-4-

38 5 2
                                    

Salem dà una zampa al caso

Dopo la cena Martah dormì serenamente e con un pensiero fisso nella testa. Quella frase, “mi serve il tuo cuore” le ricordava qualcosa.
Il mattino seguente, dopo essersi fatta la doccia e aver coccolato un po’ Salem, uscì per dirigersi in ufficio.
Andrea era come al solito alla scrivania, intento nel suo lavoro. Entrambi apparivano molto rilassati.
- Andrea, sono sicura di aver già sentito quella frase scritta nel messaggio, ma non ricordo dove. –
- Come vorresti agire? –
- Vorrei spulciare vecchi casi, ma vorrei anche battere un paio di piste, però ho bisogno di internet, potrei non ricavarne niente, come invece trovare qualcosa di interessante. –
- Martah tu hai totale carta bianca in questo caso. Fa quello che ritieni necessario. Risolvi questo caso prima che ci siano altre vittime per favore. Se continui così presto potresti anche prendere il mio posto. –
Martah si imbarazzò e fece l’evasiva, al momento non voleva toccare l’argomento, non si sentiva pronta ad affrontare un’eventualità del genere.
- Vorrei fare una ricerca telematica dell’archivio per cercare casi simili al nostro e prendere le copie dal nostro archivio. A Bari non ci saranno casi simili al nostro, ma di certo estendendo la ricerca a tutt’Italia qualcosa sono certa che la troverò. –
- Perfetto, appena hai trovato tutto va’ a lavorare a casa con tranquillità. –
- Era quello che volevo chiederti. –
Martah uscì dall’ufficio di Andrea ed entrò nel suo e, dopo circa una trentina di minuti su un foglio di carta aveva abbozzato una serie di numeri di protocollo che corrispondevano ad altrettanti casi. Scese nel polveroso archivio e mostrò il foglio alla guardia di turno. Dopo poco tempo la guardia trasportava su un carrello tutti i faldoni ricercati. Erano tutti pieni di polvere. Se li caricò sul braccio e risalì, con la speranza che sarebbero serviti. Tornò a casa che erano circa le undici, e portò tutto subito nel suo studio. Si cambiò, mettendosi una comoda tuta e cominciò a lavorare. Accese il computer e contemporaneamente lo stereo, mettendo un cd di Miles Davis, amava il jazz e le sue note soffuse. Cominciò con una ricerca che riguardava il traffico illegale di organi, proseguendo poi con la pista delle sette sataniche, ma nulla rispondeva al profilo che Martah si era fatta dell’assassino. Ma soprattutto, con quelle due piste, non c’entrava nulla il messaggio lasciato a casa della vittima. Il tempo era volato e il suo stomaco le ricordò che ormai erano le due passate. Decise di preparare dei semplici spaghetti col pangrattato, non sapeva se avessero un nome preciso, lei li chiamava “spaghetti dei poveretti”, li preparava sempre sua mamma quando non aveva molto in dispensa. Mise la pentola sul fuoco e quando l’acqua prese a bollire ci versò dentro una manciata di spaghetti e in un padellino mise un filo d’olio e uno spicchio di aglio. Una volta soffritto mise a tostare due cucchiai abbondanti di pangrattato e il gioco era fatto. Quando il pangrattato era ben tostato e dorato lo tolse, versandolo a pioggia sugli spaghetti appena scolati e leggermente al dente. Delizia per il suo palato. In un bicchiere da vino bianco versò una generosa quantità di falanghina, fredda al punto giusto. Quando finì di mangiare si sentiva piena, piacevolmente sazia.
La bottiglia di vino, ormai quasi a metà, la rimise nel frigo, sarebbe terminata quella sera stessa. Si preparò un cremoso caffè espresso e tornò nello studio accendendosi una sigaretta. Il cd di Miles Davis aveva smesso di suonare e lo rimise. Sulla scrivania c’era il blocco per appunti, che aveva usato per la ricerca su internet e su cui era stato scritto ben poco. Girò la pagina e si preparò a scrivere nuovamente prendendo in mano il primo fascicolo. Poche righe e passò ad un altro fascicolo. Salem si accovacciò placida sulle sue gambe. Dopo un paio d’ore di ricerche a vuoto, forse complice il vino, senza rendersene conto si addormentò. Un sonno profondo, pesante, ristoratore.
Ad un tratto, Salem, stufa di stare in quella posizione, si alzò, facendo cadere sul pavimento diversi plichi. Il trambusto fece sobbalzare Martah, che istintivamente portò la mano alla fondina per prendere la pistola, ma ovviamente non c’era. Salem guardò la sua padroncina e chiese scusa miagolando e scodinzolando. Passato lo spavento iniziale, Martah si alzò e cominciò a raccogliere tutti i fascicoli caduti. Salem aveva combinato un disastro, però mentre raccoglieva l’ultimo fascicolo, si soffermò su una frase scritta nel rapporto. “Mi serve il tuo cuore.” La stessa frase lasciata a casa della vittima, non poteva essere una coincidenza. Raccolse tutto il materiale e lo lesse attentamente. Il caso risaliva a qualche anno prima, Ruggiero Spinelli, di giorno macellaio, di sera assassino. Uccideva le sue vittime tagliandole la gola e prelevava dai loro corpi un organo diverso per ogni vittima. In casa delle vittime lasciava un messaggio, “mi serve il tuo cuore” o “mi serve il tuo fegato” e via discorrendo. Si ricordava molto bene del caso, lo aveva seguito quando frequentava la scuola di polizia. Il caso era diventato oggetto di studio. Ruggiero Spinelli era un uomo molto cauto, non lasciava tacce e colpiva con irregolarità e in zone sempre diverse. Una volta prelevati gli organi delle sue vittime, lui li rivendeva ad alcuni suoi clienti, ovviamente ignari, fino a quando un suo cliente, dopo aver mangiato un piatto a base di interiora si sentì male, aveva contratto una forma virale intestinale causata dal Clostridium difficile. Dopo i dovuti accertamenti si scoprì che a fare male all’uomo era stato il suo pasto, l’ultima vittima del macellaio era infatti portatrice sana di quel virus.
A seguito di questo, e del fatto che nella gola di una delle vittime erano state trovate tracce di sangue bovino, le indagini si orientarono verso i macellai. Non fu facile stanare Ruggiero, ma alla fine la polizia, indagando a fondo nella vita privata delle vittime, giunse alla conclusione che tutte frequentavano la stessa macelleria. La mano di Ruggiero venne quindi fermata solo per puro caso. Dopo due anni nel carcere psichiatrico, ora Ruggiero trascorreva i resto della sua pena, in cella di isolamento nel carcere di Opera, a Milano.
A Martah venne un sospetto, un atroce sospetto. Poteva essere un emulatore, e questo la rabbrividiva, però allo stesso tempo vedeva che c’erano troppe discordanze, ma in questo caso non poteva permettersi il lusso di trascurare nemmeno un piccolo dettaglio. Dovevano agire, e in fretta.
La soluzione migliore era quella di interrogare direttamente Ruggiero. Prese il telefono e iniziò a comporre il numero del commissariato, poi si rese conto che erano le undici e mezza di sera. Il giorno dopo sarebbe andata da Andrea per chiedere l’autorizzazione alla trasferta. Martah doveva ringraziare Salem per quella svolta, in un certo senso aveva dato una mano, anzi una zampa, per la risoluzione del caso. Si alzò e si accese una sigaretta, in quel momento le serviva. Aprì la finestra e si appoggiò al davanzale. Fissava nel vuoto la ringhiera che delineava il condominio, e fu in quel momento che, attraverso le foglie della bouganville, le sembrò di vedere nuovamente una figura, si sentì osservata. Era certa che, al di là del muro c’era qualcuno, ma poteva essere tranquillamente qualche ragazzo o ragazza in attesa di amici, non se ne curò più di tanto, spense la sigaretta e si infilò nel letto. Forse perché aveva dormito, o forse per la sensazione che qualcuno la stava osservando, non riusciva a prendere sonno, era di nuovo agitata e inquieta, ma stavolta era diverso dal solito. Decise di alzarsi e di andare al faro, quel posto le dava tranquillità, le permetteva di riflettere, osservare le cose sotto una luce diversa. Fuori l’aria era gelida, la brina sulla macchina le diede la sensazione della pioggia, ma non aveva piovuto quella notte. Si mise in macchina e attraversò le strade deserte. Non ci mise molto ad arrivare al faro. Parcheggiò e scese dalla macchina, accese una sigaretta e cominciò a farsi cullare dal ritmico ondeggiare del mare alle sue spalle e dalla luce del faro, che si stagliava nel cielo terso. Dopo una buona mezzora cominciò a sentirsi più rilassata, e cominciò a sentire un leggero stato di sonnolenza, si accese un’altra sigaretta e si mise nuovamente in macchina per tornare a casa.
Una volta nel letto, finalmente il suo corpo calò in un sonno profondo e ristoratore, e al mattino si svegliò rigenerata.
Dopo un’abbondante colazione e un buon caffè riaccese il computer e guardò gli orari dei primi voli disponibili per Milano e i prezzi di vari hotel nella zona, doveva giocare d’anticipo. Il primo volo disponibile era verso le sette di sera. Segnò su un foglio ora, numero del volo e costo per verificare successivamente se ci fossero variazioni. Si vestì e uscì. Al momento di prendere la macchina vide, dal lato opposto della strada, una donna che la guardava e al suo fianco c’era un lupo cecoslovacco, non era al guinzaglio, anche il lupo la guardava. Curiosamente aveva la sensazione di conoscere quella donna. Non era spaventata da quella donna, anzi al contrario, le sorrise senza una ragione, e la donna ricambiò il sorriso accennando a un timido saluto con la mano. Martah salì in macchina e con la coda dell’occhio, intravede la donna svoltare a sinistra e Martha, come se fosse ipnotizzata, la seguì, andando nella direzione opposta a quella che avere dovuto prendere. Il semaforo divenne rosso e quando svoltò anche lei, la donna era scomparsa. Proseguì ancora per due isolati, ed ecco che all’improvviso la rivide. A distanza la seguiva e ad un tratto la vide entrare in una grande villa ottocentesca delimitata da un alto muro in tufo e da un pesante cancello in ferro battuto arrugginito e dipinto con della vernice verde a tratti scrostata nei punti in cui c’era più ruggine. Era del tutto irrazionale quello che stava facendo. Perché stava seguendo quella donna? Non lo sapeva. Quando la donna sparì tra la vegetazione, ripartì per andare al commissariato, ma si rese conto di non sapere affatto dove si trovava. Fece alcuni giri con la macchina, fino a ritrovare la strada che doveva prendere per andare in ufficio. Guardò l’ora, curiosamente sembrava come se il tempo si fosse fermato. La cosa strana era che in quel momento, mentre percorreva la strada per andare a lavoro, aveva la netta sensazione, oltre ad essere sicura che conosceva quella donna, che presto si sarebbero parlate. Quando parcheggiò davanti al commissariato, si sentiva stordita, come dopo una sbornia. Scosse la testa, come se quella sensazione potesse svanire così come era comparsa. Decise di prendersi un caffè al bar prima di entrare. In ufficio Andrea era alle prese con il computer, che aveva deciso di dare di matto.
-Ciao Martah, ti stavo per chiamare, novità sui vecchi casi?-
-Ho scoperto perché avevo la sensazione di conoscere quella frase. Si tratta del caso di Ruggero Spinelli.-
-Oh no! Il macellaio, non sarà un dannato emulatore spero!-
-Credimi, mi auguro anche io che non si tratti di un emulatore.-
-Come hai fatto a scovarlo?-
-Diciamo che Salem ha dato una bella zampata al caso.-
-Come intendi agire ora?-
-Credo sia il caso di andare ad interrogarlo, direttamente in carcere. Attualmente si trova in isolamento nel carcere di Opera.-
-Bene, quando vuoi partire?-
-Oggi stesso se possibile, ho visto che c’è un volo in serata, e domani andrei ad interrogarlo.-
-È perfetto, ti firmo un permesso di sette giorni. Interroga Ruggero e tienimi aggiornato.-
-Grazie mille Andrea.-
-In questo caso ti lascio carta bianca, agisci come ritieni opportuno. Per curiosità, Salem dove la lasci?-
Martah si diede un colpo alla fronte con la mano, si era completamente dimenticata della sua piccola ospite.
-Se ti fa piacere, potrei occuparmene io. Non ho mai avuto animali in casa, ma credo che con lei andrei d’accordo.-
-Veramente faresti questo per me?- -Certamente, e così potrai essere rilassata, non preoccuparti di nulla, ci penso io alla gatta. Ora va a casa, prepara la valigia, prepara Salem e chiamami appena hai prenotato il volo. Ti accompagno io all’aeroporto.-
-Non so come ringraziarti, sei una persona meravigliosa.-
-Cattura quel pazzo, questo è quello che chiedo.-
Andrea passò il foglio con l’autorizzazione a Martah, che lo prese ed uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Si rimise nuovamente in macchina per fare ritorno a casa. Il sole le accarezzò la faccia e si sentì rinvigorita e piena di energie. Parcheggiò nel cortile condominiale e aprendo il portone vide che nella buca delle lettere c’era parecchia posta. La ritirò e salì i cinque gradini che la separavano dalla porta. E lì, incastrato nella maniglia, c’era il solito mazzo di fiori che, da circa un mese, riceveva una volta a settimana. La cosa la lusingava e irritava allo stresso tempo. Nessun biglietto, nessun nome, nulla. Sempre gli stessi fiori, calle e tulipani gialli. Mise le lettere in borsa, prese i fiori ed entrò in casa. Si tolse il cinturone della pistola e lo appese all’appendi abiti di fianco alla porta. Andò subito ad accendere il computer per prenotare il volo e la stanza. Tutto era rimasto invariato, prenotò e pagò on line facendo direttamente il check-in in modo da risparmiare tempo. Prima di rientrare a casa era passata da una rosticceria e aveva acquistato qualcosa da mangiare, una porzione di riso e piselli e una porzione di pizza di patate. Sapeva che non avrebbe avuto ne tempo e ne voglia di cucinare quindi si era organizzata. Telefonò ad Andrea, comunicandogli l’orario di partenza.
-Perfetto, allora passo a prenderti alle cinque!-
Il tono di voce di Andrea, era tornato quello di sempre, disteso, rilassato, cordiale. Guardò l’ora, le tredici in punto; riscaldò il pranzo nel forno a microonde, finì la bottiglia di vino bianco che era in frigo e cominciò a preparare la valigia. Non mise molta roba ma comunque la valigia pesava per via del notebook, che aveva deciso di portare con se. Aveva scansionato e caricato sul PC, il fascicolo relativo al caso di Ruggero Spinelli; il fascicolo del caso, con le foto della vittima invece, le aveva stipate sul fondo della valigia. Era ancora indecisa se mostrarle a Ruggero oppure no, tutto dipendeva dall’atteggiamento di Ruggero. Il tempo passò in fretta, le quattro meno un quarto, era comunque in perfetto orario. Decise di prepararsi un caffè accompagnato, ovviamente da una sigaretta. Portò la tazzina nello studio, spalancò la finestra e, come sua abitudine, si accovacciò sul davanzale per bere il suo caffè. Abbassò la testa per accendere la sigaretta e quando la rialzò, oltre il muro di cinta del condominio, le parve nuovamente di vedere la donna che aveva visto la mattina. Quando finì di fumare, lasciò la finestra aperta per far arieggiare la stanza. Le quattro meno cinque, perfetto, aprì la vetrina della libreria e si sedette davanti al gonzon per recitate un’ora di daimoku, la ripetizione del mantra buddista Nam Myoho Renge Kyo. Aveva cominciato a praticare quando aveva conosciuto Maria Grazia Fanelli al corso di criminologia. Maria Grazia era una giornalista di cronaca nera, scriveva su un quotidiano online. Subito avevano legato ed erano diventate amiche, e un giovedì sera Maria Grazia l’aveva invitata a casa sua, non le aveva detto nulla a parte di rilassarsi e ascoltare il suo cuore. Martah si era seduta dietro di lei e dopo poco, altre persone arrivarono e tutti insieme cominciarono a ripetere quel mantra davanti a una pergamena. Inizialmente si sentì spaesata, ma a poco a poco dal profondo della gola, cominciarono ad uscirle le parole. Quindici minuti in cui il tempo sembrava sospeso. Quel giorno era cambiata la sua vita. Dopo le spiegazioni di rito e aver approfondito un argomento molto particolare, uscì da casa della sua amica con le parole di quel mantra ficcate nel cervello. Il mattino seguente si era svegliata ancora con quelle parole e di nuovo le erano uscite dalla gola. Si alzò dal letto sentendo una bella energia che le pizzicava il corpo. Martah aveva cominciato a frequentare il gruppo e se per motivi di servizio non poteva andare percepiva un senso di vuoto. Dopo pochi mesi decise di voler ricevere anche lei la pergamena e Maria Grazie ne fu veramente felice. Il giorno del suo compleanno festeggiò con il gruppo l’arrivo in casa sua della pergamena; fu il giorno più bello della sua vita. Di li in poi fu un crescendo di successi ed avvenimenti positivi; ma anche quando succedevano cose negative, come la morte improvvisa del padre, riusciva ad essere serena. Terminò la recitazione del mantra proprio nel momento in cui Andrea citofonava. Tutto nei tempi giusti. Martah accese la macchina del caffè e riuscì, senza troppe storie a far entrare Salem nel trasportino. Andrea stava per suonare il campanello quando Martha aprì la porta e lui trasalì.
-Prego accomodati, il tempo di un caffè e andiamo. Salem è già nel trasportino, io non le do scatolette o croccantini, lei ama il latte e il tonno, spesso mangia ciò che mangio io. In una busta ho messo la lettiera e la sabbia, vedrai, ti piacerà stare con lei.- Spiegò ad Andrea ancora qualche particolare e facendolo accomodare in cucina preparò il caffè.
-Martah, questo caffè è eccezionale, e sta tranquilla, io e Salem staremo bene insieme.-
Martah ne fu rincuorata, appena finì di bere il suo caffè prese le due tazzine e le lavò. Dopo qualche minuto uscirono, direzione aeroporto. La giornata,che ormai volgeva al termine, era fredda ma piacevole. Nell'aria c'era odore di pioggia. Arrivati in aeroporto Andrea e Martah si salutarono calorosamente. Non aspettò che Martah entrasse nella zona check-in, aveva lasciato Salem in macchina. Andrea ebbe la sensazione che loro due sarebbero andati più che d'accordo.

Nephila la tela assassina Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora