a Martah che lo lesse attentamente.
- Teresa abbiamo praticamente finito, ora faccio una fotocopia del verbale che sarà messo agli atti e poi dovremo prendere le tue impronte digitali per escluderle da quelle trovate da Paola, nella speranza che ci siano impronte estranee ai frequentatori della casa. –
- Certo nessun problema. –
Martah si alzò seguita da Teresa e insieme uscirono dalla sala interrogatori.
Teresa era venuta in macchina, scortata da una volante, quindi appena finirono di prenderle le impronte e restituito il verbale di denuncia poté tornarsene a casa, sola col suo dolore, con la raccomandazione però di non informare la madre di Teresa, quello era compito loro.
Martah attraversò i vari corridoi del commissariato per arrivare davanti alla porta dell’ufficio di Andrea.
Bussò ed entrò subito, senza attendere la risposta di Andrea.
- Andrea forse ho capito come l’assassino ha convinto Paola a farlo entrare in casa. –
Andrea che era concentrato davanti al computer sollevò la testa di scatto, quasi spaventato.
- Hai la mia massima attenzione! –
- Ieri Teresa e Paola si sono incontrate per brindare alla sua partenza. Teresa è andata via verso le dieci di sera e poco dopo essere uscita, un uomo con il casco integrale l’ha scippata, non ha preso niente se non la borsa di Teresa, ignorando le chiavi della macchina che aveva in mano. –
- Inconsueto come furto. –
- Esatto! Secondo me, scippatore e assassino sono la sessa persona, probabilmente cercava nella borsa di Teresa un effetto personale che Paola avrebbe potuto riconoscere facilmente. L’agenda di pelle che abbiamo trovato a casa di Paola, era, infatti, nella borsa di Teresa prima che fosse scippata. Dato che Paola era molto diffidente e non apriva agli estranei, è presumibile che il nostro assassino abbia escogitato un metodo per farsi aprire la porta, per ipotesi magari ha detto a Paola che Teresa era in pericolo o chissà cos’altro, lei gli ha aperto la porta ed è stata assassinata. –
- Più che plausibile, ma come mai non ha reagito quando è stata soffocata? –
- Ancora non lo so, ma forse il tossicologico potrebbe darci una mano in tal senso. –
Martah mostrò ad Andrea la copia della denuncia di Teresa e mentre stava per riprendersi il foglio, squillò il telefono e Andrea fece cenno a Martah di aspettare. Un cenno con la testa e riagganciò.
- “Lupus in fabula”, era la scientifica. Mi stanno mandando tramite fax i primi risultati del tossicologico. - Infatti, dopo pochi secondi il fax emise il fischio di ricezione e la stampante sputò un foglio. Andrea lo osservò silenziosamente e poi lo passò a Martah. I primi risultati del tossicologico riferivano che nel sangue di Paola, erano presenti ben 22 milligrammi di benzodiazepine e abbondante alcool. Le stesse tracce della sostanza erano state rinvenute nella tazza contenente camomilla.
- Teresa prima, durante il colloquio mi ha riferito che Paola faceva uso di tranquillanti per dormire, infatti, quando non le ha risposto, ha pensato che stesse ancora dormendo. La benzodiazepina è, infatti, un principio attivo presente negli ansiolitici e nei tranquillanti usati per la cura di cefalea, insonnia, stress da trauma. Un flacone contiene 20 milligrammi di principio attivo, questo vuol dire che il nostro assassino le ha versato un intero flacone. Hanno trovato farmaci a casa di Paola? –
- Effettivamente sì, nella tasca della vestaglia piegata insieme agli altri indumenti, c’era un flacone di EN praticamente pieno. –
- Quindi il nostro assassino si è procurato un flacone di tranquillanti e l’ha svuotato completamente nella camomilla, ignaro del fatto che in parte lo aveva messo lei. –
- Devo aggiungere una laurea in farmacia al tuo curriculum? Non sapevo fossi un’esperta anche in questo campo. –
- Non lo sono, ma in passato sono stata costretta ad assumere proprio il farmaco trovato da Paola per curare la mia insonnia. Il bugiardino del farmaco lo conosco a memoria ormai. In piccole dosi ha un effetto miorilassante, ma in dosi massicce il corpo va in overdose, con collasso cardiorespiratorio, paralisi, coma e morte. Ricordo che avevo sempre paura di eccedere nelle dosi. –
- Accidenti, forse è per questo che Paola non ha opposto resistenza, forse è andata in overdose e ha avuto un collasso. –
- Esatto, soffocarla non sarebbe stato un problema. –
- Martah ora però va a casa, oggi è il tuo primo giorno di riposo da molto tempo. –
- Ma siamo nel bel mezzo di un’indagine. –
- Non ti preoccupare, appena Gabriele avrà finto l’autopsia ti chiamo e t’informo. Riposati, si vede che sei molto stanca. –
- Ok, mi arrendo. –
Martah uscì dall’ufficio di Andrea e tornò a casa.
Non se ne era quasi resa conto ma era ormai l’ora di pranzo quando rientrò a casa.
Salem, come suo solito, la accolse a coda alzata e vibrante, strusciandosi sulle sue gambe.
Martah ricambiò il saluto grattandole la testolina.
Si tolse la giacca e la appese all’appendi abiti blu accanto alla porta, sganciò il cinturone con la fondina e anche quello lo appese accanto alla giacca.
Andò in camera a cambiarsi, aveva uno strano senso di oppressione al petto, dovuto probabilmente all’ansia, tirò un profondo sospiro e si cambiò infilandosi una comoda tuta.
Si sciacquò le mani e il viso e diede un rapido sguardo all’orologio da parete della cucina.
Le 13.00, il suo stomaco cominciava a farsi sentire.
Mise una pentola sul fuoco e pesò 100 grammi di spaghetti, una scatoletta grande di tonno come condimento.
In frigo c’era ancora un barattolo con poca salsa e dal freezer prese l’aglio tritato che aveva preparato.
Fece rosolare l’aglio con un filo d’olio in un pentolino, e quando questo fu bello dorato ci versò il sugo e la scatoletta di tonno.
Intanto l’acqua aveva cominciato a bollire e calò gli spaghetti.
Dal frigo prese una bottiglia di chardonnay aperto il giorno prima e lo versò in un calice da vino bianco, che ne esaltava il gusto morbido.
Gli spaghetti erano pronti, scolò il tutto e mischiò il condimento, anche Salem reclamò il suo pasto e Martah, le offrì una scatoletta di tonno che spazzolò in pochissimi bocconi.
Salem era una buongustaia, proprio come la sua padrona.
Martah mangiò con appetito, e il bicchiere brinato, era ormai vuoto.
Finito il suo frugale pasto, si alzò e si preparò un buon caffè espresso.
Andò nel suo studio, spalancò le imposte di legno e aprì la finestra, si sedette sul davanzale e si concessa una lunga boccata di fumo.
Quando aveva preso possesso della casa, qualche anno prima, si era imposta delle regole.
Avrebbe fumato solo in una stanza, il suo studio appunto; fumava si, ma non voleva appestare tutta la casa.
Pamela, la proprietaria della casa, fumava anche lei, e le aveva detto che avrebbe potuto fumare tranquillamente dove voleva, ma Martah aveva visto gli effetti della nicotina su tutte le parati, ingiallite dal fumo, e non le piaceva.
Guardò fuori dalla finestra, il cielo era ancora plumbeo e la temperatura era calata ulteriormente però non minacciava pioggia.
Cominciava a sentire un po’ di sonnolenza, spense la sigaretta nel posacenere, scese dal davanzale e si coricò sul letto.
Dormì un sonno profondo, sonno che però alle cinque del pomeriggio venne interrotto dallo squillo del telefono.
- Pronto. –
- Ciao Martah come stai? – Andrea era come un padre per lei, e lei come una figlia per lui.
- Molto meglio grazie! Ci sono novità? –
- Gabriele ha terminato l’autopsia, ha detto che ci sono novità e che dovresti andare da lui, ti consegnerà il rapporto e tu lo porterai a me. –
- Nessun problema! Vado subito. –
Martah riagganciò, si strofinò il viso intorpidito e si alzò dal letto.
Infilò un comodo paio di jeans, una camicia bianca, stivali neri e giubbotto di pelle.
Per lei non faceva molto freddo, era abituata a temperature ben più rigide.
Fuori il sole aveva ceduto il passo alla sera, l’aria era comunque piacevole e decise di andare al policlinico a piedi invece di prendere la macchina.
Infilò la mano nella borsa e cercò il pacco delle sigarette, ne accese una e il fumo azzurrognolo si condensò rapidamente.
Camminare le piaceva, le era sempre piaciuto, solo che ora invece di alberi maestosi vedeva solo pali della luce.
Venticinque minuti di strada l’avevano rigenerata, si sentiva completamente sveglia e non aveva più quel senso di oppressione al petto.
Entrò nel reparto di medicina legale del policlinico e percorse i lunghi corridoi che la portarono alla sala autopsie.
Le porte automatiche si spalancarono al suo passaggio.
Gabriele appena la vide le regalò un largo sorriso e le fece cenno di aspettare un momento.
Stava terminando l’autopsia sul corpo di un ragazzo, morto per overdose da cocaina tagliata con veleno per topi.
Si tolse i guanti e li gettò in un cassone per rifiuti speciali e ne infilò un nuovo paio.
Gabriele indicò con un gesto un tavolo per autopsie, il lenzuolo bianco evidenziava la sagoma di un corpo.
Martah si avvicinò al tavolo autoptico e Gabriele sollevò il lenzuolo.
- Che novità ci sono? –
- Il nostro assassino ha usato strumenti chirurgici di precisione, ha usato un divaricatore per tendere i muscoli, ha reciso le arterie del cuore senza sfiorare altri organi interni, ha ricucito la donna con ago e filo chirurgico con precisione assoluta. Quando ha finito, ha anche ripulito il cadavere con qualcosa di molto morbido e delicato che non  ha lasciato tracce sul corpo. La donna è deceduta tra le 23:00 e l’1:00, posso affermarlo perché nello stomaco c’era ancora cibo parzialmente digerito. Gli esami istologici sul fegato confermano l’assunzione massiccia di benzodiazepina, e confermo anche il soffocamento. Ma non è tutto purtroppo. –
Gabriele scoprì ulteriormente il corpo fino alle ginocchia e riprese mestamente a parlare.
- Ho trovato evidenti tracce di attività sessuale, ma non di violenza carnale, il nostro assassino ha fatto sesso col cadavere della donna. Paola era già morta quando lui l’ha penetrata. – Martah era disgustata, e quasi non voleva pronunciare quelle parola.
- Stai parlando di necrofilia? –
- Temo proprio di si purtroppo, è stato molto prudente, non ha lasciato tracce di DNA sul corpo, ha usato un preservativo, ci sono infatti solo leggere tracce di lubrificante tra le pareti vaginali di Paola. –
- E’ disgustoso. –
- Confermo, ad ogni modo io ho finito, ti firmo il rapporto così puoi andare. –
Martah era disgustata e molto triste per la vittima.
Gabriele firmò il rapporto autoptico e glielo consegnò chiudendolo in una cartellina.
Martah lo infilò nella borsa e uscì dalla stanza salutando Gabriele, ma senza sorridere, a testa bassa.
Lo stato di benessere che l’aveva accompagnata prima di entrare era svanita, ora sentiva nuovamente quel senso di oppressione.
Mentre percorreva il corridoio per tornare alla luce, alle sue spalle sentì un sinistro rumore, simile allo squittio dei topi, non frutto della sua immaginazione, ma delle suole dei suoi stivali che si attaccavano e staccavano dal pavimento in linoleum.
Appena uscita all’aria aperta accese una sigaretta, non tanto per la voglia in se di fumare, ma per cercare di eliminare dalle narici l’odore pungente della formaldeide.
Il buio era sceso e intorno ai lampioni si vedeva una nuvoletta di condensa che donava a quei lampioni un aspetto spettrale.
Costeggiò il muro di cinta dell’ospedale fino ad arrivare all’entrata monumentale dell’ospedale.
Attraversò la piazza e aspettò un autobus che l’avrebbe portata vicina al commissariato.
Dopo parecchi minuti di attesa finalmente l’autobus arrivò.
L’odore di molti corpi sudati, ammassati in un luogo ristretto, la nauseava, ma non poteva farci nulla.
Alle 19:30 Martah varcò i cancelli del commissariato.
Entrando diede un rapido sguardo al suo ufficio e poi bussò a quello di Andrea proprio di fronte al suo.
- Ciao Martah, eccoti qui. –
- Ciao Andrea, questo è il referto del medico legale. – Tese dunque la cartellina ad Andrea e si sedette di fronte a lui.
- Cosa dice? –
- In pratica conferma che il decesso è sopraggiunto tra le 23:00 e l’1:00, è stata stordita con una massiccia dose di benzodiazepina, come già sapevamo, l’assassino l’ha soffocata con un fazzoletto. Dato che, sui vestiti non c’era traccia di sangue, è presumibile che il nostro assassino abbia spogliato la vittima prima di ucciderla. Ha praticato un’incisione all’altezza dello sterno asportando il cuore con precisione chirurgica. Ma la cosa più terribile emersa dall’autopsia è che il nostro assassino ha profanato il corpo della vittima. –
- Profanato in che senso scusa? –
- Nel senso che ha fatto sesso con il cadavere di Paola. Ovviamente senza lasciare la minima traccia. – Martah era disgustata mentre diceva quelle cose e lo era anche Andrea che non riuscì ad aggiungere altro se non una smorfia.
Dopo quel silenzio gelido calato nella stanza Andrea congedò Martah.
- Va pure a casa Martah e riposati, si vede lontano un chilometro che sei stanca, sei sicura vada tutto bene? –
- Si Andrea non ti preoccupare solo un po’ di mal di testa che non mi fa dormire bene la notte, tutto qui. E poi ieri, sapendo che non avrei lavorato oggi, ho fatto bagordi. –
- Sarà, ma se c’è altro sai che con me puoi parlare di qualsiasi cosa. Il nostro è un lavoro molto stressante lo so, per qualsiasi cosa io ci sono, sei la migliore nel tuo lavoro, sei il mio braccio destro, e mi fido di te, fa anche tu lo stesso, fidati di me. –
Nell’ufficio calò nuovamente il silenzio, Martah abbassò lo sguardo sapeva che Andrea aveva ragione.
-Va tutto bene, comunque ti ringrazio per la fiducia, mi fa piacere. Allora io vado. –
- Domani vieni per le 10:00 in ufficio, alle 11:00 abbiamo appuntamento con la mamma di Paola, la poveretta non ha retto alla notizia ed ha avuto un principio di infarto, parleremo con lei domani, magari potrebbe fornirci indizi utili. –
- Alle 10:00 allora, ci vediamo domani. E grazie ancora di tutto. –
Martah uscì dall’ufficio con un sorriso stampato sul viso, ma che in realtà soffocava mille lacrime.
Uscì dal commissariato e attraversò tutta Bari vecchia, ogni volta le piaceva percorrere strade sempre diverse.
La luce dei lampioni ormai accesi, si riflettevano giallognole, sul pavimento di chianche, rese lisce dall’usura del tempo e lucide per la poca pioggia scesa poco prima.
Era l’11 Novembre, faceva freddo, ma a lei piaceva, camminò lentamente, godendosi gli odori e i suoni circostanti prendendo vari vicoli, sbucò in fine su piazza del Ferrarese e osservò il Margherita, teatro trasformato in museo di arte moderna, ogni tanto ci entrava ma non le interessava molto.
Attraversò piazza caduti eroi del mare e lesse gli orari, molto indicativi, della linea 4 che l’avrebbe portata  dritta a casa.
Ci voleva ancora un bel po’, il pullman era partito da pochi minuti, lo aveva perso per poco.
Decise quindi di fare una breve passeggiata sul lungomare, e ad un tratto, prepotentemente, di nuovo quella sensazione alla bocca dello stomaco che l’attanagliava.
Sapeva cos’era, conosceva la fase e sapeva che non avrebbe potuto ricacciarla questa volta.
Attacco di panico.
Sapeva cosa fare però, si sedette alla prima panchina libera e gettò indietro la testa.
Odiava quella sensazione, ma aveva imparato a conviverci, e a gestirla, ma odiava sentirsi sopraffatta, si sentiva impotente.
Fortunatamente però l’attacco di panico passò velocemente, il ritmo cardiaco si ristabilì, il respiro si calmò e spalle e braccia si rilassarono come e avesse appena lasciato cadere un peso di 100 chili.
Era esausta e aveva fame.
Sentì un profumo di pane caldo, patatine fritte e salsicce.
Il chiosco dei panini era aperto e Martah si concesse uno strappo alla regola.
Un panino poco tostato con porchetta molto cotta, senza salse e una birra gelata fu quello che chiese.
Dopo che si fu rifocillata si sentì veramente meglio, il tempo di una sigaretta e il pullman arrivò alla fermata.
Appena aprì la porta di casa, Salem le si parò davanti come sempre per la sua dose  di coccole, ma Martah era esausta e depressa, le riservò quindi solo una grattatina sulla testa.
- Scusami tesoro, oggi non sono proprio in vena di coccole. – Un dolcissimo “miao” fu la risposta che ricevette in cambio.
Martah si mise il pigiama riempì un bicchiere d’acqua e se lo portò in camera posandolo sul comodino.
Quella mattina aveva spudoratamente mentito ad Andrea, i tranquillanti li usava ancora, anzi da qualche settimana aveva aumentato la dose, proprio non riusciva a dormire senza e inoltre gli attacchi di panico erano riapparsi nuovamente.
Seduta sul bordo del letto, contò le gocce di EN che cadevano nel bicchiere.
Si sdraiò, spense la luce e dopo alcuni minuti cominciò ad avvertire il torpore chimico, tipico di quel tranquillante, che presto l’avrebbe fatta precipitare in un finto sonno ristoratore.











Nephila la tela assassina Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora