24 dicembre 1970
Era dal mese di settembre, da quando era partito per la naja, che Gianni aveva lasciato il suo paesino in Calabria, Praia a Mare, per andare su al "nord" come si diceva allora, a Pinerolo per la precisione. Lui, che era sempre vissuto al mare, si era ritrovato in una città che metteva freddo solo a nominarla. Era sicuro che appena arrivato avrebbe potuto togliersi quel pastrano pesante di panno verde e scaldarsi al sole della sua terra.
Avrebbe voluto mettere le ali ai piedi ma la sua condizione di soldato gli imponeva di prendere un accelerato a Torino. Raggiunta la stazione, cercò il suo treno. Camminando lungo il corridoio in cerca di un posto libero, notò che ogni scompartimento era pieno di facce "familiari": valigie legate con lo spago, pensava fosse solo l'icona classica dell'emigrante.
"Sembra già di essere a casa" pensò. Sì, quel treno era pieno di gente migrata chi in Svizzera, chi in Francia, Belgio, Germania come ebbe modo di sapere quando, trovato un posto, salutò gli occupanti.
Sistemò il suo zaino e presentatosi, si vergognò un po' a dover ammettere che mancava da casa da solo tre mesi, quando sentì che i più fortunati c'erano stati l'anno prima, ma molti di loro non facevano ritorno da 5 anni per mancanza di soldi perché li avevano spediti alle famiglie e quindi non erano mai tornati.
Gli si scaldò il cuore quando dai loro borsoni, spuntarono fuori "panini imbottiti". In realtà erano pagnotte svuotate della mollica e farciti, alcuni con patate e salsicce, altri con formaggio, salame, 'nduja...e un effluvio di profumi si sparse per tutto il vagone.
Gianni non si fece pregare due volte, accettò con l'acquolina alla bocca solo nel vedere tutto ciò che gli veniva offerto; questo gli ricordava casa. E non si tirò indietro neanche quando spuntò un fiasco di vino e cominciarono a far girare un solo bicchiere che veniva riempito continuamente.
Mangiando e bevendo gli venne caldo e ben presto si ritrovò senza cappotto e giubbetto. Si sentiva così leggero. Dimenticò tutti quei 'signorsì', quelle marce estenuanti.
Da un altro scompartimento venne un uomo, fisarmonica a tracolla, intonò "calabrisella mia" e poi "se nzuratu Michuzzu, fior di cucuzza" e tarantelle a gogò.
Non si accorsero nemmeno che il treno si era fermato. Se ne resero conto solo quando un controllore, passando di vagone in vagone, annunciò che il treno era fermo per un guasto e non sapeva quando sarebbero ripartiti, né se avessero potuto ottenere un pullman sostitutivo.
ERA LA VIGILIA DI NATALE !Una cappa di piombo, di smarrimento, di sconforto, calò su tutto il vagone. Ma l'uomo con la fisarmonica riattaccò una tarantella. Subito un altro tirò fuori un panettone e, aperto un serramanico, cominciò a tagliare e distribuire fette. Un altro ancora stappò una bottiglia di spumante.
Gianni trovò le parole:<<Auguri! Animo! Vuol dire che quest' anno festeggeremo il Natale due volte>>.
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IN PUNTA DI PENNA
General FictionUna raccolta di racconti di vario genere e di varia ispirazione