Non saresti mai...

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«Che cosa te ne pare, è come te l'ho raccontata?» Domanda, non appena mettiamo piede sulla via principale.
«È anche meglio! C'è qualcosa di magico e di straordinario, che ti afferra non appena la guardi. Ma adesso sono ancora più curiosa, caro il mio originale, di sapere proprio tutto.»
«Dolce cuore, non ricordi?» Mi volto a guardarlo, non capendo a che cosa si riferisca.
«Siamo stati qui, per un po', quando eri piccola. Poco dopo che ti trovai. Rammenti? Ti portai dal mio amico, per farti curare e poi tornammo qui, per chiudere alcuni capitoli della mia vita» ci rifletto bene, scavando nel profondo della mia mente.

Come se un interruttore fosse stato premuto, i ricordi affiorano tutti insieme: ricordo l'immensa casa, con quel grande ingresso e la gigantesca M sulle colonne. La resede, la scalinata, e lui... l'uomo di colore, di nome Vincent.
«È vero, adesso ricordo. Anche Vincent.» Storce un po' la bocca sentendolo pronunciare.
«Che c'è, ho detto qualcosa di male?» Dalla sua espressione è palese sia così.
«Niente affatto. È che non siamo mai stati molto amici, Klaus ed io» la voce dell'uomo ci sorprende.
«Vincent» lo saluta gelidamente Nik.
«Ciao. Bentornata Queen, è davvero un piacere rivederti» mi si avvicina allungando una mano.
«Ciao, è un piacere anche per me, nonostante siano anni che non ti vedo» stringo la sua mano, sentendo una forte vibrazione.
«Ma adesso», comincia, «è il momento di dire le cose come stanno: che cosa fai qui, Niklaus?
L'intera comunità sa che sei morto, la pace è giunta, finalmente. Sconvolgere l'equilibrio con la tua presenza non va bene.
E come ben sai, ogni volta che si parla di te ci sono morti innocenti» non mi sfugge la strana occhiata che mi riserva.
«Siamo qui solo per far rivisitare a Queen un posto familiare. Non cominciare con la solita filippica su possibili macchinazioni e intrighi da parte mia. Non voglio sconvolgere niente, solo fare una piccola gita» ma se Vincent ci crede, io no. So benissimo qual è il tono che ha usato, quello della menzogna.
Gli sta mentendo, come a me. È venuto qui per un motivo ben preciso, che sono certa abbia a che fare con quel dannato di Alaric.
«Klaus, lasciamo stare, andiamo via» lo afferro per un braccio, sentendo una strana inquietudine opprimermi.
Contrariamente a quello che pensavo, non devo faticare molto per convincerlo; difatti, mi prende per mano e usciamo dalla sua casa.
«Ha ragione lui, non è stata una mossa intelligente tornare. Già devo essere grato che a Mystic Falls nessuno sappia, ricordi. Tentare la sorte e sfidare il destino così, non ha senso. Torniamo a casa, ok, tesoro?»
«Certo, torniamo indietro, non è un problema per me. Ma sono curiosa: che cos'è successo a Vincent per diventare così estraneo e freddo?» Davvero non me ne faccio una ragione.
«La storia in sé è davvero lunga, tesoro mio. Sono stanco dopo aver guidato per quasi sedici ore.
Troviamo un posto in cui riposare, poi, con tutta calma, ti narrerò delle sventurate vicende del caro Vincent Griffith.»
«Certo, come vuoi, pa'» non insisto, so che sarebbe inutile. Se Klaus dice no, è no. Mi appoggio alla testiera del sedile e pian piano chiudo gli occhi...

«Che cosa fai qui tutta sola?» Klaus mi ha trovata, in soffitta, mentre rovisto in un grosso baule.
«Mi annoio. Sono venuta qui su per esplorare un po' la casa, in cerca di avventura» ma non è del tutto vero, non posso dirgli come stanno le cose o mi prenderebbe per pazza.
«Uhm, capisco. Che cosa hai trovato di bello?» Si accuccia di fronte a me.
«Dei disegni, una foto, un ciondolo e questo...» gli mostro il piccolo lupo intagliato. Ma la sua reazione mi lascia sconvolta: è come se lo avessi colpito in pieno stomaco. Si è piegato in due, sofferente.
«Papà?» Allungo una mano, ma lui scatta via.
Gli corro dietro anche se non ho altrettanta velocità. Sento delle urla provenire dal piano di sotto.
Scendo in fretta e furia le scale e mi affaccio al piccolo balcone: lui e Vincent stanno discutendo animatamente.

«È come sempre colpa tua, Niklaus!
Per il tuo smisurato egocentrismo e la smania di non restare solo, hai voluto coinvolgere quella povera bambina nelle tue intricate vendette!» Lo accusa.
«Tu non sai di che cosa parli! Cosa avrei dovuto fare, eh, lasciarla morire a bordo strada?» lo rimbecca Nik.
«Sarebbe stato meglio che vivere con te!» Prosegue l'altro.
«Per ragioni a me sconosciute, sei sopravvissuto.
E come sempre hai dato dimostrazione di quanta viltà e bassezza albergano in te. L'hai presa, l'hai modellata a tua immagine e l'hai convinta di essere stato la sua salvezza. Quando tutti sappiamo che non ti importa nulla e che, alla prima occasione, saresti capace di sacrificarla, pur di mantenere intatta la tua preziosa eternità. Ti meriti tutto quello che ti è successo, e ricorda: il fato non fa sconti a nessuno» Vincent gli volta le spalle, ma mio padre non è convinto di aver chiuso la discussione: gli si piazza davanti e gli rifila uno spintone.
«Tu deliri, stupido sciamano! Farei qualsiasi cosa per tenerla al sicuro» si difende.
«Come no! Sappiamo tutti, anche se ti sforzi di nasconderlo, che non la volevi. Sei tornato qui e l'hai lasciata. Ricordo ancora le sue urla disperate, mentre Aja la stringeva tra le braccia. Invocava il tuo nome, urlava papà senza sosta, per giorni interi. E poi sono arrivati gli incubi.»
Quest'ultime frasi aprono la mia mente ancor di più, facendomi ricordare.

Vincent accasciato al suolo, una donna che mi stringe e lui che se ne va, dopo avermi lanciato un solo sguardo. Ho gridato, l'ho chiamato, ma non è tornato indietro.
Capisco che ci sia del vero nelle parole dello stregone e questo mi spezza il cuore: lui non mi voleva, non mi ha mai voluta.

Sento le sue mani che mi scuotono forte. Spalanco gli occhi, trovandomi il suo bel viso a pochi centimetri dal mio.
«Era solo un brutto sogno» mi rassicura.
Mi guardo attorno spaesata; non riconosco questo posto.
«Siamo nel Bayou. Mi sono fermato per riposare, ma hai iniziato ad urlare e dimenarti. Vuoi dirmi che succede?»
Mi prendo un attimo per decidere che cosa fare.

«Non è successo nulla. Ho solo ricordato un particolare di qualche anno fa, quando eravamo a casa tua.
Ma è una cosa sciocca e ininfluente, davvero» cerco di sviare in questo modo.
«È opinabile, cuore mio, se ti ha fatto gridare come una matta. Ora, non mettere a dura prova la mia pazienza, dimmi che cos'era» non mi lascia scampo.
«Ho rammentato la tua discussione con Vincent, dopo che mi trovasti in soffitta. Lui disse che tu non mi avevi mai voluta, che mi avevi presa soltanto per modellarmi a tua immagine e che mi avresti sacrificata alla prima difficoltà.
Che mi avevi abbandonata...» lo vedo sbiancare, colto alla sprovvista.
Si rigira sul sedile, di modo da essermi di fronte del tutto, per prendermi poi le mani.
«Vedi, all'inizio, quando ti trovai, pensai che davvero non fosse opportuno farti stare con me. Il vuoto, quello che era successo prima che ci incontrassimo, mi aveva convinto a lasciarti in mani più sicure. Ma non perché non ti volessi, ma per il semplice fatto che tenevo a te, alla tua vita, come faccio ancora oggi.
Se lasci che i ricordi affiorino vedrai anche che sono tornato quasi subito indietro. Un paio di giorni al massimo. Perché ti volevo già bene e non riuscivo a separarmi da te» spiega.
«Per via di tua figlia?» Devo sapere.
«No. Mia figlia resterà sempre tale, ma non ha nulla a che vedere con te. Come ti ho detto l'altra volta, ho rivisto in te, nei tuoi occhi, il me bambino. Solo, affranto e spezzato. Ho pensato che due anime così simili, potessero curarsi l'un l'altra, col passare del tempo. E non nego, anche se mi riesce difficile esprimermi, che c'era già dell'affetto nei tuoi confronti.
Ho fatto del male a tante persone; ho amato donne nel modo e nel momento sbagliato. Ma tu sei un altro paio di maniche: sei mia figlia, a tutti gli effetti, e molto di più.»
Sento le lacrime scorrere e mi vergogno. So quanto odia le persone piagnucolose. Ma come sempre mi sorprende: coi pollici le asciuga e poi mi stringe.
«Non dubitare mai del mio affetto. Sei la sola persona a cui è rivolto. Non sono mai riuscito ad amare, soprattutto prima e dopo mia figlia, ma con te riesco. A dire il vero non so fare altro che volerti bene» mi spezzo definitivamente, singhiozzando sulla sua spalla.
«Ti voglio tanto bene anche io.»
È una frase riduttiva, ma so che capirà.
«Lo so, lo sento. Ogni volta che mi contrasti, che discutiamo o che mi chiedi qualcosa. In ogni volta che mi chiami pa', o papà, nonostante non lo sia biologicamente. Per ogni volta che mi hai difeso, anche se sapevi che davvero avevo commesso quella cosa aberrante. Perché essere genitore e figlio non è una cosa solo legata al sangue. Ma legata strettamente all'amore, che nessuno mai ci potrà portare via» sento che è emozionato e commosso.
«Va bene, ora finiamola con questa scenetta ridicola» stempero, col sorriso sulle labbra. Scoppia a ridere e mette in moto.
«Ma non dovevi riposare?» Domando.
«L'ho fatto, non preoccuparti.»
Il suo telefono che emette una piccola vibrazione ci fa capire che è stato lasciato un messaggio in segreteria.
Accede alla casella vocale, preme il vivavoce e...

"Non saresti mai dovuto tornare a New Orleans"

La voce è quella di Vincent, che non promette nulla di buono.
«Dobbiamo andare via, subito!» Sbraita, premendo il piede sull'acceleratore, iniziando a correre come un matto, fino a varcare il confine, che ci riporta a casa, alla salvezza. 

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