Home sweet home

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La mattina passa normale, a parte occhiatacce da quella ragazza degli ultimi banchi e i suoi amichetti. Grazie all'insegnante di matematica riesco a memorizzare finalmente il nome: Kimberly Moore.

La pausa pranzo è per il terzo giorno pura solitudine, anche se alzando gli occhi dalle patatine fredde della mensa riesco in un istante a incrociare lo sguardo del professor Draven dall'altra parte del cortile che mi fissa. Qualcuno si alza, interrompendo la linea visiva e mi ritrovo a guardare Kimberly vistosamente arrabbiata.

Accidenti... mi mancava solo avere contro quella pazza. Glielo lascerei volentieri il professore.

Torno a fissare le patatine per un po', poi prendo il vassoio e vado a sistemarlo sul carrello dei piatti sporchi, prima di andare a cercarmi un nascondiglio vicino alla sala professori, nel caso quella tizia decidesse di venirmi a picchiare di nuovo.

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Le lezioni del pomeriggio sono una noia, oggi per fortuna niente letteratura e così ho scampato il ritrovarmi davanti Draven, ma sento crescere l'ansia per ciò che mi aspetta alla fine della scuola. Devo attendere all'ingresso, dovrò ritornare a casa con lui e chissà cosa accadrà stavolta. Almeno se lo assecondo posso evitare forse di essere di nuovo ammanettato al letto, una tra le cose che mi spingono a non volerlo far arrabbiare.

L'ultima campanella suona e lentamente rimetto i libri nello zaino, rischiando per un pelo un calcio alla mano da parte di Kimberly che invece colpisce proprio lo zaino e con un oops esce dalla classe.

Non so cosa sia peggio, se il maniaco o la stalker del maniaco.

Sarebbero una bella coppia forse...

Sorridendo a quel pensiero esco nel corridoio e inizio la via della tortura verso l'uscita. Sento una risata cristallina davanti a me e alzando lo sguardo mi ritrovo una scena raccapricciante.

Kimberly che struscia la schiena contro gli armadietti in quella che, per lei, deve essere la posa da accalappiatrice di maschi. A un metro di distanza c'è lui, Cain Levi Draven, totalmente impassibile a braccia incrociate e sguardo annoiato che si sposta prima verso l'uscita e poi verso la direzione da cui sto arrivando.

Affretto il passo e faccio per superarli, fissando solo la porta della scuola, come se non ci conoscessimo.

«Arrenditi, Kimberly, devi leggerti quel capitolo per domani, come tutti.»

Lui la saluta così, voltandosi e anticipandomi nell'aprire la porta. La sento sbuffare dietro le sue spalle, non so se per quello che lui le ha appena detto o perché sta facendo il carino con me. E mi sorride... il ghigno malefico del demone che sta rendendo la mia vita un vero inferno.

Esco rapidamente, sentendo le frecce d'odio di Kimberly tentare di trapassarmi a morte.

Facciamo alcuni metri in silenzio, allontanandoci dalla scuola, uno affianco all'altro, solo allora lui si decide a dire qualcosa di inaspettato.

«Passiamo dal tuo dormitorio prima di rientrare.»

«Eh... perchè?»

«Cominciamo il trasloco delle tue cose, almeno i vestiti oggi e gli altri libri di testo.»

Ha già deciso e si aspetta che io obbedisca. Ma come lo spiego questo al responsabile dell'alloggio e soprattutto... ma può davvero farlo?!

Non rispondo, resto in silenzio finché non arriviamo al dormitorio e attraversiamo l'atrio. Il responsabile esce dal suo stanzino accogliendoci con un sorriso.

«Ehi, sbaglio o ieri sera non sei rientrato?»

E ora che gli di--

«C'è stato un cambio di programma, da ieri è ospite a casa mia.»

Eccoli li, due adulti che si litigano il dominio sul cucciolo da proteggere. Che strana sensazione.

«Lei chi sarebbe?» Il responsabile squadra malamente il professore, che gli risponde con un sorriso affabile sfilando dalla valigetta morbida che ha con se una busta.

«Il suo insegnante di lettere e per questo anno il suo tutore legale.»

COSA?!

Sono sotto shock e non riesco a nasconderlo. Come ha fatto ad ottenere quella nomina e perché io non ne sapevo nulla?!

«Vai nella tua stanza e inizia a fare i bagagli mentre io sistemo le ultime cose qui.»

L'ordine è piuttosto imperativo, il mio corpo si muove quasi da solo mentre cerco di capire cosa diamine sta accadendo alla mia vita.

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Passa almeno un quarto d'ora prima che mi raggiunga in camera mia, la valigia sul letto è mezza piena, la sto fissando chiedendomi perché lo sto assecondando così, perché sto lasciando davvero a qualcuno che non conosco tutto il potere sulla mia esistenza.

«Quanto ti manca?»

Chiude la porta appena entrato, è calmo e la sua domanda non mostra alcun fastidio.

«Non...non voglio venire con te.»

Mi trema la voce, ma devo fare un tentativo. Devo!

«Lo vuoi davvero o pensi di volerlo?»

Lo sento avvicinarsi, resta alle mie spalle forse aspettandosi che io mi volti. Se lo faccio so che finirò di nuovo con il perdere la ragione, gli basterà uno sguardo per confondermi, per farmi crede di essere compreso, che io voglio essere il suo cucciolo o schiavo o qualsiasi cosa pensi di me.

«Io... io lo voglio... »

Si avvicina ancora, chinandosi un poco per soffiarmi nell'orecchio tre parole.

«Non ti credo.»

Mi volto per ribattere, per ribellarmi in qualche modo anche se non so come, ma in un attimo mi ritrovo pressato contro la libreria mezza vuota, afferrato ad un polso e l'altra mano del professore mi tiene al collo.

Ho paura, una folle paura. Non dovevo dirglielo, non dovevo provare a rifiutarmi, dovevo solo obbedire e sperare.

Mi ritrovo di nuovo incatenato a quegli occhi rossi fissi nei miei, è così vicino che ogni suo respiro mi accarezza la pelle del viso e mi soffia aria tra le labbra. Riesco a sentire le pulsazioni accelerare contro la sua mano che mi avvolge il collo.

«Dillo di nuovo.»

Le sue azioni sembrano piene di rabbia ma la voce no, così morbida e sensuale da farmi quasi scordare di cosa stiamo parlando.

«Io... io non...»

Non riesco a pensare, la mente è stata svuotata da tutto e l'unica cosa che rimane è quanto ho in quel momento intorno. Non so più neanche dove sono, c'è soltanto lui ad un soffio da me.

«Non hai mai chiesto di essere liberato, non hai mai chiesto di andartene. Perché non l'hai fatto?»

L'avevo fatto, ero sicuro di averlo fatto... gli avevo chiesto di lasciarmi andare... almeno una volta io dovevo averlo fatto. Poi mi sono rassegnato e ho solo...

«Tu vuoi restare con me, vuoi qualcuno che ti dice cosa fare e che si prende cura di te. Vero?»

La mano che ha intorno al mio collo si sposta, il pollice segue la linea del mio mento e mi scorre sulle labbra, come fosse un comando per ridarmi la parola.

«S-sì.»

Non ci ho neppure pensato, l'ho detto e basta.

Sorride, io socchiudo gli occhi restando in attesa di qualcosa che non accade.

Mi lascia andare, indietreggiando di qualche passo e inizia a prendere dall'armadio il resto dei miei vestiti.

Qualcosa mi da fastidio, mi aspettavo che marcasse il suo potere su di me in qualche modo, che mi strappasse un bacio o cose del genere, invece niente. Sono confuso e resto a guardarlo mentre sistema i miei vestiti nella valigia con cura.

Chi accidenti sei Cain Draven?

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 12, 2018 ⏰

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