Grida, grida di paura, di disperazione.
Lingue di fuoco passavano accanto agli occhi del ragazzo, chiuso nello scuro della sua corazza troppo grande per un tredicenne, stordendolo.
Il chiasso della mischia, le voci supplichevoli, l'odore acre del sangue gli inondavano i sensi provocandogli violenti conati di vomito.
La sua mano destra premeva con forza sull'elsa della spada sguainata tanto da ferirsi il palmo. Sentiva come se quel dolore fosse l'unica cosa a poterlo tenere a galla, a non farlo sprofondare nell'abisso di morte che lì regnava.
Essere un principe era difficile, aveva sempre pensato.
Ma ancor più difficile, e pericoloso, era essere il futuro erede al trono del Continente di Fuoco, Piros; quello più potente dei quattro conosciuti.
Suo padre, Connor IV, aveva condotto, dacché avesse memoria, una monarchia spietata, rigida, ma giusta. Non aveva mai covato il desiderio o la volontà di sopprimere degli innocenti, non fino a quel momento.
Gli Archesis. Colpa di quei dannati mostri!
Creature del tutto simili agli uomini ma diversi nelle loro capacità. Loro sapevano cose, facevano cose che andavano contro la natura stessa dell'uomo. Si erano mischiati agli umani imbrogliandoli, facendo loro credere di non essere pericolosi.
Questi, erano in grado di usare la magia.
Ma quale magia! Dicevano tutti. Quelli la definivano Canto della Dea. Che orrore, che disgusto, bugiardi e pure eretici! Altro che dea, il pantheon di Piros rabbrividisce per la vergogna!
Il piccolo principe li odiava dal profondo del suo cuore, li credeva una minaccia, un affronto alla supremazia della sua famiglia e degli essere umani, ma no, no, assolutamente no!
Questo non era un motivo valido per sterminarli tutti quanti.
Quando qualche mese prima il re Connor IV della dinastia dei Von Eisenbar aveva iniziato a radunare soldati e volontari per una missione di importanza divina, il giovane non aveva mai pensato a qualcosa del genere e anzi, era contento all'idea di poter combattere al fianco del padre, il suo mito.
Ma ora, spaventato, sudato, sporco del sangue di amici o nemici, desiderava solo essere nato come un semplice ragazzo, con una semplice vita.
– Non stare fermo, attacca! –
Una voce conosciuta gli urlò tali parole sovrastando il clamore dello scontro feroce. Il principe si girò di scatto riconoscendo lo sfolgorio dell'armatura argentea di Clayle, la sua personale guardia nonché più fedele amico. La spada pronta a colpire un uomo sulla cinquantina che avanzava verso di loro. Gli tagliò la testa di netto con un singolo fendente, lo schizzo di sangue che fuoriuscì dal collo reciso avrebbe potuto somigliare ad un fiore, pensò il giovane con rammarico.
I loro opponenti non avevano armature e non erano armati, combattevano – si proteggevano – con quello che probabilmente erano riusciti a trovare sul momento, erano stati presi con le spalle al muro.
Gli incendi appiccati alle case aumentavano d'intensità, facendo bruciare la fronte del ragazzo di una febbre improvvisa, allucinava e proseguiva davanti a sé cercando di raggiungere il suo re, il suo faro di salvezza. Vedeva da lontano il baluginare della sua mazza di ferro colpire a destra e a sinistra fracassando il cranio di uomini giovani e anziani. Urlava come un pazzo facendo ondeggiare i suoi capelli fulvi con le fiamme dietro di lui.
Sembrava la raffigurazione pittorica dell'inferno, e suo padre era la divinità del sottosuolo, colui che giudica le anime e le condanna ad un'infinita sofferenza.
Sangue, sangue, altro sangue.
Un incantesimo, pronunciato nel baccano dello scontro, colpì il corpo del giovane scaraventandolo di lato, la sua schiena urtò contro qualcosa; il cadavere di un uomo riverso in una pozza di sangue e l'elmo che gli proteggeva la testa volò via, la sua mano allentò la presa sulla spada che finì chissà dove. Si allontanò strisciando i palmi sulla terra cercando di sopprimere la bile acida che minacciava di non arrestarsi, la spada, doveva trovarla o sarebbe morto! Voleva scappare il più lontano possibile, ma sapeva fosse impossibile. Avrebbe dovuto trovare il mago che lo aveva attaccato e ucciderlo. Certamente non si aspettava di scoprire che questo fosse nient'altro che una giovane donna. I suoi occhi di un azzurro intenso iniettati di sangue incombevano minacciosi su di lui come un mare in tempesta, non aveva mai provato tanta paura in vita sua, si sentì piccolo come un insetto.
Agì di scatto, d'istinto. Rotolò sulla terra appiccicosa di sangue e raccolse una lancia spezzata che doveva essere stata persa da qualche soldato del suo regno, la pose di fronte a sé a mo' di scudo ed un attimo dopo, se glielo avessero chiesto, non avrebbe saputo dire se avesse appena ucciso una persona o se questa fosse semplicemente scivolata sulla lama esibendosi in una danza bestiale. Si contorceva, urlava maledizioni con il sangue che le fuoriusciva dal ventre e gli sporcava il volto sudato, farneticava qualcosa in una lingua che il giovane non riusciva a comprendere.
- Che tu sia maledetto, che tu possa trovare la felicità e possa questa scivolarti tra le dita come granelli di sabbia. Possa tu provare la sofferenza di milioni di uomini, possa tu portare il peso di un cuore vuoto. -
Un folle terrore gli rivoltò lo stomaco. Atterrito, si lasciò cadere all'indietro lasciando la presa sull'arma, non si era accorto che il peso che sorreggeva con le sue mani era anche quello del corpo della donna ormai priva di vita, gli occhi spiritati e le labbra carnose storte da un ghigno malefico. Si sentì infinitamente stanco e scosso da profondi tremiti. Fu ridestato dal suo stato di shock da una grossa mano sulla sua spalla, quella di suo padre. I suoi grandi occhi suggerivano un "ottimo lavoro" ma c'era qualcosa in più, qualcosa di non detto. Il suo indice destro indicò una scena mostruosa.
Una bambina, di non più di dieci anni, urlava, si strappava i capelli e i vestiti accanto alla donna che il giovane principe aveva assassinato. Non si era chiesto, in quel momento, se quella avesse una famiglia e invece ci avrebbe dovuto pensare, perché aveva appena distrutto il futuro di quella ragazzina. Lui conosceva bene cosa significasse vivere senza una madre e sapere di aver condannato qualcuno alla sua stessa sorte gli fece provare il più forte senso di colpa.
Pensava che re Connor avesse voluto mostrargli quella scena per rimproverarlo, per sottolineare come un futuro re mai e poi mai avrebbe dovuto macchiarsi di un atto tanto vile, ma ciò che uscì dalle sue labbra fu un'unica e semplice parola: "uccidila".***
Per i vecchi lettori, ciao di nuovo. Per i nuovi lettori, questo è il prologo della prima storia che decido di pubblicare su questa piattaforma. Si tratta di una storia fantasy che narra di luoghi incantati, tirannia, amore, battaglie. Possano queste vicende farvi sognare almeno la metà di quanto non lo abbiano fatto con me.
Questa che vedete adesso è una rivisitazione del prologo scritto quando iniziai la storia, preferisco cambiarlo nella sua forma bensì la sostanza rimanga la stessa. Beh che altro da dire, spero possiate apprezzare, fatemelo sapere con un commento e al prossimo capitolo!
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Il canto della Regina
FantasyTremiladuecentocinquanta anni dopo l'alleanza che permise di unificare i territori mondiali in quattro regni distinti: A Piros, più comunemente detto Continente di Fuoco, la magia è stata estirpata dalla rabbia e dall'odio degli umani in un raptus d...